Le scelte e gli obiettivi di massimizzazione: dal consumatore all’impresa

Le scelte e gli obiettivi di massimizzazione: dal consumatore all’impresa

Sommario: 1. Introduzione: il “costo opportunità” – 2. Le scelte e gli obiettivi del consumatore – 3. Le scelte e gli obiettivi dell’impresa

1. Introduzione: il “costo opportunità”

Quotidianamente, ciascun individuo pone in essere delle scelte, volte a soddisfare propri desideri, influenzate da numerosi fattori ostativi e vincolanti, in primis reddito, ricchezza e tempo insufficienti[1]. Senza dubbio, in presenza di tempo e capacità di spesa abbondanti, ogni soggetto potrebbe procacciarsi e godere di tutti i beni e servizi che desidera, diversamente, la scarsità degli stessi lo induce a dover indirizzare e distribuire le proprie risorse e tempo, sino a dover fare delle vere e proprie rinunce.

Per gli economisti, infatti, ogni scelta comporta un sacrificio, o più precisamente, la rinuncia all’occasione di avere qualcosa di alternativo, e tale concetto è sintetizzato dalla locuzione “costo opportunità”. Quest’ultimo non va inteso in senso strettamente monetario, poiché vi sono due tipi di costo opportunità: i costi espliciti e i costi impliciti. I primi consistono nel denaro a cui si rinuncia effettuando un pagamento, mentre i secondi si sostanziano in tutto ciò che viene sacrificato e che non ha una consistenza prettamente monetaria, primo fra tutti: il tempo. Peraltro, anche il tempo si traduce in una perdita di denaro, specificatamente, nella rinuncia a quel guadagno che si sarebbe potuto conseguire nel medesimo frangente. Di conseguenza, il costo di una scelta espresso in denaro è solo un piccolissima parte del ben più ampio costo opportunità, comprendente anche valori non meramente monetari.

Muovendo da un’ottica individuale ad una più estesa, quale quella della società, pure si ravvisano costi impliciti, come l’impiego delle risorse, tanto che, secondo Friedman[2], “non esistono pasti gratuiti”, poiché ciò che può essere gratuito per un soggetto, nasconde sempre un costo, ossia il prezzo pagato dalla società, costituito dall’uso di risorse per la creazione del pasto, a cui tutta la società rinuncia, privandosi della possibilità di procurarsi altri prodotti. Per questo motivo, un pasto “gratuito” non è realmente tale per la società, nel complesso considerata[3], anzi, è opportuno evidenziare che siffatto ragionamento è valido per qualsiasi tipo di bene o servizio definito gratuito, sicché, per la società, il concetto di gratuità non esiste.

1. Introduzione: il “costo opportunità”

Come sopra anticipato, ogni individuo deve fare i conti con la necessità di corrispondere un prezzo per ogni bene o servizio di cui intende godere e della disponibilità limitata delle risorse con cui farvi fronte, sicché la teoria del consumatore analizza esattamente i meccanismi che sottendono le scelte di spesa degli individui. A tal riguardo, il c.d. vincolo di bilancio è finalizzato ad individuare le combinazioni di prodotti che il consumatore può permettersi in base ai differenti livelli di prezzo e limitatamente al proprio budget. Da un punto di vista grafico, il vincolo di bilancio è rappresentato dalla linea di bilancio, la quale distingue tutte le combinazioni di prodotti raggiungibili dal consumatore, ossia quelle rappresentate dai punti al di sotto e a sinistra della linea, da tutte quelle non accessibili, poste al di sopra o a destra della medesima linea.

Certamente, la teoria del consumatore, nell’esaminare le scelte dello stesso, attribuisce fondamentale considerazione alle sue preferenze che, sebbene siano differenti, non escludono la sussistenza di denominatori comuni. In particolare, si suppone che i consumatori debbano scegliere tra due alternative, preferendone una o attribuendo loro pari valore, che siano tra di loro logicamente coerenti, quindi transitive, per cui si parla di “preferenze razionali” ed, infine, un’altra caratteristica comune alle preferenze di tutti i consumatori consiste nella convinzione per la quale “più è meglio”, sicché il consumatore è più soddisfatto se sceglie ed ottiene quantità maggiori di ciascun bene o ciascun servizio, senza che venga sottratto null’altro.

In buona sostanza, ogni consumatore cerca di massimizzare la propria utilità, intesa come soddisfazione, per cui, da un punto di vista grafico, egli preferisce sempre un punto sulla linea di bilancio, anziché uno al di sotto della stessa. Tale concetto riproduce uno dei principi fondamentali dell’economia, in ossequio del quale per comprendere e prevedere il comportamento degli agenti economici, è opportuno analizzare gli effetti aggiuntivi o marginali delle loro azioni. Tale criterio si applica alle decisioni del consumatore, così come comprovato da due teorie diverse, ossia l’approccio dell’utilità marginale e quello delle curve di indifferenza, che giungono alle identiche conclusioni.

