Impossibile la rinuncia preventiva all’indennità d’avviamento nelle locazioni commerciali

Impossibile la rinuncia preventiva all’indennità d’avviamento nelle locazioni commerciali

Con la recentissima sentenza n. 15373 del 13.06.2018, la Corte di Cassazione sembra aver fatto momentaneamente chiarezza su un aspetto controverso e dibattuto nella stessa giurisprudenza, ossia la possibilità per il conduttore di rinunciare preventivamente all’indennità di avviamento nelle locazioni non abitative.

Nel caso di specie, sia il Tribunale che la Corte dappello, richiamandosi al precedente costituito dalla sentenza n. 14611/2005 della Corte di Cassazione, avevano dichiarato non dovuta al conduttore da parte del locatore l’indennità per la perdita dell’avviamento sulla base di una clausola contrattuale con la quale le parti avevano escluso la corresponsione dell’indennità perché di essa si era tenuto conto nella determinazione del canone. Risultava infatti provato, secondo il Tribunale e la Corte d’appello, che un locale con le stesse caratteristiche ed ubicato nella stessa zona di quello oggetto di causa poteva essere locato ad un canone medio superiore di oltre il 50 % a quello pattuito dalle parti nel caso di specie. Ciò comportava, sempre secondo i Giudici di prime e seconde cure, che non vi era alcuna sproporzione tra le prestazioni reciproche delle parti contrattuali. Contro la decisione della Corte d’appello, che aveva confermato la sentenza di primo grado, aveva proposto ricorso per Cassazione il conduttore.

Per risolvere il caso sottoposto alla sua attenzione nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha fatto applicazione dell’art. 79, L. 392/1978 (c.d. Legge sull’equo canone), la quale sanziona con la nullità ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge n. 392. L’unica deroga alla norma è costituita dal terzo comma dello stesso articolo, che ne dispone l’inapplicabilità ai contratti di locazione ad uso commerciale e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico, per i quali sia stato pattuito dalle parti un canone di locazione annuo superiore ad € 250.000,00. La nullità prevista dall’art. 79 rappresenta una sorta di norma di chiusura del complesso normativo speciale sulle locazioni, volta a preservare l’equilibrio contrattuale a favore della parte storicamente considerata più debole, ossia il conduttore. La ratio dell’intero impianto della legge n. 392 è quella infatti di tutelare la parte che rischi di essere indotta ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose sulla spinta del timore di dover abbandonare il luogo dove vive (nel caso della locazioni abitative) o dove esercita la propria attività commerciale (nel caso delle locazioni non abitative).

Per questo motivo, la giurisprudenza di legittimità aveva quasi sempre ritenuto che l’indennità per la perdita dell’avviamento, prevista dall’art. 34 della L. 392/1978 a favore del conduttore che esercita attività commerciale nei locali locati nel caso in cui il contratto di locazione cessi per causa a lui non imputabile (quindi ad esclusione dei casi di risoluzione per inadempimento, disdetta o recesso del conduttore e fallimento), costituisse un diritto irrinunciabile e per questo rientrante nell’ambito d’applicazione dell’art. 79; pertanto, ogni pattuizione volta ad escludere tale indennità, sarebbe stata inevitabilmente colpita da nullità. Peraltro, i commentatori più attenti non hanno potuto non osservare che, quand’anche non esistesse la norma di cui all’art. 79, la rinuncia preventiva all’indennità sarebbe comunque impossibile, posto che non si può rinunciare ad un diritto che non è ancora sorto. Come detto, infatti, il diritto a percepire l’indennità per la perdita dell’avviamento sorge nel momento in cui il contratto di locazione cessa per causa non imputabile al conduttore ed è pertanto evidente che al momento della stipula del contratto il relativo diritto non sia ancora sorto.

