Le opzioni put e la loro compatibilità con il divieto di patto leonino

Le opzioni put e la loro compatibilità con il divieto di patto leonino

Sommario: 1. Introduzione –  2. Il divieto di patto leonino – 3. Le opzioni put – 4. Evoluzione giurisprudenziale – 5. Conclusioni

 

1. Introduzione

Prima di entrare nel merito della questione, ampiamente discussa in dottrina e giurisprudenza, pare opportuno svolgere brevi cenni sul divieto di patto leonino, espressamente previsto dall’art. 2265 c.c., e sulle c.d. opzioni put (o Put options), ossia delle clausole che possono essere inserite all’interno dello statuto o di patti parasociali per far fronte, tra le altre, a situazioni di stallo decisionale.

2. Il divieto di patto leonino

Nelle società, siano esse di persone ovvero di capitali, tutti i soci partecipano agli utili ed alle perdite secondo le modalità previste dallo statuto o dall’atto costitutivo. Tale autonomia incontra un limite invalicabile, ossia il divieto del c.d. “Patto Leonino”, che consiste nell’esclusione di uno o più soci dalla totale partecipazione agli utili o alle perdite. L’art. 2265 c.c., di fatti, prescrive la nullità di una simile pattuizione.

La ratio del divieto in parola è quella di preservare la causa tipica del contratto di società, mediante il quale due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art. 2247 c.c.).

È bene precisare che, benché l’art. 2265 c.c. sia topograficamente collocato all’interno della disciplina della società semplice, la dottrina da sempre ne ha esteso la portata alle società in generale, qualunque sia la forma da esse adottata. Ciò in quanto esso appare funzionale, congiuntamente all’art. 2247 c.c., a definire la causa tipica del contratto di società.

3. Le opzioni put

Le cosiddette Put options sono opzioni di vendita, la cui natura giuridica è quella di proposta irrevocabile, di fonte statutaria o parasociale, per effetto delle quali viene attribuito al concedente il diritto (non già l’obbligo) di vendere le proprie partecipazioni sociali all’opzionario.

Come prima accennato, tali opzioni possono essere utilizzate come strumento per superare uno stallo decisionale in seno all’assemblea.

La loro funzionalità è quella di permettere di sciogliere con più facilità il vincolo sociale.

Gli elementi costitutivi di tali opzioni sono: il prezzo d’esercizio (predeterminato o determinabile); un limite temporale predeterminato per l’esercizio; un corrispettivo per la concessione (come ad esempio il pagamento di un premio). Il corrispettivo può essere incorporato nel prezzo di esercizio.

Con particolare riguardo all’elemento temporale, è possibile distingue tra opzioni put c.d. americane ed europee. La differenza tra le due tipologie consiste nel fatto che le prime, invero nella prassi le più utilizzate, possono essere esercitate in qualsiasi momento prima della scadenza, mentre le seconde possono essere esercitate esclusivamente alla scadenza del termine.

Occorre soffermarsi sulla predeterminazione del prezzo, poiché proprio tale elemento è stato, ed è tuttora, al centro del dibattito sulla legittimità o meno delle clausole in parola.

Ci si è, in particolare, interrogati sulla possibilità di prevedere un simile diritto di vendita delle proprie partecipazioni sociali a prezzo fisso, senza possibilità di aggiustamenti per allinearlo al valore effettivo delle partecipazioni al momento dell’esercizio dell’opzione, senza con ciò violare il divieto di patto leonino sancito all’art. 2265 c.c.

Il rischio, dunque, è che un simile strumento venga utilizzato dal concedente per proteggersi da eventuali perdite.

Sul punto si è sviluppata una significativa giurisprudenza della S.C. di Cassazione che, a partire dalla metà degli anni 90’, è stata a più riprese investita della questione, addivenendo a soluzioni sempre più mirate.

4. Evoluzione giurisprudenziale

Inizialmente, con sentenza n. 8927 del 29 ottobre 1994, la Cassazione aveva affermato che il divieto di esclusione dalla partecipazione agli utili o alle perdite dovesse essere riguardato in senso sostanziale, e non formale, per cui esso avrebbe dovuto essere ritenuto sussistente anche quando le condizioni della partecipazione agli utili o alle perdite fossero, nella previsione originaria delle parti, di realizzo impossibile, e nella concretezza determinassero una effettiva esclusione totale da dette partecipazioni.

La S.C., dunque, in tale occasione, non prende una posizione ben definita, limitandosi a porre l’accento sul criterio sostanziale per valutare, di volta in volta, se le opzioni put, così come pattuite dalle parti, possano o meno essere ritenute contrarie al divieto di cui all’art. 2265 c.c.

Solo in tempi recenti la giurisprudenza di legittimità è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla questione e lo ha fatto, in particolare, con la sentenza n. 17500 del 4 luglio 2018. Con tale pronuncia la Corte ha affermato la liceità e la legittimità l’accordo negoziale con il quale i soci di una società si obblighino a manlevare un altro socio dalle eventuali conseguenze negative dell’investimento effettuato nel capitale della società, mediante l’attribuzione di un’opzione di vendita “put” entro un dato termine e la costituzione di un corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione oggetto di opzione ad un prezzo predeterminato.

Le put options vengono, dunque, qualificate come accordi di manleva, ossia dei negozi atipici con funzioni di garanzia, in virtù dei quali un soggetto assume l’obbligo di sollevare un’altra parte, la quale acquisisce correlativamente il diritto di essere tenuta indenne dalle eventuali conseguenze patrimoniali dannose derivanti da un determinato evento, dalla condotta dello stesso mallevadore o di terzi. Tale accordo, nel nostro ordinamento, è considerato legittimo nella misura in cui alla base vi sia un interesse del mallevadore all’assunzione di oneri patrimoniali, a pena di nullità per mancanza o illiceità della causa.

Tuttavia, la pronuncia appena esaminata non è stata sufficiente a fugare ogni dubbio circa la compatibilità delle opzioni put con il divieto di patto leonino. Pertanto la S.C. è dovuta intervenire un’altra volta con l’ordinanza n. 27277 del 7 ottobre 2021, mediante la quale ha precisato che “in tema di patti parasociali, è valida la previsione all’interno di essi di opzioni put e call tra i soci stipulanti, identificandosi la causa concreta del negozio in una forma di garanzia per il socio finanziatore, come tale rientrante nell’autonomia contrattuale concessa ai soci e pertanto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento”.

Quello appena esposto rappresenta l’orientamento attuale della Corte in tema di put options, accolto e condiviso altresì dalla giurisprudenza di merito.

5. Conclusioni

Alla luce di quanto finora detto è possibile concludere che, nell’ipotesi di opzione put a prezzo preconcordato, occorrerà di volta in volta ricostruire la causa concreta del programma contrattuale, per valutare se esista, sia lecita e meritevole di tutela. Il patto non potrà, pertanto, ricadere nel divieto ex art. 2265 c.c. e supererà positivamente il vaglio ex art. 1322 c.c. (che disciplina l’autonomia contrattuale) laddove l’esclusione dalle perdite non sia strutturalmente assoluta e costante e non ne integri la funzione essenziale o causa in concreto, tenuto conto del regolamento negoziale nel suo complesso.


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