L’evoluzione del riconoscimento giuridico della persona transgender in Italia, dal 1982 al DDL ZAN

L’evoluzione del riconoscimento giuridico della persona transgender in Italia, dal 1982 al DDL ZAN

Al momento della propria nascita si acquisisce una precisa capacità… quella giuridica, che rende la persona titolare di una serie di diritti e doveri. Uno dei primi diritti che viene riconosciuto all’essere umano, in quanto tale, è quello di avere dignità.

Una dignità riconosciuta e garantita da ogni testo giuridico nazionale, sovranazionale e internazionale a tutti i soggetti di diritto. Esiste, però, dignità per un essere umano al quale viene impedito di essere semplicemente ciò che è?

La società si evolve continuamente, i suoi usi e costumi continuano a cambiare, modificarsi e la legge ha il compito di adattarsi a tali mutamenti. Succede, in alcuni casi, che l’identità sessuale del nascituro non coincida necessariamente con quella che verrà percepita come propria dallo stesso soggetto nel corso della propria nascita, in questo caso di parla di persona transgender. Come si è evoluta la disciplina di riconoscimento giuridico delle donne e degli uomini transgender?

Il primo ed effettivo strumento del nostro ordinamento giuridico è la L. 164/1982, la sua emissione è fondamentale perché prima di essa veniva considerata illecita qualsiasi procedura volta al modificare il sesso di nascita della persona. Con tale norma giuridica si introducono 7 articoli disciplinanti la possibilità di rettificare i documenti della persona nel momento in cui, una sentenza del tribunale, attribuisca alla stessa un sesso diverso da quello enunciato all’interno dell’atto di nascita, mutamento dovuto alla modifica dei caratteri sessuali [art. 1].

Per la rettifica dei documenti era necessario il ricorso al tribunale e nel momento in cui la sentenza accoglieva la domanda di rettificazione di attribuzione del sesso esso ordinava all’ufficiale di stato civile del comune ove compilato l’atto di nascita di effettuare la rettificazione nel registro e successivamente tutte le attestazioni di stato civile, riferite a quella determinata persona, sarebbero state rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome [art. 5].

L’art. 3, però, imponeva la modifica dei caratteri sessuali della persona tramite operazione medico-chirurgica, si parla del Sex Reassignement Surgery [SRS] ovvero Gender Reassignement Surgery [GRS], solo nel momento in cui la persona fosse intervenuta tramite un adeguamento del proprio organo genitale, questa avrebbe potuto richiedere ed ottenere la rettificazione dei documenti, difatti lo stesso art. 6 prevedeva che nel momento in cui fosse entrata in vigore tale legge e l’attore si fosse già sottoposto a trattamenti medico-chirurgici il ricorso di cui all’art. 1 c. 2 doveva essere proposto entro il termine di un anno dalla data suddetta. E l’accoglimento della domanda estingue i reati cui abbia dato luogo il trattamento medico chirurgico. Inoltre, la sentenza del tribunale provocava l’immediato scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso [art. 4]

Come esplicitato nel paragrafo precedente, la legge 164/1982 prevedeva che solo qualora la persona fosse intervenuta al fine di modificare i propri caratteri sessuali, questa avrebbe potuto richiedere la rettificazione dei documenti, per questo è stato posto un quesito di legittimità costituzionale alla Corte in riferimento agli artt. 1 e 5 L. 164/1982. La questione viene sollevata dalla Corte di Cassazione in pendenza del processo sulla rettificazione del sesso di Boriello Pasquale [Sentenza 161/1985].

