No all’addebito della separazione personale se l’infedeltà è successiva alla crisi coniugale

No all’addebito della separazione personale se l’infedeltà è successiva alla crisi coniugale

Con sentenza n. 11130 del 6 aprile 2022, Cass. Civ., sez. VI-1 ha definito un quadro nitido e definitivo circa un nodo molto dibattuto in giurisprudenza negli ultimi anni, quello relativo alla possibilità di addebitare o meno la separazione al coniuge che abbia agito infedelmente nei confronti del partner.

Nel caso di specie, il cardine della decisione trae origine dalla revoca da parte della Corte di appello della pronuncia di addebito della separazione emessa dal giudice di primo grado a carico della moglie, in quanto, pur ammettendo l’infedeltà coniugale della stessa, era stato accertato che la condotta era stata posta in essere quando il rapporto coniugale risultava già  gravemente compromesso e segnato irrimediabilmente da una profonda crisi.

La vicenda processuale è molto articolata, stante il fatto che controparte  proponeva immediatamente ricorso in Cassazione, fondando le proprie ragione sui motivi brevemente esposti di seguito:

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 151, comma 2, c.c., in ordine all’art. 143 c.c., sulla base di due rilievi: da un lato, sostenendo che la mancata osservanza dell’obbligo di fedeltà è circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile; dall’altro, l’accertamento dell’anteriorità della crisi matrimoniale in merito alla condotta di adulterio deve essere scrupoloso.

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., sul punto dell’onere della prova, in quanto dalla motivazione della sentenza impugnata emergeva una personale e creativa lettura dei fatti slegata da ogni elemento probatorio.

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., circa gli artt. 115 e 116 c.p.c., poiché la Corte di merito avrebbe errato nel considerare la valutazione del referto medico come prova della pregressa crisi coniugale, palesando tale documento solo uno stato di malcontento unilaterale della donna non ancora sfociato in una vera e propria crisi matrimoniale.

I tre suindicati motivi sono stati ritenuti manifestamente infondati dalla Cassazione.

Il giudice di legittimità ha segnalato il consolidato orientamento secondo cui grava sulla persona che richiede – ai fini dell’inosservanza dell’obbligo di infedeltà – l’addebito della separazione all’altro coniuge, l’onere di provare la condotta ed il nesso di causalità nel rendere impossibile la prosecuzione della convivenza.

Circa l’addebito della separazione nell’ipotesi di infedeltà di uno dei coniugi, accertata nel periodo successivo alla disgiunzione di fatto della coppia, è opportuno segnalare che il giudice può pronunciare, su richiesta di un coniuge, l’addebito della separazione laddove l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza o il pregiudizio per la prole derivino da comportamenti coscienti e volontari dell’altro, che costituiscono obiettiva violazione dei doveri matrimoniali.

Con specifico riguardo all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, la giurisprudenza di legittimità ritiene, ormai da tempo, che l’infedeltà possa essere causa (anche esclusiva) dell’addebito della separazione «solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile alla crisi dell’unione»; al contrario, la condotta infedele, se conseguente al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, di conseguenza, giustificare una pronuncia di addebito.


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Avv. Eleonora Deborah Iannello

Avvocato, docente di diritto e redattore di articoli giuridici in materi di diritto civile e penale.

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