La Corte di Cassazione e il concordato preventivo di gruppo

La Corte di Cassazione e il concordato preventivo di gruppo

Sommario1. Premessa – 2. Corte di Cassazione, 13 ottobre 2015, n. 20559 – 3. Corte di Cassazione, 31 luglio 2017, n. 19014 – 4. Conclusioni. Il modello di concordato di gruppo nella Legge n. 155 del 2017

 

1. Premessa

La Corte di Cassazione è stata chiamata due volte ad esprimere il suo autorevole parere sugli spazi che l’attuale assetto normativo concede agli operatori in tema di c.d. “concordato preventivo di gruppo”. Con tale locuzione, generalmente, ci si riferisce a quella particolare modalità di predisposizione della procedura concordataria riferita ad un’impresa organizzata nella forma del gruppo societario. Esulando dal contenuto della recente Legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante la Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui si dirà più avanti, l’ordinamento concorsuale italiano non conosce il fenomeno del gruppo. Pertanto, in assenza di un addentellato normativo, l’interprete (pratico e teorico) si è posto il problema di come (e se) sia possibile comporre la crisi di un gruppo con la procedura di cui agli artt. 160 e seguenti della Legge Fallimentare. Preso atto dell’”agnosticismo” del legislatore concorsuale, dottrina[1]e giurisprudenza sono intervenute a più riprese sull’argomento, colmando il vuoto normativo dinanzi evidenziato.

La più attenta dottrina ha operato una perimetrazione del fenomeno, distinguendo tra il c.d. “concordato preventivo di gruppo in senso stretto” e altre modalità emerse nella prassi che, pur presentando con esso delle affinità, pongo problemi e prospettano soluzioni differenti. In questa sede si è deciso di aderire a tale classificazione, considerando strettamente riferita al concordato di gruppo la richiesta da parte di più imprese facenti parte di un gruppo, di accedere insieme alla procedura, dando vita a un’unica procedura o a procedimenti tra loro strettamente collegati. Sono riferibili solo latamente all’oggetto dell’indagine quelle operazioni alternative che tendono a ricomporre la frammentarietà giuridica del gruppo di società in un unico centro di imputazione (in particolar modo ci si riferisce alla costituzione di una c.d. “società-veicolo” e alla “fusione concordataria).

Numerosi sono stati gli interventi dei giudici di merito[2], i quali hanno pressoché unanimemente riconosciuto la legittimità di una sistemazione concordataria dello stato di crisi dei gruppi di società. Nei precedenti di merito sono emersi due paradigmi: il concordato di gruppo come procedura unitaria; il concordato di gruppo come un fascio di più procedure, tra loro comunque distinte. Dai precedenti della Suprema Corte, oggetto di specifico esame in questo contributo, è possibile ricavare utili coordinate ermeneutiche sull’esatta estensione della fattispecie e sul bilanciamento tra l’interesse del gruppo a regolare in modo unitario la sua crisi e quello dei creditori a veder rispettata la par condicio.

2. Corte di Cassazione, 13 ottobre 2015, n. 20559

Prima di esaminare più da vicino la Sentenza 20559/2015 della Suprema Corte, appare utile ricostruire, seppur brevemente, i precedenti gradi del giudizio in commento. Protagonista della lunga vicenda giudiziaria è il gruppo Baglietto, operante nel settore navale. A chiedere l’omologazione del concordato è una società in nome collettivo costituita un mese esatto prima del deposito del ricorso per l’ammissione al concordato: alla S.n.c., avente sede legale in La Spezia, vengono conferiti in modo totalitario i patrimoni delle società di capitali che costituivano fino a quel momento il gruppo (tre società a responsabilità limitata con sede legale in Milano e una società per azioni con sede legale in Pisa), divenendo socie illimitatamente responsabili della neonata società a base personale.

