La regolamentazione delle banche negli Stati Uniti d’America e il caso Silicon Valley Bank

La regolamentazione delle banche negli Stati Uniti d’America e il caso Silicon Valley Bank

Negli ultimi giorni, il mercato è stato scosso dal crac della Silicon Valley Bank, sedicesima banca americana per dimensioni patrimoniali con circa 210 miliardi di asset e 175 miliardi di depositi. È stata fondata nel 1983 e si è affermata come punto di riferimento per le startup e le aziende tecnologiche dell’intera Silicon Valley.  

Per comprendere i motivi che hanno causato un tale effetto, è necessario ripercorrere brevemente e a grandi linee la nascita e lo sviluppo del sistema bancario americano, definito duale perché vi operano parallelamente banche vigilate dal governo federale e banche vigilate dai singoli Stati. Nel 1782 nasce la Bank of North America a Philadelphia e fino al 1863 la nascita di una qualunque banca avveniva con una registrazione presso la Commissione bancaria dello Stato in cui operava. La normativa, tuttavia, era molto labile in alcuni Stati e ciò rendeva più facile il fallimento delle banche, le quali emettevano banconote tramite la raccolta di fondi rendendo più probabile l’ipotesi di una frode. L’obiettivo di eliminare ogni sorta di abuso da parte delle banche statali portò all’emanazione del National Banking Act del 1936 che istituì le banche c.d. nazionali, di tipo federale, vigilate dall’Office of the Comptroller of the Currency che aveva l’obbligo di verificare che le banche nazionali sostenessero le emissioni di banconote con partecipazione di titoli di stato statunitensi. In particolare, la legge mirava ad imporre una tassa proibitiva sulle banconote emesse dalle sole banche di Stato (Istituzioni e mercati finanziari, F. Mishkin, S.G. Eakins, E. Beccalli, nona edizione, Pearson, 2019).

Sotto la presidenza di Woodrow Wilson, nel 1913, fu emanato il Federal Reserve Act che istituì il Federal Reserve System per garantire la stabilità economica mediante l’introduzione di una banca centrale in grado di sorvegliare la politica monetaria. Durante la Grande Depressione degli anni 1930-1933, però, ci furono circa 9000 fallimenti bancari che causarono non pochi problemi ai depositanti. Come risposta alla crisi finanziaria del 1929, il Congresso degli Stati Uniti d’America emanò il Glass-Steagall Act che prende il nome dai suoi promotori, il senatore Carter Glass e il deputato Henry B. Steagall. Venne introdotto la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation), agenzia indipendente che mira a proteggere i depositi dei clienti in caso di fallimento di una banca fino a un saldo massimo di 250.000 dollari (pay-off method) e sostiene le banche in difficoltà cercando potenziali acquirenti disposti ad accollarsi tutti i rischi della banca in difficoltà (purchase and assumption method).  La riforma si incentrò anche sulla netta separazione tra commercial bank e investment bank ove le prime erano autorizzate a svolgere esclusivamente classiche attività bancarie e le seconde esclusivamente attività di investimento (c.d. investment and corporate activities). Pertanto, le banche commerciali erano impegnate nell’attività di raccolta di fondi e di erogazione di prestiti in quanto l’attività in titoli (con la sola eccezione dei titoli di Stato) venne riservata alle banche di investimento. Nonostante la normativa in essere, furono molti i tentativi di elusione e la Corte Suprema, nel 1988, convalidò l’operato della Federal Reserve che permise a J.P. Morgan di sottoscrivere obbligazioni e azioni, riconoscendo tale privilegio anche ad altre holding. Ne deriva che, nello scenario internazionale, era forte l’esigenza di estendere anche alle banche americane lo svolgimento di attività immobiliari e assicurative.  Nel 1999 fu definitivamente abrogato il Glass-Steagall Act per lasciare spazio al Gramm-Leach Bliley Financial Services Modernization Act che sanciva come una banca potesse offrire servizi bancari commerciali, in titoli e in assicurazioni.  

Si evince come sia molto articolato il sistema di regolamentazione bancaria che ha inevitabilmente determinato anche la proposizione di servizi complessi come il confezionamento dei mutui attraverso un processo di cartolarizzazione (securitization) ovvero il processo di raggruppamento e trasformazione di attività finanziarie piccole e altrimenti non liquide in titoli obbligazionari negoziabili su un mercato secondario (mortgage-baked security). Nel 2008, un’innovazione finanziaria particolarmente importante fu quella dei mutui subprime, una nuova categoria di mutui immobiliari concessi a debitori con rating di credito inadeguato. In questa occasione, la Federal Reserve assunse il ruolo di lender of last resort ovvero di “prestatore di ultima istanza” per sostenere il sistema bancario.  

