Laurea e lavoro part time: nessun mantenimento dopo la separazione

Laurea e lavoro part time: nessun mantenimento dopo la separazione

La famiglia non è un’entità immutabile, ecco perché il legislatore nel c.c. e in modo particolare nel libro dedicato alla famiglia ha disciplinato degli istituti attraverso i quali i coniugi hanno piena autonomia di poter interrompere i rapporti coniugali. Nel novero di questi istituti, qualora sia stato attivato su richiesta dei coniugi un tentativo di mediazione e lo stesso sia fallito, gli stessi possono richiedere la separazione. Nel c.c. il legislatore ha indicato due differenti modalità di separazione, che producono differenti effetti giuridici; abbiamo dà un lato la separazione consensuale che è quell’ istituto mediante il quale i coniugi attraverso un accordo detto per l’appunto accordo di separazione esprimono la loro volontà di volersi separare e decidono anche come dovranno essere regolati i loro rapporti patrimoniali e i rapporti con i figli. La Riforma Cartabia, ha mutato il rito per la richiesta di separazione consensuale, infatti attualmente si prevede che il presidente del tribunale, ricevuto il ricorso, fissi l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore, dovrà poi procedersi alla trasmissione degli atti al pubblico ministero, perché possa esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza fissata il giudice, deve sentire le parti e verificare se vi sia la volontà di riconciliarsi: in assenza rimette la causa in decisione. Chiaramente la comparizione all’udienza non sarà necessaria ove le parti nel ricorso per separazione  consensuale previsto dalla riforma Cartabia abbiano optato per la sostituzione con le note scritte. All’esito dell’udienza, il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se ritiene per qualche ragione che gli accordi siano in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare, e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda.

Dall’altro lato vi è la separazione giudiziale che è pronunciata dal giudice con sentenza quando su richiesta di uno o di entrambi i coniugi manchi un accordo con cui si decide sulle modalità di separazione o sulla volontà di addivenire ad essa.  Solitamente la separazione giudiziale può essere richiesta quando si realizzano fatti che rendono intollerabile la convivenza o recano grave pregiudizio all’educazione della prole. Per quel che concerne gli effetti prodotti dalla separazione giudiziale va precisato che essa comporta il venir meno del dovere di fedeltà che si trasforma in un dovere di comportamento che non sia lesivo del decoro, della dignità e dell’onorabilità dell’altro coniuge; per quel che riguarda i rapporti con i figli si ritiene che in capo ai coniugi persista l’obbligo di contribuzione. La separazione giudiziale può anche essere addebita a uno dei due coniugi in virtù del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Uno degli effetti, in generale che si verifica sia a seguito della pronuncia di separazione consensuale e/o giudiziale è la possibilità per il coniuge economicamente più debole di richiedere l’assegno di mantenimento al fine di poter continuare a mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Proprio in riferimento a tale istituto, si è pronunciata recentemente la Cassazione che con un’ordinanza (nr.5242/2024) ha risolto la questione inerente la possibilità per il coniuge di richiedere l’assegno di mantenimento nonostante fosse in possesso di una laurea e lavorasse part-time. In modo particolare, la fattispecie su cui sono stati chiamata a decidere i Giudici di Piazza Cavour, ha avuto ad oggetto la richiesta di una donna, che, venuta a conoscenza della devoluzione di eredità che il suocero aveva lasciato all’ex marito chiedeva a quest’ultimo di versare anche a lei un assegno di mantenimento nonostante la stessa avesse un lavoro part time. La richiesta della donna veniva rigettata sia in primo grado che in Appello, in quanto i giudici, in questi gradi di giudizio ritenevano che la donna, anche in costanza di matrimonio, nonostante l’ex marito le avesse concesso di prendere una laurea non si era mai adoperata per cercare un lavoro, e che, pur avendone uno part time, dato ormai il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli non provvedeva a richiedere al datore di lavoro di incrementare le sue ore lavorative al fine di ottenere una retribuzione più alta di quella che riusciva ad acquisire.  Quindi, se da un lato la richiesta della donna di ottenere per sé un assegno di mantenimento veniva rigettata sulla base dell’esistenza della sua colpa  per non essersi adoperata per migliorare la sua posizione professionale e quindi di conseguenza la sua posizione economica; dall’altro lato, i Giudici hanno ritenuto che l’incremento del patrimonio dell’ex marito della donna derivante dalla devoluzione dell’eredità paterna, potesse essere considerato in relazione a un ricalcolo per il versamento dell’assegno di mantenimento nei confronti dei figli, infatti, seppur essi siano divenuti maggiorenni, è altrettanto vero che essendo ancora economicamente non autosufficienti necessitano di essere mantenuti. Quindi, sulla scorta di questo principio i Giudici della Cassazione hanno ritenuto che, differentemente per quanto accade per la richiesta di mantenimento esibita dall’ex coniuge avente capacità lavorativa, <<nella determinazione del contributo al mantenimento dei figli non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei genitori, poiché a queste va direttamente ragguagliata l’entità del mantenimento, così da assicurare ai figli, per quanto possibile e anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia».

Proprio per questo, quindi, è necessario in un nuovo processo d’Appello «accertare il variare delle condizioni patrimoniali (ed eventualmente reddituali) dell’uomo conseguenti al decesso del suo genitore», precisano i magistrati di Cassazione, e ciò «al fine di parametrare il contributo al mantenimento dei figli riguardo a queste nuove condizioni».


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