Ben diverso è il discorso invece relativo alla rinuncia al diritto della perdita d’avviamento successiva alla cessazione del contratto: in questo caso, premesso che il conduttore può disporre del diritto in quanto il contratto è cessato, viene meno qualsiasi situazione di squilibrio contrattuale che giustifichi il ricorso alla tutela prevista dall’art. 79; infatti, la giurisprudenza dominante della Corte di Cassazione aveva osservato che in questo caso il conduttore non si trova più in una situazione di debolezza per il timore di essere costretto a lasciare l’immobile e quindi, in un’ottica transattiva, può certamente negoziare il proprio diritto all’indennità nell’ambito di reciproche concessioni con il locatore. Secondo la giurisprudenza dominante della Suprema Corte, dunque, la sanzione della nullità non potrebbe estendersi agli accordi transattivi successivi alla stipula del contratto. La giurisprudenza aveva inoltre chiarito che la rinuncia può essere anche implicita, come per esempio nel caso in cui il conduttore, dopo aver percepito l’indennità, di fatto ne restituisca l’equivalente, in seguito ad apposito accordo transattivo (Cass. civ., sez. III, 22.04.1999, n. 3984).

Senonché almeno tre precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione avevano messo in crisi tale impianto argomentativo: in particolare, con la sentenze nn. 10907/1995, 14611/2005 e la recente 8705/2015 la Suprema Corte aveva stabilito la possibilità, per le parti di un contratto di locazione ad uso non abitativo, di prevedere nel contratto stesso la rinuncia preventiva all’indennità, laddove sia stato pattuito un canone di locazione inferiore rispetto a quello che il locatore avrebbe potuto ottenere in base al valore di mercato degli immobili dello stesso tipo e ubicati nella stessa zona di quello locato. In questo caso, avevano osservano gli Ermellini, l’equilibrio sinallagmatico del contratto, cui mira la L. 392/1978 ed in particolare il suo articolo 79, è fatto salvo, posto che il conduttore rinuncia preventivamente ad un suo diritto a fronte di un canone di locazione inferiore a quello che sarebbe stato pattuito se egli non avesse rinunciato all’indennità. Perché possa ritenersi valida una clausola di rinuncia preventiva all’indennità, secondo la Cassazione, dovrebbe pertanto risultare la volontà delle parti di ridurre la misura del canone originariamente pattuito a fronte della rinuncia preventiva al diritto all’indennità da parte del conduttore.

Tale filone giurisprudenziale è stato però espressamente accantonato dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza in commento, la quale ha definito “isolata ed in contrasto con la prevalente giurisprudenza di legittimità” la sentenza n. 8705/2015, che per ultima aveva ammesso la possibilità di rinunciare preventivamente all’indennità per la perdita dell’avviamento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, non ha pertanto aderito alla corrente giurisprudenziale rappresentata dai precedenti n. 14611/2005 e n. 8705/2015 ed ha invece riaffermato il principio per cui “i diritti vantati dal conduttore solo una volta sorti sono disponibili e possono essere oggetto di rinunzia, con o senza corrispettivo a favore dal locatore, non ostandovi la tutela di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 79, che è volta ad impedire che diritti vantati dal conduttore siano oggetto di un’elusione di tipo preventivo”.

Sulla base di tale argomentazione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del conduttore, cassando la decisione impugnata e rinviando alla Corte d’appello.

Allo stato dell’arte, pertanto, secondo la Suprema Corte non è possibile rinunciare preventivamente al diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento previsto dall’art. 34 L. 392/1978, ostandovi la previsione di nullità di ogni patto contrario alla legge prevista dall’art. 79, mentre è possibile rinunciarvi dopo che il relativo diritto è già sorto, ossia in seguito alla cessazione del contratto di locazione per causa non imputabile al conduttore.


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Avv. Alberto Melotto

Avvocato del Foro di Verona, esercita l'attività sia in ambito civile che in ambito penale. Nato a Legnago (VR) il 19.06.1990, ha conseguito nel 2009 la maturità classica al Liceo Giovanni Cotta di Legnago (VR) con il massimo dei voti; ha ottenuto la Laurea magistrale in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Trento il 1° ottobre 2014 con il massimo dei voti e la lode con una tesi in diritto penale. Il 4 settembre 2017 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione d'avvocato presso la Corte d'appello di Venezia e dall'ottobre 2017 è iscritto all'albo ordinario dell'Ordine degli Avvocati di Verona.

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