Gli atti di conferimento dei complessi aziendali delle quattro società capitalistiche erano sottoposti a clausola risolutiva espressa, data dalla mancata definitiva omologazione del concordato della S.n.c.. In pendenza di detta condizione erano state tenute contabilità separate per ciascun complesso aziendale “così da essere in grado di ripristinare correttamente, in caso di mancata omologazione del concordato, le situazioni contabili alla data del conferimento e imputare a ciascuna società i dati contabili ad essa afferenti”. Siamo in presenza di un concordato di gruppo “in senso lato”, in quanto la fattispecie è perfettamente sussumibile nell’area dell’operazione che ruota sulla costituzione di una c.d. “società-veicolo”: in questo modo, nonostante la tenuta di contabilità separate, le masse attive e passive delle società di capitali conferitarie risultano confuse sin dal momento della costituzione della S.n.c.. Il decreto di omologazione dà atto del raggiungimento, nell’unica adunanza tenutasi, di alte maggioranze favorevoli alla proposta, nonché del parere favorevole all’omologazione da parte dei commissari nominati nel precedente decreto[3]di ammissione alla procedura. In sede di omologazione i giudici esaminano le opposizioni presentate da alcuni creditori, ai sensi dell’art. 180 L.F..

Viene anzitutto opposta l’incompetenza del Tribunale di La Spezia in favore di quello di Milano sull’assunto che la sede legale della capogruppo era ivi ubicata “con la conseguenza che lo spostamento della sede a La Spezia – avvenuto contestualmente con la creazione della Battello s.n.c. – costituisce violazione della norma che sancisce l’irrilevanza del trasferimento di sede nell’anno antecedente il deposito del ricorso ex art. 161 L.F.”. Il Tribunale respinge l’eccezione, facendo proprio quell’indirizzo consolidato in base al quale è possibile provare la non coincidenza della sede legale con quella principale, dando rilievo alla sede effettiva, aggiungendo poi che è “la stessa vicenda che ha condotto alla costituzione della Battello s.n.c. […] che esclude ogni rilevanza della norma invocata dagli opponenti”; ad avviso dei giudici liguri è proprio la costituzione della società-veicolo che esclude la configurabilità di un’elusione delle regole di competenza territoriale, giacché è grazie a tale costituzione che è stato possibile formulare la proposta approvata dalla maggioranza del ceto creditorio. Superato il problema della competenza territoriale, i giudici di prime cure esaminano le questioni di merito. Anzitutto i creditori opponenti lamentano l’inammissibilità della proposta concordataria in quanto la stessa ha condotto alla commistione dei patrimoni delle singole società conferenti. Il Collegio replica che la costituzione della società-veicolo è perfettamente in linea con quanto disposto dall’art. 160 lett. a) L.F., che fa espresso riferimento a “operazioni straordinarie”; viene poi aggiunto che con la riforma organica del diritto fallimentare il contenuto della proposta di concordato è informato al principio di atipicità.

Gli opponenti si dolgono anche della commistione delle masse verificatasi già all’atto della costituzione della S.n.c., “con l’effetto di soddisfare alcuni creditori a discapito di altri”. Il Tribunale afferma che la questione non attiene alla formazione delle classi ma a profili di convenienza della proposta “che gli opponenti, in quanto non appartenenti ad una classe dissenziente […] non sono legittimati a sollevare”. Il Collegio, anziché indagare la concreta praticabilità dell’operazione alla luce dei principi generali, giustifica la confusione delle masse proprio sulla base dell’avvenuta costituzione della S.n.c.. Riportare poi la questione della confusione delle masse nell’alveo del giudizio di convenienza del piano, non sindacabile dal Tribunale fallimentare in sede di omologazione, sembra contraddire con l’indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalla Corte di Cassazione[4], in base al quale rientra nel sindacato dei giudici dell’omologazione il vaglio della legittimità della proposta: nel caso di specie, quest’ultima risulta confliggere con la norma di ordine pubblico di cui all’art. 2740 c.c.. Diversamente opinando si rimetterebbe alla volontà del ceto creditorio l’applicazione di una norma imperativa. Gli opponenti hanno proposto reclamo avverso il decreto di omologazione exart. 183 L.F. alla Corte di Appello di Genova, la quale ha deciso con decreto del 23 dicembre 2011[5]respingendo tutti i motivi di reclamo. Tra i motivi devoluti rientra anche l’illegittimità dell’operazione complessiva per violazione dell’art. 2740 c.c.: rispetto a tale profilo i giudici del reclamo si muovono nel solco delle argomentazioni svolte dal Tribunale di La Spezia. Nei successivi passi del decreto si evocano temi ricorrenti nella giurisprudenza di merito sul concordato di gruppo, tra cui: (i) l’atipicità della proposta exart. 160 L.F.; (ii) l’assenza di una normativa di diritto comune per il trattamento della crisi dei gruppi; (iii) la sostanziale meritevolezza causale exart. 1322 c.c. di forme di trattazione unitaria e/o coordinata della fase di patologia della vita dell’impresa di gruppo; (iv) l’individuazione della funzione dell’istituto concordatario nel superamento dello stato di crisi. A conclusione di questi passi si legge che “la sussistenza del gruppo e dei consequenziali rapporti infragruppo che legano nella fattispecie le società divenute socie della nuova società in nome collettivo giustificano e legittimano sia una valutazione sostanziale che una trattazione a livello procedurale unitaria del piano concordatario e, quindi, una gestione integralmente unitaria del concordato con un’unica adunanza e con un computo delle maggioranze riferito all’unico programma concordatario”.