A livello europeo, merita attenzione la BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive, Direttiva n. 2014/59/EU al fine di prevenire e gestire la crisi delle banche. Nei casi più gravi, dal 1° gennaio 2016, è prevista l’applicazione di una particolare procedura, c.d. bail-in (salvataggio interno), in base alla quale sono esclusi salvataggi con risorse pubbliche poiché lo Stato interviene come estrema ratio. È previsto, pertanto, il diretto coinvolgimento di azionisti, investitori e correntisti dell’istituto di credito al fine di sanare le eventuali perdite economiche e di ricostituire il capitale. Gli strumenti coinvolti sono azioni e obbligazioni convertibili, titoli utilizzati come garanzia, obbligazioni bancarie non garantite e depositi fino a 100.000 euro.  

Quanto accaduto alla Silicon Valley Bank ha risvegliato, negli investitori, i timori di una nuova crisi come nel 2008. L’istituto ha improvvisamente annunciato una perdita di 1,8 miliardi di dollari e un aumento di capitale per 2,25 miliardi per compensare ma la conseguenza è stata una vera e propria corsa agli sportelli per prelievi pari a 42 miliardi in data 9 marzo 2023. Ogni tentativo di salvataggio era ormai invano e la banca è diventata insolvente tanto che i primi giorni del mese di marzo la SVB ha annunciato la perdita di circa 958 milioni di dollari. A questo sono succeduti altri due fallimenti, quello della Signature Bank e della Silvergate Bank (nota per le criptovalute). 

La banca ha investito 120 miliardi di dollari in un portafoglio di titoli di Stato a lunga scadenza e in mortgage-baked security (titoli obbligazionari rinvenienti da operazioni di cartolarizzazione di prestiti ipotecari) [https://www.borsaitaliana.it/borsa/glossario/mortgage-backed-securities.html] per un importo di 91 miliardi. Se i titoli a tasso fisso vengono detenuti fino a scadenza, l’oscillazione dei tassi non incide sulla restituzione del valore nominale. Situazione diversa è la crisi di liquidità di una banca che si trova costretta a vendere e che causa la perdita di valore degli asset. Ciò è accaduto in conseguenza del costante rialzo dei tassi da parte della FED per il contesto di mercato che si è palesato a seguito delle vicende geopolitiche in Ucraina.  

Dal punto di vista normativo, la situazione in Europa è differente rispetto a quella presente negli Stati Uniti fortemente caratterizzati da una deregulation in tale contesto. L’allentamento della vigilanza sulle banche con attivi inferiori ai 250 miliardi di dollari ha fatto sì che la SVB fosse esonerata dal rispettare i requisiti di liquidità. L’analisi richiede un approfondimento sul disegno di legge noto come Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act dai nomi dei suoi firmatari, il senatore Christopher Dodd e il deputato Barney Frank, approvato dal Congresso nel luglio del 2010. Contiene 15 titoli e 541 articoli. La nuova legislazione ha creato il Consumer Financial Protection Bureau all’interno della Federal Reserve con lo scopo di vigilare tutte le società che hanno lo scopo di erogare mutui residenziali e che possiedono attività superiori a 10 miliardi di dollari e tutti gli emittenti di strumenti finanziari rivolti alla parte meno abbiente della popolazione. La legge istituisce altresì un Financial Stability Oversight Council, presieduto dal segretario del Tesoro, al fine di individuare le maggiori società finanziarie a livello sistemico e attribuire ad esse la designazione ufficiale di SIFI (Systemically Important Financial Institutions). Limita altresì la speculazione delle banche con i propri titoli (c.d. Volcker Rule) e rafforza il programma di tutela dei whistleblower (cioè i dipendenti di un’impresa che segnalano illeciti), già previsto dal Sarbanes-Oxley Act dal 2002.   

In un primo momento, la norma si applicava a tutte le banche con attivi di bilancio superiori a 50 miliardi di dollari. Nel 2018, sotto la presidenza di Donald Trump, il limite si innalzò a 250 miliardi di dollari, esonerando alcune banche regionali a quelle regole di controllo più stringenti. Ne deriva che solo alle prime 14 banche americane venissero applicate le norme vigenti in Europa come anche quelle relative ai requisiti di liquidità da tenere a disposizione e quelle inerenti la vigilanza periodica. L’assunzione di rischi da parte delle singole banche è inevitabile e se, da un lato, il rialzo dei tassi di interesse è stato un fattore determinante e ha rivelato la sensibilità dell’economia, si evince come non sia presente, in America, un sistema di vigilanza periodica, dominante, invece, in Eurozona grazie a Basilea 3.

Un intervento normativo efficace potrebbe impedire ripercussioni di tale portata e far emergere le falle insiste nel sistema di regolamentazione da parte delle Autorità di vigilanza. Bisognerebbe individuare le misure idonee a contrastare fenomeni di crisi e riesaminare la regolamentazione in essere. Di recente, lo stesso Comitato di Basilea ha sottolineato, alla luce delle vicende recenti, l’esigenza di “un sistema bancario globale solido, sostenuto da un’effettiva governance, pratiche di gestione del rischio, forte vigilanza e una cooperazione internazionale” [https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2023/03/23/comitato-basilea-impariamo-la-lezione-dalla-crisi-banche_8cde3ef0-786d-4b84-8655-dadd801d531f.html]


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