Nel 1979 la Corte di appello di Napoli rigetta la domanda del Sig. Boriello con la quale veniva chiesto dal ricorrente la rettificazione del sesso. Il rigetto veniva giustificato dalla Corte che sosteneva la rilevanza del “carattere maschile dei cromosomi, delle gonadi e degli originali organi genitali esterni”, quindi secondo la Corte non rileva, per il caso in esame, la caratterizzazione psichica e femminile del soggetto e l’operazione medico-chirurgica alla quale questo si è sottoposto. Avverso tale sentenza viene proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione, la quale rilevava dubbi di legittimità costituzionale, presentando il caso innanzi alla Corte essa sosteneva un contrasto degli artt. 1 e 5 L. 164/1982 nei confronti degli artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione. Come è possibile leggere nel testo della sentenza “transessuale, secondo la dottrina medico-legale, viene considerato il soggetto che, presentando i caratteri genotipici e fenotipici di un determinato sesso sente in modo profondo di appartenere all’altro sesso [o genere] del quale ha assunto l’aspetto esteriore ed adottato i comportamenti e nel quale, pertanto, vuole essere assunto a tutti gli effetti e al prezzo di qualsiasi sacrificio”. Viene ritenuto necessario ed irrinunciabile per il legislatore l’intervento chirurgico volto a ricostruire gli organi genitali e poi dare corso alla rettificazione anagrafica del sesso.

La rilevanza di tale sentenza si individua nel fatto che viene riconosciuta la prevalenza dei fattori psicologici e sociali rispetto al solo riferimento degli organi genitali esterni di nascita, anche se, inizialmente per la giurisprudenza l’intervento di modifica e riassegnazione sessuale risulterà necessaria per ottenere la rettificazione dei dati anagrafici.

Nel 2011 vengono apportate una serie di modifiche alla L. 164/1982, difatti al capo IV dedicato a “Delle controversie regolate dal rito ordinario di cognizione” l’articolo 31 disciplina le controversie in materia di rettificazione di attribuzione del sesso, la norma prevede che queste siano regolate con le modalità del rito ordinario a meno che tale articolo non preveda diversamente. Al comma 4 si legge chequando risulta necessarioun adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato […]. Però anche in questo caso è previsto lo scioglimento coattivo del matrimonio o degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. È importante analizzare l’inciso “quando risulta necessario”, e come viene, quindi, interpretato dalla giurisprudenza.

Inizialmente, come confermato dalla stessa Corte Costituzionale, anche se la L. 164/1982 prevedeva a sua volta che l’adeguamento degli organi genitali esterni poteva avvenire quando risultava necessario, in realtà la sottoposizione ad intervento di riassegnazione sessuale era considerato obbligatorio, creando non pochi problemi per la persona transgender.

Necessario il riferimento alla sentenza 15138/2015 della Corte di Cassazione relativa ad un ricorso avverso la sentenza 29/2013 della Corte d’appello di Bologna. Il ricorrente durante l’anno 1999 richiedeva al Tribunale di Piacenza l’autorizzazione al trattamento chirurgico, così da poter ottenere la correzione dei propri dati anagrafici. Tale domanda veniva accolta dal tribunale. Successivamente, però, il soggetto deciderà di non sottoporsi ad alcun intervento chirurgico, in quanto temeva complicazioni post-operatorie e, inoltre, aveva raggiunto una completa armonia con il proprio corpo, per cui non risentiva della necessità di procedere alla riassegnazione sessuale, ma il tribunale ritenendo inderogabile tale procedura, rigettava la domanda.

Contro tale decisione viene proposto ricorso, in quanto la parte riteneva che non potesse costituire condizione imprescindibile quella di sottoporsi ad un intervento ricostruttivo, sottolineando che tale necessità si presentasse solo qualora fosse percepita come tale dalla persona stessa. Inoltre, il richiedente, sottolineava che il testo delle L. 164/1982 non distingueva tra caratteri sessuali primari e secondari; per caratteri sessuali primari si intendono gli organi genitali esterni che identificano il sesso della persona, per caratteri secondari, si identificano invece le caratteristiche fisiche e anatomiche del genere, quindi, secondo lo stesso è necessario interpretare il testo della norma in modo da ritenere sufficiente il solo adeguamento dei caratteri sessuali secondari.

Si ritiene inevitabile soffermarsi sul processo di transizione, analizzare le procedure a cui si sottopone la persona transgender; l’iter di transizione si costituisce secondo le seguenti fasi [si tratta di una lista esemplificativa, non tassativa del processo]:

  1. Introspezione: si intende quella fase per cui la persona inizia a individuare la propria identità, a farsi domande su di sé e sentire la necessità di confrontarsi con altre persone.

  2. Contatto con professionisti: lo scopo della persona è ricevere tutte le informazioni necessarie in modo tale da capire meglio sé stessi e conoscere le terapie ormonali.