La lunga vicenda del gruppo Baglietto si è conclusa con la cassazione senza rinvio exart. 384 c. 3 c.p.c. del decreto di omologazione e del provvedimento impugnato, in quanto l’azione non poteva essere intrapresa. I primi passi della decisione sembrano porre una “pietra tombale” sull’effettiva proponibilità di un concordato di gruppo. E difatti, ad avviso della Suprema Corte, il giudizio non poteva essere proposto, atteso che “l’ordinamento italiano, allo stato attuale della legislazione, non contempla il c.d. concordato preventivo di gruppo” e che “l’attuale sistema del diritto fallimentare […] non conosce il fenomeno” del gruppo. La Corte riconosce che negli anni gli operatori hanno elaborato schemi empirici per cercare forme di unificazione o coordinamento delle procedure afferenti alle diverse società del gruppo per una sistemazione unitaria della sua crisi; tuttavia “neppure l’operazione societaria posta in atto nella vicenda in esame, con la costituzione della nuova società nella sede ligure in funzione esclusiva della competenza del Tribunale fallimentare del circondario, e la successiva presentazione di un unico piano concordatario per questa e per le sue socie, dunque per la impresa di gruppo, può superare in via interpretativa l’assenza di una disciplina positiva che regoli il concordato di gruppo” e i suoi riflessi sulla competenza. Il Supremo Collegio stigmatizza la soluzione adottata dai giudici del merito in tema di competenza territoriale ribadendo l’irrilevanza dei trasferimenti di sede intervenuti nell’anno antecedente alla proposizione del ricorso per l’ammissione alla procedura. La Suprema Corte, comunque, riconosce cittadinanza a quell’indirizzo che vede in tale coincidenza una presunzione iuris tantum, superabile allegando “elementi univoci e non astratti circa la sussistenza della diversa sede effettiva”: tale onere, ad avviso della Cassazione, nel caso di specie non sembra esser stato rispettato, stante la mancata indicazione degli elementi in questione da parte della corte territoriale, se non in modo tautologico e, perciò, insufficiente.

In merito alle modalità di presentazione del ricorso la sentenza è lapidaria nell’affermare che “il concordato preventivo avrebbe dovuto riguardare individualmente le singole società del gruppo, non la società personale e le società di quella socie, non ammettendosi un unico giudizio omologatorio”. La Corte di Cassazione ribadisce la vigenza, nell’attuale assetto normativo, del dogma della distinzione delle masse attive e passive, poiché necessario al mantenimento della separatezza delle posizioni debitorie e creditorie delle singole società del gruppo: la creazione della società-veicolo ha di fatto operato un’inaccettabile commistione patrimoniale che si è riverberata sul ceto creditorio. E difatti “i creditori delle società meno capienti hanno inammissibilmente concorso con quelli delle società più capienti”. Corollario necessario del divieto di forme di confusione tra le masse attive e passive delle società del gruppo è la necessità di tenere distinte adunanze, distinte votazioni e consequenziali distinti calcoli delle maggioranze in seno al ceto creditorio di ciascuna impresa interessata dalla procedura. La Suprema Corte intravede nell’operazione una forzatura del dato normativo emergente dagli artt. 161 L.F. e 2740 c.c., ben oltre i limiti consentiti da un’interpretazione evolutiva delle norme al fine di rinvenire, in mancanza di una disciplina di diritto positivo, forme di trattazione coordinata della crisi di gruppo.

