La nullità della clausola contrattuale che prevede interessi moratori accertati come usurari

La nullità della clausola contrattuale che prevede interessi moratori accertati come usurari

Il reato di usura è previsto dall’articolo 644 c.p.. Si tratta di una norma penale in bianco il cui precetto viene determinato dai decreti ministeriali che, trimestralmente, stabiliscono il tasso soglia, superato il quale, è considerato usurario l’interesse pattuito in un contratto tra privati.

Quest’ultimo é un debito di valore la cui prestazione pecuniaria viene determinata nel suo ammontare al momento della liquidazione ed è soggetta alle oscillazioni del mercato che possono essere vantaggiosi o svantaggiosi.

Tale fattispecie criminosa viene sanzionata, altresì, civilmente con l’applicazione dell’art. 1815 comma 2 c.c. che stabilisce la nullità delle clausole contrattuali di interessi usurari. Questo costituisce un limite all’autonomia privata in conformità all’art. 47 della Costituzione il quale, da un lato incoraggia e tutela il risparmio, dall’altro disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.

In relazione all’art. 644 c.p. e all’art. 1815 comma 2 c.c., è stata emanata la disciplina antiusura volta a regolare le situazioni giuridiche in cui vengono in rilievo gli interessi che superano il limite imposto dal Governo al fine, appunto, di proteggere coloro che, domandando un prestito, si vedevano, da lì a poco, in difficoltà nel dover rendere, oltre alla rate di restituzione, anche interessi, eccessivamente, maggiorati.

Quest’ultimi si distinguono in: interessi legali, quelli stabiliti dalla legge, interessi corrispettivi che discendono per natura dal prestito erogato ed interessi moratori che maturano una volta verificato l’inadempimento, alla restituzione rateizzata, da parte del debitore allo scadere del termine pattuito.

Questi, difatti, hanno la funzione di risarcire il danno causato al creditore dal ritardo nell’adempimento e sono stati da una parte della giurisprudenza esclusi dalla normativa antiusura la quale sosteneva che essa fosse applicabile solo agli interessi corrispettivi attraverso una interpretazione restrittiva degli artt.644 c.p. ed art. 1815 c.c. nei quali il Legislatore menziona, unicamente, l’attività del ‘corrispondere” e non quella di risarcire alla quale, piuttosto, applicare l’art. 1224 c.c. dove viene, espressamente, citato il danno per morosità.

A fondamento della tesi restrittiva, si sostiene che nel decreto ministeriale di fissazione del tasso soglia, il Governo non indica specificamente anche quello per la mora del debitore.

Tale tesi, poi, riconosce agli interessi corrispettivi natura remunerativa ed a quelli di mora natura risarcitoria, ai quali si applicherà, come sopra detto, l’art. 1224 c.c.

Secondo altro orientamento, entrambi gli interessi hanno natura remunerativa con la differenza che, il mancato godimento del credito è voluto dal creditore nei corrispettivi invece è involontario nei moratori. Essi sostengono che il legislatore abbia inteso in senso generale la disciplina antiusura perché l’usurarietà rileva in qualsiasi tipo di finanziamento ed in qualsiasi specie di costo del credito a prescindere se il decreto ministeriale disciplina o meno, specificamente, il tasso di mora valendo universalmente quanto disposto.

A dirimere il contrasto giurisprudenziale, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19597/2020 adottando l’interpretazione estensiva della normativa antiusura.

Secondo il Collegio, il fine del Legislatore è di proteggere il soggetto debitore contro le pretese usurarie delle banche e finanziarie e sostiene che tale tutela non sarebbe adeguata se si facesse applicazione del rimedio ex art. 1384 c.c. come sostenuto dalla tesi restrittiva, perché la riduzione operata dal Giudice è puramente discrezionale, operata su criteri soggettivi che porterebbero a risultati differenti, per alcuni più vantaggiosi per altri meno e quindi non equi, mentre l’usura va sanzionata secondo un giudizio oggettivo valido per tutti.

Inoltre, è irrilevante la diversa natura degli interessi ai fini di un giudizio di applicabilità della normativa in commento, perché essa va applicata a tutti quelli pattuiti al momento della stipula del contratto a prescindere dalla categoria di appartenenza proprio perché, come sopra detto, l’importante è contrastare l’usura in sé e non diversi tipi della stessa.

Le Sezioni Unite nella nota sentenza specificano che, una volta accertata l’usurarietà degli interessi moratori, questi verranno considerati illeciti e preclusi ma a tale giudizio non soggiaceranno gli interessi corrispettivi leciti i quali continueranno ad essere dovuti e nella stessa misura saranno rideterminati quelli moratori restando ferma l’applicazione dell’art.1224 c.c.; in totale aderenza con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Europa che ribadisce l’obbligo al pagamento degli interessi corrispettivi, quale remunerazione al credito prestato, e se superiori al tasso soglia sarà, unicamente, la maggiorazione ed essere annullata.

Continuano poi a stabilire che la caduta della clausola sugli interessi moratori non influisce sulle rate scadute che restano dovute nella loro integralità, comprensive degli interessi corrispettivi in esse già conglobati, oltre a quelli moratori stabiliti nella stessa misura di quelli corrispettivi pattuiti e ritenuti leciti.

Se, anteriormente, era pacifico ritenere momento rilevante per il giudizio di usurarietà dei costi pattuiti quello della stipulazione del contratto ora, alla luce della sentenza n. 19597 del 2020, si guarda a quando viene in essere l’usura anche se successivamente alla stipulazione operando una valutazione in concreto ovvero su quanto realmente patito dal debitore ai sensi degli articoli 644 c.p. e 1815 comma 2 c.c.

Alla luce di quanto premesso, si può, fondatamente, instaurare un giudizio di accertamento sull’usurarietà degli interessi moratori e domandare la nullità della clausola contrattuale che li prevede.

Sarà comunque dovuto il pagamento delle rate insolute comprensive degli interessi corrispettivi ritenuti leciti e di quelli moratori nella stessa misura perché il giudizio di nullità non travolge quanto lecitamente pattuito in deroga all’art.1419 c.c.


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Alessandra Albanese

Laureata in giurisprudenza con la passione per la legge, le piace approfondire continuamente gli aspetti giuridici nei vari settori del diritto e condividere quanto appreso assieme agli altri.

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