  3. Terapia psicologica: si tratta di un supporto con duplice rilevanza, la prima c.d. diagnostica ove si valuta la condizione della persona, la seconda c.d. terapeutica/supportiva con il fine di aiutare la persona nei momenti difficili.

  4. Terapia ormonale: dopo sei mesi di supporto psicologico si discute della opportunità di iniziare la terapia ormonale.

  5. Real life test: nel c.d. “real life test” la persona inizia a vivere nel mondo come soggetto facente parte del genere identificato come proprio, quindi non solo con una propria identificazione, ma inizia ad interagire con il mondo esterno.

  6. Iter legale: nel caso in cui la persona decida di intervenire chirurgicamente e ottenere la rettificazione dei dati anagrafici.

  7. Riconversione chirurgica del sesso: una volta ottenuta l’autorizzazione da parte del tribunale, con la proposizione dell’intervento ad un centro chirurgico la persona viene inserita all’interno di una lista di attesa. Con tale operazione vengono asportati gli organi genitali e si procede alla ricostruzione.

  8. Reinserimento sociale: è importante sottolineare che questa fase iniziale dal momento in cui si procede al “real life test” e si conclude con l’iter legale. Si cerca di avere una affermazione del soggetto dal punto di vista sociale.

  9. Follow-up: si tratta di tre incontri, i quali avvengono con cadenza semestrale, annuale e biennale dall’operazione, con l’intento di valutare l’effettivo reinserimento sociale e le condizioni psico-fisiche della persona.

Come è possibile rilevare dal paragrafo precedente il percorso di transizione costituisce un processo lungo e complicato volto a consentire alla persona di identificarsi con il genere di appartenenza. Nel caso in esame, la persona sottoposta a terapia ormonale, aveva subito una serie di operazioni chirurgiche volte a modificare i propri caratteri sessuali secondari tramite rinoplastica, mastoplastica additiva etc.

Nel corso del processo il giudice decide di nominare due consulenti tecnici i quali dichiarano l’ottenimento di un bilanciamento psico-fisico da parte del ricorrente, “negli anni ’80, quando è entrata in vigore la L.164/1982 il mutamento dei caratteri anatomici era ritenuto un requisito necessario per portare a termine il processo di mutamento del sesso. […]”, si è poi assistito ad una continua evoluzione medico-scientifica, ma non solo, anche in Europa con la CEDU [fondamentale sarà la sentenza Y.Y. c. Turquie, di cui tratteremo nei prossimi paragrafi] si assisterà ad una crescita anche giuridica della materia. La Corte di Cassazione si pronuncerà sul caso dichiarando che, per garantire una applicazione degli artt. 1 – 3 L. 164/1982 sia necessario interpretarli in modo tale che l’inciso “quando risulti necessario” non imponga al soggetto di sottoporsi ad alcun intervento chirurgico avente lo scopo di demolire e/o cambiare i caratteri sessuali primari.

Precisando per il caso in esame che, avendo le consulenze affermato la definitività della scelta di genere e che quindi l’unica ragione che ostacola l’accoglimento della domanda sia la sottoposizione a operazione medico-chirurgica, la Corte decide di accogliere la domanda di rettificazione dei dati anagrafici.

Anche la stessa Corte Costituzionale si pronuncerà in merito alla obbligatorietà di sottoporsi ad interventi chirurgici con la sentenza 221/2015. In questo caso il dubbio di legittimità costituzionale è stato sollevato dal Tribunale ordinario di Trento nel 2014. Il giudizio di legittimità si riferisce all’art. 1 L. 164/1982 in relazione agli artt. 2 – 3 – 32 e 117 c. 1 [in relazione all’art. 8 CEDU]. Il problema viene posto sempre in riferimento ai dubbi costituiti dall’inciso “quando risulti necessario”, secondo il giudice a quo anche con l’utilizzo dell’avverbio “quando” non si garantisce la possibilità di ottenere la rettificazione senza la modifica dei caratteri sessuali primari.

Nella sentenza si può leggere che “la prevalenza della tutela della salute dell’individuo risulta autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psico-fisico […], la prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo, funzionale al benessere psico-fisico”.