È stato osservato che la fattispecie all’esame della Suprema Corte presenta “peculiarità che la collocano, perlomeno formalmente, al di fuori della definizione di concordato di gruppo […] ed integrano una tecnica di trattazione della crisi di gruppo alternativa ad esso, per alcuni versi intermedia tra l’istituto in esame e la fusione[6]. Risulta dunque necessario comprendere come tale sentenza possa incidere sull’effettiva proponibilità del concordato di gruppo e quali effetti possa determinare sugli indirizzi giurisprudenziali di merito, i quali, a determinate condizioni, ammettono l’unificazione e/o il coordinamento tra procedure.

La Sentenza 20559/2015, rappresentando il primo intervento dei Giudici di Piazza Cavour sul tema, è stata ampliamente commentata dalla dottrina, la quale ha assunto, seppur con variegate sfaccettature, un unanime atteggiamento volto a circoscriverne la portata.

Sul versante dell’astratta configurabilità del concordato di gruppo la Suprema Corte sembra assumere prima facieun atteggiamento di totale chiusura nella parte motivazionale in cui afferma che “l’attuale sistema del diritto fallimentare […] non conosce il fenomeno” del gruppo e che “l’ordinamento giuridico italiano […] non contempla il c.d. concordato preventivo di gruppo”. Tale premessa della Cassazione, a ben vedere, suona però come un obiter dictum: rifacendosi alla classificazione operata da attenta dottrina, il caso di specie non risulta sussumibile nell’istituto del concordato di gruppo strettamente inteso (e di ciò davano atto gli stessi giudici del merito).

La pronuncia, poi, è censurabile nella parte in cui esclude la possibilità di comporre la crisi del gruppo con un unico concordato in assenza di un esplicito addentellato normativo. Il fenomeno del gruppo, non esplicitamente definito nella legislazione concorsuale, non è per ciò solo sconosciuto al diritto commerciale, il quale in un certo senso lo presuppone nella disciplina di cui agli artt. 2497 ss. del Codice Civile, introdotti in sede di riforma organica del diritto societario del 2003; e non è sconosciuto neppure nel settore concorsuale, in quanto “di tale realtà ha dimostrato di avere piena consapevolezza la Relazione della Commissione ministeriale per la riforma delle procedure concorsuali, la quale, anche se non ha ritenuto di poter definire una nozione rigida di gruppo, ha fatto riferimento a quella assunta dal codice civile all’esito della riforma organica del diritto societario intervenuta nel 2003[7].

Com’è stato acutamente osservato, si può pertanto ritenere che “i passaggi della sentenza […] in cui si ipotizza l’inammissibilità causale in astratto del concordato di gruppo vanno considerati eccessi verbali della Suprema Corte; essi vanno ridimensionati, ritenendo che i giudici di legittimità […] volessero riferire il loro giudizio alla declinazione in concreto della causa, ritenendo illegittima la specifica modalità utilizzata per trattare la crisi di gruppo nel caso di specie[8].

Appare dunque opportuno ridefinire i termini del dibattito, evidenziando come, con la pronuncia in questione, la Cassazione ha sostanzialmente affrontato la legittimità dell’operazione basata sulla costituzione di una società-veicolo: il vizio, pertanto, non va ravvisato nell’astratta configurabilità di soluzioni che permettano una gestione unitaria della crisi del gruppo, bensì nel concreto atteggiarsi della vicenda sin dal suo momento genetico: il contratto di società, i cui atti di conferimento erano sottoposti alla condizione risolutiva della mancata omologazione del concordato preventivo.

L’atteggiamento riduttivistico della portata precettiva della sentenza ha fatto leva anche sulla prospettiva del diritto dell’Unione Europea: si è sostenuto che “in un’ottica che coinvolge profili attinenti al sistema delle fonti e l’interpretazione costituzionalmente orientata, un eventuale giudizio generalizzato di inammissibilità causale del concordato di gruppo, soprattutto (ma non solo) se motivato sull’agnosticismo, in materia della Legge fallimentare, risulterebbe inconciliabile con il fatto che le procedure di gruppo, incluso il concordato, siano state espressamente disciplinate dal legislatore comunitario nel nuovo regolamento sulle procedure di insolvenza[9].

Cambiando l’angolo visuale è possibile fornire una diversa lettura dei principi di diritto contenuti nella sentenza, infatti “a ben vedere i giudici di legittimità hanno posizionato le milestones, presenti le quali un percorso unitario potrebbe non essere destinato a sicuro insuccesso[10]. Ecco dunque emergere le condizioni di proponibilità di un piano concordatario unitario, le quali non si discostano dai paradigmi emersi nella giurisprudenza di merito: (i) inderogabilità della competenza territoriale determinata ex art. 161 L.F.; (ii) possibilità di provare la non coincidenza tra sede legale e sede effettiva per mezzo di “elementi univoci e non astratti”; (iii) impossibilità di ricorrere ad un unico giudizio di omologazione; (iv) divieto di confusione delle masse attive e passive; (v) obbligo di tenere tante adunanze e tante votazioni quanti sono i soggetti che accedono al concordato.