L’approccio dell’utilità marginale evidenzia che, sebbene l’utilità di un individuo cresca ogni volta che viene consumata un’ulteriore unità di un dato bene, quella soddisfazione aggiuntiva diminuisce sempre di più, pertanto, tale variazione è denominata utilità marginale dell’unità aggiuntiva. Tale concetto è veicolato dalla c.d. legge dell’utilità marginale decrescente, per cui, all’aumentare del consumo di un bene o di un servizio, l’utilità marginale diminuisce. Dunque, ad ogni incremento di unità del consumo di un bene, quella marginale è pari alla variazione di quella totale. Inoltre, graficamente, la curva dell’utilità marginale ha pendenza negativa, mentre la curva dell’utilità totale ha una pendenza positiva ma decrescente, tanto che tende ad appiattirsi, finché l’utilità marginale derivante da ogni ulteriore utilizzo raggiunge il livello zero ed il consumatore non ottiene più alcuna soddisfazione. Da ciò ne deriva che la massima soddisfazione cui il consumatore può aspirare è rappresentato graficamente dal punto sulla linea di bilancio, in cui l’utilità marginale è la stessa per entrambi i beni, non potendo conseguire alcun ulteriore vantaggio dalla riallocazione della spesa.

L’approccio alternativo, come accennato, è quello delle curve di indifferenza, anch’esse aventi un andamento decrescente. Nello specifico, i presupposti di tale metodo sono i seguenti: il consumatore confronta coppie di opzioni e decide quale sia la migliore o le considera ugualmente allettanti, le scelte sono logicamente coerenti e, infine, preferisce avere quantità maggiori, così rievocando la scelta sulla linea di bilancio.

Elemento essenziale di tale approccio è la disponibilità allo scambio, noto come tasso marginale di sostituzione di un bene con un altro, il quale esprime la quantità massima del bene Y che il consumatore sarebbe disposto a scambiare per avere un’unità aggiuntiva del bene X. Ad esempio, considerato un punto situato in alto sulla curva di indifferenza del soggetto, correlato a molti beni Y e pochi beni X: il consumatore gradirebbe molto un’unità in più del bene X, pur rinunciando a molti beni Y, perciò il tasso marginale di sostituzione di Y con X è alto e la curva è ripida. Al contrario, considerato il punto più basso sulla curva: il consumatore è più restio a scambiare il bene Y con il bene X, sicché in questo diverso caso il tasso marginale di sostituzione di Y con X è basso, mentre la curva è piana. Le varie preferenze del consumatore sono espresse da più curve di indifferenza, le quali, complessivamente considerate, costituiscono una mappa di indifferenza.

In definitiva, la mappa di indifferenza esprime in maniera completa le preferenze dell’individuo e consente di conoscere quale dei due beni o servizi è preferito o se, diversamente, i due beni o servizi sono equivalenti dal punto di vista dell’apprezzamento e soddisfazione che arrecano.

Anche in virtù di tale secondo approccio è possibile confermare che ogni consumatore ha come scopo la massimizzazione delle utilità, cioè, in parole semplici, vuole essere il più appagato possibile. Precisamente, la combinazione ottimale di due beni per un consumatore deve corrispondere a un punto della linea di bilancio e appartenere alla curva di indifferenza più alta, corrispondendo, così, al punto di tangenza di una curva di indifferenza sulla linea di bilancio, allora, le due predette curve devono avere la stessa pendenza, sebbene non si intersecano.

3. Le scelte e gli obiettivi dell’impresa

Ciascuna impresa combina gli input per ottenere beni e servizi a loro volta finalizzati a conseguire profitti, i quali costituiscono il risultato dei ricavi, al netto dei numerosi costi di produzione e delle imposte corrisposte allo Stato.

Per quanto afferisce ai costi di produzione, secondo le valutazioni degli economisti, anche questi costituiscono delle forme di costo opportunità, poiché sono dei sacrifici indispensabili posti in essere dalle imprese, al fine di realizzare una determinata quantità di prodotto. Non è, invece, un costo opportunità il sunk cost, ossia quel costo che si è sostenuto in passato o che si deve ancora pagare, a prescindere da azioni future, insomma, esso è un costo irrecuperabile. Anche in questo ambito, inerente l’impresa, si riscontrano costi espliciti, che comportano un esborso di denaro e costi impliciti, che, al contrario, non prevedono alcun esborso, si pensi al sacrificio sostenuto per l’utilizzo di un locale che, quindi, non viene concesso in locazione, con contestuale perdita e rinuncia al canone locatizio: ebbene questo configura un costo implicito di produzione. Inoltre, i costi si definiscono fissi se corrisposti per gli input fissi, che restano costanti a prescindere dalla produzione, e variabili per gli input variabili, i quali aumentano al crescere della produzione. Pertanto, la somma dei costi fissi e di quelli variabili compone la voce dei costi totali.