Vediamo, quindi, l’evolversi della giurisprudenza, questa riconosce piena prevalente e considerazione alla persona umana. L’ordinamento italiano, per tale tematica, viene ad adattarsi alla disciplina internazionale dopo la sentenza 10.03.2015 – Y.Y c. Turchia della Corte EDU. Le stesse sentenze precedentemente citate della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale citano, all’interno del dispositivo, il riferimento all’articolo 8 CEDU.

In questo caso il ricorrente Y.Y. capisce in età precoce di essere un ragazzo transgender, chiede quindi di potersi sottoporre a operazione di riassegnazione sessuale, ma tale richiesta viene rigettata dal tribunale. In alcuni Stati, facenti parte del Consiglio d’Europa, la necessaria incapacità di procreare viene riconosciuta come prerequisito per l’accoglimento della domanda di sottoposizione ad operazione medico-chirurgica per la modifica dei caratteri sessuali primari. Nel caso in esame il soggetto non viene ritenuto completamente incapace di procreare, per questo la Corte rigetterà la domanda. Il soggetto presenta ricorso dinnanzi alla Corte nazionale e innanzi alla CEDU per il fatto che l’inabilità permanente a procreare costituisca un requisito per cambiare sesso. La CEDU rileva quindi una violazione da parte dello Stato del diritto al rispetto alla vita privata. Sarà questa sentenza la base per un maggiore riconoscimento della persona umana in quanto tale.

Un ulteriore problema posto dalla L. 164/1982, l’art. 4 prevedeva che, in applicazione del principio stabilito dall’art. 143 c.c. per il quale “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”, prevedendo quindi la impossibilità di costituire matrimonio tra persona dello stesso sesso, per questo nel momento in cui vi fosse stata sentenza di accoglimento del tribunale per la rettificazione del sesso, questa produceva immediata cessazione degli effetti matrimoniali. Si parla del c.d. divorzio imposto. Non era in questo caso prevista alcuna manifestazione di volontà dei coniugi, ma l’annullamento era immediato, creando un danno per le coppie nel momento in cui uno dei due avesse proceduto alla rettificazione dei dati anagrafici.

Sia la Corte Costituzionale, sia la Corte di Cassazione si sono pronunciate in merito nel 2014 e nel 2015 con la sentenza 170/2014 e la sentenza 8097/2015.

La sentenza 170/2014 della Corte Costituzionale si riferisce al giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 L. 164/1982 riprendendo quando già esplicato nei paragrafi precedenti l’art. 2 sottolineava la necessità di ricorrere al tribunale per la rettificazione del sesso e l’art. 4 imponeva, appunto, lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Il giudizio è stato promosso dai coniugi dopo che l’ufficiale di stato civile apposta la cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio vista la rettificazione del sesso del marito. La Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 in quanto non prevedevano la possibilità per i coniugi di mantenere il rapporto di coppia consentito con altre forme di convivenza. E dichiara di conseguenza l’illegittimità costituzionale dell’art. 31 d.lgs. 150/2011 per la medesima ragione, la Corte Costituzionale difatti sostiene eccessivamente oneroso il sacrificio risentito dalla coppa, un sacrificio troppo radicale per chi vuole mantenere la propria vita di coppia. Nel 2015 si è invece pronunciata la Cassazione, con lo scopo di dare attuazione alla dichiarazione di illegittimità costituzionale stabilita con sentenza 170/2014, accoglie il ricorso e conserva per le parti il riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dal matrimonio legittimamente contratto “fino a quando il legislatore non consenta ad esse di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti e obblighi”. Per questo la Corte dichiara illegittima la annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio e ne dispone la cancellazione.

Difatti, l’istituto del divorzio imposto costituisce una forte sproporzione percepita dai coniugi ai quali veniva resa obbligatoria la cancellazione del matrimonio e dei suoi effetti senza alcuna volontà degli stessi, per questo gli effetti del matrimonio vengono mantenuti fino a quando lo stesso legislatore individuerà un istituto da applicare alle coppie, per questo di deve attendere il 2016.