Si può dunque sostenere che la decisione in commento “ha prescrittivamente descritto quali sono i vizi funzionali[11]della tecnica consistente nella costituzione di una società-veicolo, senza però travolgere l’astratta configurabilità di forme di coordinamento o unificazione delle procedure di concordato preventivo relative a società facenti parte del medesimo gruppo imprenditoriale.

L’inesatta sussunzione della vicenda nell’alveo del concordato di gruppo “in senso stretto” risulta dunque soltanto apparente. La Suprema Corte di Cassazione ha sostanzialmente messo il punto su quale sia il modello di coordinamento procedurale ipotizzabile nell’ambito di un concordato preventivo di gruppo, sposando il paradigma della separatezza dei procedimenti con consolidamento tenue e solo procedurale. La sentenza ribadisce dunque l’obbligo di mantenere distinte le masse attive e passive delle diverse entità costituenti il gruppo, con ricadute procedurali in ordine alle modalità di adunanza e computo delle maggioranze sulla proposta concordataria. Tale conclusione è raggiunta, tra l’altro, richiamando il principio di responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c..

3. Corte di Cassazione, 31 luglio 2017, n. 19014

Oggetto della vicenda giudiziaria in esame è la procedura di concordato preventivo di gruppo relativa alla Porta Malatestiana S.n.c. e alla Antares G.E.I.E.. Quest’ultima fu costituita pochi mesi prima della presentazione della proposta concordataria, previo conferimento di beni immobili della S.n.c. e, per una parte, di beni dei soci illimitatamente responsabili. Senza entrare nelle questioni particolari della vicenda, è importante analizzare il contenuto della decisione della Cassazione dall’angolo visuale della sua incidenza sul fenomeno del concordato preventivo di gruppo. La Suprema Corte, muovendo dall’impianto motivazionale predisposto dalla Corte d’Appello di Bologna[12], ne corregge in parte la portata. Si legge difatti che “nell’indicare le condizioni di inammissibilità della proposta siccome incentrata su un ‘concordato di gruppo’, essa ha individuato i tratti del sottostante istituto nell’essere il concordato di gruppo «un concordato unitario, introdotto con unica domanda, contenente un unico piano (che non prevede distinzione tra le masse attive e passive delle società) da sottoporsi a valutazione unitaria da parte dei creditori di tutte le società proponenti e da concludersi con un unico giudizio di omologazione». Tale assunto è lacunoso sul piano della definizione e in parte errato, giacché l’espressione ‘concordato di gruppo’ resta avvinta al fenomeno societario corrispondente; il quale fenomeno è appunto il gruppo di società” (sottolineatura di chi scrive).

In questi passaggi, dunque, la Suprema Corte censura la definizione fornita dalla Corte territoriale del fenomeno concordatario, riscontrando come condizione di proponibilità del concordato di gruppo la presenza di un gruppo di società, “oggetto di riconoscimento solo indiretto” agli artt. 2497 ss. c.c., dettati in tema di responsabilità da direzione e coordinamento, i quali fungono da referente normativo anche laddove il gruppo entra nella fase patologica della crisi. La Cassazione, dunque, nell’operazione sottoposta al suo esame non scorge gli elementi del concordato preventivo di gruppo, bensì “una situazione di crisi gestita da parte di singole società, mediante forme di aggregazione di distinto segno sostanzialmente limitate a (meri) conferimenti di beni de all’accollo dei debiti”. Nei successivi passi la Suprema Corte, mutuando un’espressione di recente impiegata in dottrina[13], “separa l’acqua dal vino”, avallando la distinzione tra una nozione “forte” di concordato di gruppo (strettamente inteso) e una “debole” (le altre variegate operazioni di “addensamento” del gruppo imprenditoriale) e richiamando l’elaborazione dell’allora d.d.l. culminato oggi nella Legge 155/2017.