Il sistema secondo cui gli input possono essere combinati, per realizzare beni o servizi, viene definito tecnologia dell’azienda, a sua volta considerata come un vincolo per la produzione di un’impresa, espresso dalla funzione di produzione. Quest’ultima mostra, in base alla diversa associazione di input, la quantità massima di prodotto che un’impresa può realizzare, infatti, se un’impresa decide di modificare il proprio livello di produzione, anche il fabbisogno di input cambia.

A tal riguardo, è opportuno sottolineare che le decisioni delle imprese si distinguono in quelle di breve periodo e quelle di lungo periodo, ove le prime sono caratterizzate dalla circostanza per la quale sia impossibile modificare gli input fissi, che restano costanti a prescindere dalla quantità di prodotto realizzata. Diversamente, nel lungo periodo, vi è il tempo sufficientemente esteso per poter adeguare tutti i fattori della produzione, sicché, in breve, mentre nel lungo periodo sono modificabili tutti i tipi di input, in quello breve sono modificabili esclusivamente gli input variabili. A titolo meramente esemplificativo, considerando esclusivamente due soli input, il lavoro sarebbe un input variabile, mediante l’assunzione di un nuovo lavoratore, invece, il capitale costituirebbe un input fisso. Inoltre, all’assunzione di un lavoratore nuovo corrisponderebbe un aumento della quantità prodotta, ovvero il prodotto marginale del lavoro, indicante i beni aggiuntivi realizzati con l’assunzione di un ulteriore addetto, che rappresenta il rapporto fra la variazione della quantità di prodotto totale e quella del numero dei dipendenti assunti. Peraltro, l’assunzione di più dipendenti comporterebbe che, in un primo momento, il prodotto marginale del lavoro aumenti, per poi diminuire, man mano che aumentano i lavoratori. Tale concetto è ripreso dalla legge dei rendimenti marginali decrescenti, una legge fisica e non economica, basandosi sulla natura della produzione: vi è una relazione materiale tra input e prodotto, posta una certa definita tecnologia. Essa concerne, in verità, qualsiasi fattore produttivo variabile, per cui aggiungendo una quantità sempre maggiore di un input a una combinazione fissa di altri, che rimangono costanti, il prodotto marginale diminuisce.

Per concludere, l’obiettivo finale di ogni impresa consiste nel maggior profitto da realizzare, seguendo la regola del costo minimo, in virtù della quale essa deve scegliere, nel lungo periodo, la combinazione di input che costa meno ed è, quindi, la più economica.

Per completezza è, altresì, opportuno rammentare che il profitto non viene ivi inteso solo in senso contabile[4], ma anche in senso economico[5], poiché gli economisti hanno una visione più ampia dei costi e considerano tutto ciò che viene sacrificato in termini di costo opportunità, per tale ragione, anche questa tipologia di profitto orienta le imprese nelle decisioni da prendere.

 

 

 

 

 

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[1] L’economia studia esattamente la scelta effettuata in stato di scarsità di tempo e capacità di spesa.
[2] Milton Friedman, economista statunitense (New York 1912 – San Francisco 2006) premio Nobel per l’Economia nel 1976.
[3] Ex multis, cfr. M. FRIEDMAN, There’s No Such Thing as a Free Lunch (1975).
[4] Considera solo i costi espliciti, ad accezione dell’ammortamento, giacché non comporta un esborso di denaro.
[5] Esso è dato dalla differenza tra ricavo totale e costi di produzione espliciti ed impliciti.

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Alessia Aversa

Scopre presto la sua passione per la scrittura, così la coltiva iscrivendosi al Liceo Classico. Durante gli studi liceali, viene selezionata per effettuare due brevi programmi operativi nel Regno Unito, tra cui stage lavorativo presso un ufficio di consulenza d'affari. Consegue la maturità classica con il massimo dei voti, elaborando la Tesi: "La parola come strumento di accesso relativistico alla realtà" e dimostrando già un’attenzione particolare per le potenzialità performative delle parole. Frequenta la Facoltà di Legge dell'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" e sostiene esami extra-curriculari in psicologia sociale e filosofia morale. Consegue la Laurea in Giurisprudenza Magistrale cum laude e menzione alla carriera accademica, discutendo la Tesi in Diritto Processuale Penale: "La manipolazione della memoria del testimone". In quest'ultima confluiscono non solo studi giuridici relativi all'istituto della testimonianza ed alla cross-examination, ma anche studi -da autodidatta- di psicologia della testimonianza, scienza della memoria e neuroscienze. Anche in materia testimoniale, sottolinea la rilevanza delle potenzialità delle parole, in quanto tese alla ricostruzione della verità processuale. Iscritta al Registro Praticanti Avvocati dell'Ordine di Bari, svolge la pratica forense presso uno Studio Legale che opera in ambito civile e penale, fornendo anche consulenza a società.E' selezionata come tirocinante per l'ufficio legale e contenzioso di ARPA Puglia, dove attualmente svolge un'attività intensa e proficua.

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