Nel 2016 viene promulgata la L. 76/2016 relativa alla “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” entrata in vigore il 5 giugno 2016, al comma 27 si può leggere che “alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue la automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

Con il d.lgs. 5/2017 verranno individuare una serie di disposizioni aventi lo scopo di adeguare le norme dell’ordinamento italiano alla L. 76/2016, tale decreto legislativo riguarda le trascrizioni di atti di stato civile, e introduce con l’art. 7 una modifica al d.lgs. 150/2011, introducendo il c. 4 bis all’art. 31 consentendo alle parti la modifica del regime patrimoniale dei coniugi.

In Italia sono diverse le persone transessuali vittime di violenza, fisica e/o psicologica. L’organizzazione Transgender Europe, nata nel 2005 ha lo scopo di dar voce alla comunità in Europa e in Asia centrale, essa ha istituito il “Trans Murder Monitoring [TMM]”, si tratta di un progetto volto a raccogliere e analizzare i dati in riferimento agli omicidi di persone transgender nel mondo. Tale progetto è iniziato nel 2009 e utilizza tre differenti metodi di raccolta dei dati:

  1. Ricerche Online: queste analisi fanno riferimento a notizie giornalistiche, articoli di blog, notizie da parte di organizzazioni non governative, notizie dei social media e mailing lists.

  2. Cooperazione con organizzazioni partner: in questo caso si procede allo scambio di dati che l’organizzazione transgender Europe effettua con organizzazioni partner.

  3. Contributi da parte di attivisti e ricercatori.

Nel TMM 2020 sono stati registrati 350 omicidi nel periodo 1° ottobre 2019 e 30 settembre 2020 con un incremento del 6% rispetto al 2019, per un totale di 3664 casi registrati tra il 1° gennaio 2008 e 30 settembre 2020.

Purtroppo, una ulteriore conseguenza della pandemia da COVID-19 è l’aumento del razzismo e della brutalità delle forze armate e si registra un incremento della violenza e di abusi nei confronti delle persone transgender che lavorano nel sex work, queste non sono sottoposte solo a brutalità, ma anche a emarginazione da parte della società.

In Italia sono stati registrati, tra il 2008 e il 2020, quarantadue omicidi di persone transgender, 4 solo nell’ultimo anno e si registrano casi di tortura, stupro, violenza verbale e discorsi di incitamento all’odio.

Il disegno di legge c.d. DDL ZAN ha lo scopo di individuare una serie di misure di prevenzione e di contrasto alla discriminazione e violenza basata sul sesso, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. L’art. 2 stabilisce una modifica all’art. 604 bis c.p. considera come reato chi istiga o commette discriminazione e violenza anche per ragioni fondate sul sesso, sull’identità di genere, orientamento sessuale e disabilità. L’art. 3, invece, procede ad una modifica all’art. 604 ter c.p. prevedendo l’aggravante per i reati commessi per finalità discriminatorie, odio etnico, nazionale, razziale o religioso o basati sul sesso, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.

L’art. 8 modifica il d.lgs. 215/2003 in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e alla identità di genere, viene inserito all’art. 7 il c. 2 bis, l’art. 7 prevede l’ufficio per il contrazione delle discriminazioni, questo avrà il ruolo di elaborare a cadenza triennale una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni fondate su orientamento sessuale e identità di genere, così da poter definire una serie di obiettivi e individuare delle misure di educazione, istruzione, lavoro, sicurezza, situazione carceraria, comunicazione e media. In ultimo, l’articolo 10 stabilisce una rilevazione statistica triennale da parte dell’ISTAT, sentito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, misurando opinioni, discriminazione e violenze subite.

Tra il 1982 e il 2020 vi è stata una ampia evoluzione giurisprudenziale nel riconoscimento giuridico delle persone transgender, ma non possiamo definire questo lavoro sufficiente, ma esso costituisce la base di un’attività che richiede ancora lavoro e sforzo nel riconoscimento di una categoria di persone molto spesso emarginata dalla società e vittima di forti pregiudizi, così da poter garantire per tutti una società equa e priva di discriminazioni.

 

 

 

 

 


Fonti:

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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Sara Onorato

Buongiorno a tutti! mi chiamo Sara e sono nata a Milano nel 1996, attualmente sono una studentessa di giurisprudenza presso l'Università Statale di Milano, ed aspiro a diventare avvocato.

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