Nella decisione in commento è richiamata anche la Sentenza 20559/2015: “la sezione si è di recente determinata nel senso della attuale non proponibilità del concordato di gruppo in mancanza di una disciplina positiva. […] il concordato preventivo può essere proposto unicamente da ciascuna delle società appartenenti al gruppo […] senza possibilità di confusione delle masse attive e passive, per essere, quindi, approvato da maggioranze calcolate con riferimento alle posizioni debitorie di ogni singola impresa (v. Cass. n. 20559-15)”. Il richiamo alla vicenda del gruppo Baglietto pare essere impiegato per riaffermare con forza il divieto di confusione tra le masse attive e passive delle imprese del gruppo, non già per ribadire l’inammissibilità dell’istituto. Il passaggio testé riportato suona come un obiter dictum: si legge difatti poco dopo che “nella fattispecie in esame, […] non viene in questione un profilo di competenza” e dunqueneppure è il caso di maggiormente indugiare su quanto emergente dalla citata sentenza” (sottolineatura aggiunta).

Per la Cassazione la S.n.c. e il G.E.I.E. non costituiscono un gruppo, pertanto la loro proposta concordataria unitaria non rappresenta una fattispecie di concordato preventivo di gruppo. È chiaro dunque che per i Giudici di Piazza Cavour, in questo caso, a rendere non percorribile la strada del concordato di gruppo non è la sua inammissibilità causale ma l’assenza del fenomeno di gruppo, così come regolato dagli artt. 2359, 2545-septies e 2497 ss. del Codice Civile.

4. Conclusioni. Il modello di concordato di gruppo nella Legge n. 155 del 2017.

Da un confronto tra le due pronunce emerge un diverso modo di approcciare al concordato preventivo di gruppo: nel 2015 la Suprema Corte, enfatizzando l’assenza di un qualsivoglia addentellato normativo, si esprime nel senso dell’inammissibilità dell’operazione de qua[14].Nel 2017 invece, senza entrare espressamente nel merito – e richiamando l’elaborazione del d.d.l. licenziato dalla Commissione Rordorf[15]– la Corte si limita a non ritenere proponibile una domanda di concordato di gruppo da un’aggregazione che non può essere definita “gruppo” alla luce della disciplina contenuta nel Codice Civile. Si può presumere che il diverso atteggiamento tenuto dalla Corte, a due anni di distanza dal primo intervento, sia dovuto proprio al mutato clima di favore rispetto alla praticabilità di una composizione coordinata della crisi di gruppo, tenendo conto di quanto stesse avvenendo sul fronte legislativo. Risulta opportuno concludere con alcune considerazioni in ordine al processo di riforma del diritto della crisi d’impresa tutt’ora in itinere, volgendo brevemente lo sguardo alla disciplina contenuta nella Legge 19 ottobre 2017, n. 155 recante la Delega al Governo per la riforma del diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza. In particolar modo, l’art. 3 della Legge Delega è rubricato “Gruppi di imprese”: la norma contiene (in modo piuttosto analitico e dettagliato) i principi e i criteri direttivi per la riforma del diritto concorsuale. Le disposizioni che rilevano ai nostri fini sono quelle contenute nei primi due commi: il primo è relativo alla disciplina generale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi; il secondo, invece, è specificamente dettato in tema di concordato preventivo.

Il legislatore delegante prevede anzitutto la necessità di definire il gruppo sul paradigma di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. e 2545-septies c.c., unitamente alla presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza della fattispecie di cui all’art. 2359 c.c. (art. 3 co. 1 lett. a) L. 155/2017). Viene poi evidenziata la necessità di depositare il bilancio consolidato in vista dell’attivazione di una procedura di gruppo (art. cit. lett. b)). Il legislatore delegante, facendo propri i risultati dell’elaborazione pretoria, stabilisce come condizione indispensabili per la proposizione di una procedura di gruppo “l’autonomia delle rispettive masse attive e passive, con predeterminazione del criterio della competenza, ai fini della gestione unitaria delle rispettive procedure concorsuali, ove le imprese abbiano la propria sede in circoscrizioni giudiziarie diverse” (art. cit. lett. d)): in questa disposizione, dunque, il legislatore richiama i due profili più critici delle procedure di gruppo: (i) il mantenimento del dogma della separazione delle masse attive e passive; (ii) la necessità di predeterminare i casi in cui sia possibile derogare alle norme attributive della competenza territoriale. Il secondo comma dell’art. 3 delinea il modello di concordato preventivo di gruppo che sarà regolato dai decreti legislativi di attuazione. Il legislatore facoltizza la proponibilità del piano di gruppo (“nell’ipotesi di gestione unitaria […]”), stabilendo poi le modalità di attuazione del piano unitario: (i) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziario; (ii) un unico fondo per le spese di giustizia; (iii) la necessità di distinte e coeve votazioni sulla proposta di concordato dei creditori di ciascuna società del gruppo; (iv) gli effetti dell’annullamento o della risoluzione della proposta di gruppo; (v) l’elisione dei rapporti infragruppo ai fini della votazione sulla proposta; (vi) i criteri per la formulazione dell’unico piano di gruppo, anche basati su operazioni contrattuali e riorganizzative del gruppo, funzionali alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori.

