La rivoluzione «epocale» della crisi di impresa

La rivoluzione «epocale» della crisi di impresa

I. Dopo lunghe vicissitudini e molteplici interventi legislativi, la Legge 155/2017 riforma in maniera «epocale» i principi e gli istituti di gestione della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza, il cui decreto attuativo è stato varato alla fine del 2018 e sarà a regime alla fine dell’anno 2019 (particolari aspetti, come quelli attinenti alla nomina dell’Organo di controllo ed altre modifiche ad articoli del Codice civile e di procedura, sono già in vigore dal primo trimestre).

Il rivoluzionario impatto che l’intervento legislativo produce può sintetizzarsi con l’espressione «dal Fallimento alla procedura di Liquidazione giudiziale»: trattasi di un intervento organico che scardina l’impianto normativo e non già di una mera rivisitazione della Legge fallimentare cui, nel corso del tempo, il legislatore ha più volte dato seguito attraverso la ripetuta apposizione di modifiche al testo (di cui al Regio decreto del ’42) nell’intento di adeguarlo alla realtà dei mercati e del mondo imprenditoriale.

II. Tra le disposizioni innovative è anzitutto da osservare come l’ordinamento ponga (ora) la differente connotazione dello «stato di crisi» da quello di «insolvenza», rappresentando il primo una situazione di pericolo che può – ma non necessariamente deve – sfociare nella futura ed eventuale evoluzione di irreversibile decozione.

Stante la nota congiuntura italiana, il generale obiettivo della riforma è orientato a rendere più agevole alle imprese il ricorso ai c.d. «istituti di allerta» attraverso il porre in essere specifiche, concrete ed attuabili procedure di composizione assistita della crisi che consentano loro, nel rispetto di particolari requisiti e comunque non compiendo atti patrimoniali “in frode”, la prosecuzione dell’attività nell’ottica della continuità aziendale e della conservazione, per quanto possibile, della base occupazionale.

Viene di fatto prevista l’eliminazione del retaggio dello “stampo punitivo” fallimentare, cui i muri delle aule di sezione dei tribunali sono imperniati ormai da notevoli decenni, con il subentro della procedura di carattere unitario denominata «Liquidazione giudiziale».

Da un punto di vista politico – qui da intendersi nel senso più ampio della polis, quale scelta delle direttive, dell’organizzazione e dell’amministrazione della vita e della res pubblica – l’effetto sul costo della “macchina della giustizia” dovrebbe manifestarsi in una futura contrazione delle procedure di insolvenza gestite sotto l’egida dei tribunali, ai quali verranno probabilmente demandate (“solo più”) quelle afferenti alle maggiori dimensioni.

Al fine di favorire le controversie fra il debitore e il ceto creditorio, viene così alla luce il c.d. «meccanismo di allerta» volto ad impedire alle crisi aziendali di divenire irreversibili, appunto attraverso l’adozione di opportuni strumenti di composizione stragiudiziale, soggetti ad omologa, e di gestione mediante accordi e mediazioni concordatarie.

Per agevolare il ricorso alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi si dispone, in particolare, che la loro attivazione non costituisca causa di risoluzione dei contratti pendenti e né di revoca degli affidamenti concessi, prevedendo altresì che siano inefficaci tutti i patti contrari.

I procedimenti in parola andranno vagliati riguardo alla struttura e all’assetto organizzativo e suffragati dai c.d. «indicatori della crisi» che consentano di misurare – si ritiene, tempestivamente – le difficoltà reddituali e patrimoniali in relazione alle dimensioni ed alla tipologia di azienda.

Senza entrare nella disamina particolareggiata della “rivoluzionaria riforma”, si accennano meramente alcuni aspetti peculiari: lessicalmente, sparisce il termine «Fallimento» che viene sostituito da quello di «Liquidazione giudiziale», la cui disciplina sostituisce integralmente quella storica fallimentare; si introduce la fase preventiva di allerta della crisi al fine di anticiparne l’emersione; al curatore vengono riconosciuti maggiori poteri, sia di carattere gestionale e sia afferenti a intraprendere o proseguire particolari azioni giudiziali; si distingue lo stato di crisi da quello di insolvenza, il cui accertamento viene ricondotto ad un modello processuale unico per tutti i tipi i debitori (esclusi gli enti pubblici); impostazione di procedure “semplificate” orientate a privilegiare e ad assicurare la continuità aziendale, anche al fine di attuare una riduzione di costi; gli organi di gestione (amministratori o altre forme di governance) e di controllo (sindaci e revisori) investiti di maggiori poteri; predilezione alla formalizzazione delle procedure di composizione stragiudiziale della crisi volte all’accordo della ristrutturazione dei debiti ed al piano di risanamento per il ritorno in bonis dell’attività imprenditoriale; modifiche agli istituti del concordato preventivo, della composizione della crisi da sovra-indebitamento e della esdebitazione.

III. A parere dello scrivente estensore, il fulcro del concreto successo della riforma prospettata risiede nell’onestà intellettuale e nel cambiamento culturale – anche da parte del management imprenditoriale – atto alla tempestiva emersione dello stato di crisi che può concretizzarsi attraverso l’affidamento dell’incarico di una specifica consulenza direzionale oppure dotandosi dell’Organo di controllo (volontariamente o per disposizione di legge).

Le procedure concorsuali sono sovente vissute dagli imprenditori come un male in sé, non riconoscendole ed anzi allontanandole nel tempo con la conseguenza di procrastinare lo stato di dissesto e sfociare nella condizione di irreversibile decozione (con tutte le ripercussioni, talvolta anche di carattere penalistico).

La nuova procedura di allerta ha natura non giudiziale e muove essenzialmente da un rapporto fiduciario e confidenziale che lega il cliente e il professionista; sfatando la falsa e malsana visione secondo la quale il Revisore sarebbe un mero costo della politica aziendale o, peggio, un ispettore-inquisitore, il sostegno professionale può essere rivolto non solo alla certificazione del bilancio ma anche alla consulenza in ambito delle procedure previste dalla riforma in essere, sia in fase pre-concorsuale e concordataria ossia quando sia già manifesta l’insolvenza, nonché nell’assistere l’impresa nel proprio cammino nell’ottica della collaborazione, della continuità e della salvaguardia del patrimonio sociale.


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Alessandro Verrino

Dottore commercialista - Revisore legale dei conti - Consulente tecnico del Giudice - Perito penale del Tribunale - Amministratore giudiziario e Curatore fallimentare; seconda laurea magistrale in Giurisprudenza. * Svolge l’attività professionale, con studio in Torino, principalmente in ambito di procedure concorsuali (fallimenti, concordati, liquidazioni), redazioni di perizie e valutazioni d'azienda, analisi di bilancio, relazioni su reati societari ed azioni di responsabilità, attestazioni di piani di ristrutturazione aziendale; è particolarmente specializzato nell'ambito delle revisioni contabili e delle certificazioni di bilancio (sia nel settore societario che in quello degli enti locali).

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