È possibile affermare che la Legge Delega abbia operato una ricognizione e una sistemazione di quanto prodotto nelle aule di giustizia, temperando alcune storture e forzature emerse nella prassi, soprattutto rispetto al principio di autonomia patrimoniale. Il legislatore delegante, dunque, ha essenzialmente accolto il paradigma giurisprudenziale della procedura unitaria – preferendolo a quello che vede la fattispecie come un fascio di procedimenti distinti e coordinati – con uno schema di concordato preventivo caratterizzato da un forte consolidamento dei profili processualie da una totale chiusura a forme di commistione patrimoniali. Non resta che attendere l’attuazione della Delega per comprendere come il Governo, nell’esercizio della stessa, darà forma alle nuove procedure concorsuali di gruppo.


Note
[1]Senza la possibilità di dar conto dell’ampia letteratura in materia, si citano, tra i più recenti: ABETE LUIGI, L’insolvenza nel gruppo e del gruppo, in Fallimento, fasc. 9, 2009, pag. 1111;ABRIANI NICCOLÒ – PANZANI LUCIANO, Crisi e insolvenza nei gruppi di società, in Nuovo dir. soc., fasc. 17, 2015, pag. 74; D’ORAZIO LUIGI, Il concordato preventivo di gruppo nella dottrina e nella giurisprudenza, in Giur. merito, fasc. 10, 2012, pag. 2084; FABIANI MASSIMO, Concordato preventivo e gruppo di società: colpito ma non affondato, in Foro it., fasc. 4, 2016, pag. 1372; FAUCEGLIA GIUSEPPE, Uno nessuno, centomila: il concordato preventivo di gruppo, in Giur. comm., fasc. 1, 2016, pag. 118; GARCEA MAURA, La rilevanza del gruppo nelle gestioni negoziate della crisi di impresa, in Riv. soc., fasc. 5, 2012, pag. 943; LO CASCIO GIOVANNI, Legge fallimentare vigente e prospettive future, in Fallimento, fasc. 4, 2016, pag. 385; PANZANI LUCIANO, Il gruppo di imprese nelle soluzioni giudiziali della crisi, in Le Società, fasc. 12, 2013, pag. 1358;POLI STEFANO, Rassegna di giurisprudenza il concordato preventivo di gruppo, in Giur. comm., fasc. 5, 2014, pag. 735; POLI STEFANO, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l’intervento della S.C., nota a Cass. 13 ottobre 2015 n. 20559, in Fallimento, fasc. 2, 2016, pag. 142; SANTAGATA RENATO, Concordato preventivo “di gruppo” e “teoria dei vantaggi compensativi”, inRiv. dir. impr., fasc. 2, 2015, pag. 213; SCOGNAMIGLIO GIULIANA, Gruppi di imprese e procedure concorsuali, in Giur. comm., 2008, II, pag. 1091; VATTERMOLI DANIELE, Gruppi insolventi e “consolidamento” di patrimoni (substantive consolidation), in Riv. dir. soc., fasc. 3, 2010, pag. 586;VATTERMOLI DANIELE, Concorso e autonomia privata nel concordato preventivo di gruppo, in Dir. banca mercato fin., fasc. 2, 2012, pag. 371; VERNA GIUSEPPE, Sulla presentazione di concordati preventivi da parte di gruppi di società, in Giur. comm., fasc. 5, 2015, pag. 903.
[2]Trib. Firenze, 30 agosto 1983, in Fallimento 1984, 987, con nota di Silvestri; Trib. Perugia, 19 aprile 1985, in Fallimento 1986, 311, con nota di Sideri; Trib. Firenze, 13 luglio 1992, in Dir. fall., 1993, II, 180, con nota di Lazzara; Trib. Orvieto, 18 maggio 1994, in Fallimento 1994, II, 1090, solo massima; Trib. Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fallimento 1995, 969, con osservazioni di Fabiani; Trib. Perugia, 3 marzo 1995, in Foro it. 1995, I, 1952; Trib. Terni, 19 maggio 1997, in Fallimento 1998, 290, con nota di Fabiani; Trib. Roma, 16 dicembre 1997, in Dir. fall., 1998, II, 778, con nota di Di Gravio; Trib. Crotone, 28 maggio 1999, in Giust. civ. 2000, I, 1533, con nota di Colognesi; Trib. Pavia, 26 maggio 2004, inedito; Trib. Parma, 10 luglio 2008, inedito; Trib. Bologna, 8 ottobre 2009, inedito;Trib. Lucca, 12 febbraio 2010, inedito; Trib. La Spezia, 8 luglio 2010, in http://www.ilcaso.it; Trib. Terni, 29 dicembre 2010, inhttp://www.ilcaso.it; Trib. Roma, 7 marzo 2011, in Nuovo not. giur. 2011, I, 89, con nota di Fracchia; Trib. La Spezia, 2 maggio 2011, in http://www.ilcaso.it; Trib. Prato, 22 settembre 2011, in http://www.unijuris.it; Trib. Benevento, 19 ottobre 2011, in http://www.ilcaso.it; Trib. Benevento, 18 gennaio 2012, in Dir. banca mercato fin., fasc. 2, 2012, 371, con nota di Vattermoli; Trib. Monza, 24 aprile 2012, in http://www.ilcaso.it; Trib. Roma, 25 luglio 2012, in Giur. merito, 2012, 2078; Trib. Asti, 24 settembre 2012, in http://www.unijuris.it; Trib. Roma, 14 novembre 2012, in Riv. dottori comm., 2013, I, 161; Trib. Roma, 18 aprile 2013, in http://iusexplorer.it; Trib. Rovigo, 5 novembre 2013, in http://www.ilcaso.it; Trib. Ferrara, 8 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it; Trib. Ravenna, 22 maggio 2014, in http://www.ilcaso.it; Trib. Palermo, 4 giugno 2014, n. 5513, in Giur. comm., 2015, 4, II, 832; App. Bologna, 23 maggio 2011, n. 632, in http://www.ilcaso.it; App. Genova, 23 dicembre 2011, in http://www.unijuris.it; App. Roma, 5 marzo 2013, in Giur. merito, 2013, 1817.
[3]Trib. La Spezia, 8 luglio 2010, in http://www.ilcaso.it.
[4]Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521.
[5]App. Genova, 23 dicembre 2011, in http://www.unijuris.it .
[6]Poli Stefano, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l’intervento della S.C., in Fallimento, fasc. 2, 2016, pag. 146.
[7]Di Majo Alessandro, Il fenomeno del concordato c.d. di gruppo e il diniego espresso dalla Corte di cassazione, in Giur. it., 2016, fasc. 2, pag. 395.
[8]Poli Stefano, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l’intervento della S.C., in Fallimento, fasc. 2, 2016, pag. 149.
[9]Poli Stefano, op. cit.
[10]Fabiani Massimo, Concordato preventivo e gruppo di società: colpito ma non affondato, in Foro it., fasc. 4, 2016, pag. 1372.
[11]Fabiani Massimo, op. cit.
[12]App. Bologna, 23 maggio 2011, n. 632, http://www.ilcaso.it.
[13]Fauceglia Giuseppe, Uno nessuno, centomila: il concordato preventivo di gruppo, in Giur. comm., fasc. 1, 2016, pag. 118.
[14]Si è comunque precedentemente evidenziato come, per opera della dottrina, la portata preclusiva della Sentenza 20559/2015 fosse stata di molto attenuata.
[15]Commissione tecnica presieduta dal Primo Presidente aggiunto della Corte di cassazione Renato Rordorf, costituita presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia con il Decreto del Ministro del 28 gennaio 2015.

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Luca Bordin

Laureato presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" con tesi in Diritto commerciale. Praticante Avvocato presso l'Ordine degli Avvocati di Roma. Tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013 presso gli Uffici Giudiziari del Tribunale di Latina. Appassionato di Diritto commerciale e amministrativo.

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