Polizze assicurative linked e funzione previdenziale nella sentenza della Cassazione n. 6219/2019

Polizze assicurative linked e funzione previdenziale nella sentenza della Cassazione n. 6219/2019

Sommario: 1. Cenni sul contratto di assicurazione – 2. Assicurazione sui danni e assicurazione sulla vita – 3. Polizze linked – 4. Sentenza della Corte di Cassazione n. 6219 del 2019

 

1. Cenni sul contratto di assicurazione

Il legislatore del 42’ dedica al contratto di assicurazione gli artt. 1882 e ss. del codice civile.

L’art. 1882 c.c. nel definire il contratto di assicurazione prevede che l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato dei danni subiti a causa di un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita nel caso si verifichi un evento attinente alla vita. I contratti assicurativi disciplinati dall’art. 1882 c.c. sono di due tipi: assicurazione sui danni e assicurazione sulla vita.

Le parti stipulano un contratto di assicurazione sui danni quando l’assicuratore si obbliga a ristorare l’assicurato dai pregiudizi patrimoniali subiti a causa di un evento avverso, che arreca un danno esattamente quantificabile.

Nell’assicurazione sulla vita, invece, il pagamento dei premi mira ad assicurare al soggetto una rendita o un capitale che saranno erogati quando si verificherà un evento attinente alla vita umana.

Il contratto di assicurazione[i], per definizione, è un contratto aleatorio e in quanto tale l’an, e tal volta il quantum della prestazione, dipende da un evento futuro e incerto, che è fuori dal controllo delle parti. Gli effetti che possono scaturire dal verificarsi o meno dell’evento sono: a) la mancata percezione dell’indennizzo oppure la ricezione di una prestazione di modico valore per il contraente che si è assicurato trasferendo il rischio, b) il pagamento di una prestazione particolarmente onerosa a carico del contraente che si è assunto il rischio.

L’assunzione del rischio è la causa del contratto, esso infatti ne è elemento essenziale la cui mancanza ne determina la nullità[ii]. Quanto detto è confermato dall’art. 1895 c.c., il quale stabilisce che “Il contratto [di assicurazione] è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto”. Peraltro, trattandosi di un contratto che dà vita ad un rapporto di durata, evidentemente anche le sopravvenienze contrattuali, se idonee ad alterare il sinallagma negoziale, sono giuridicamente rilevanti ai fini dello scioglimento del vincolo.

L’art. 1896 c.c. prevede, infatti, che se il rischio cessa di esistere dopo la conclusione del contratto il rapporto contrattuale dovrà intendersi risolto per mancanza sopravvenuta della causa, e l’assicurato sarà obbligato a pagare i premi fino a quando non comunicherà la cessazione del rischio all’assicuratore.

C’è poi un altro fattore che può avere ripercussioni sulla prosecuzione del rapporto assicurativo: la diminuzione o l’aumento esponenziale del rischio assunto in copertura.

Evidentemente, la riduzione ovvero l’aumento del rischio spostano il punto di equilibrio originariamente scelto dalle parti che rappresenta punto di incontro delle volontà contrattuali.

Infatti, il pagamento del premio postula come controprestazione la copertura di un rischio e non tanto l’indennità, che sarà pagata solo nel momento, a dire il vero solo eventuale, in cui il suddetto rischio si concretizzerà.

L’indennizzo potrebbe non essere mai pagato stante la incertezza che l’evento dannoso si verifichi, quindi la sinallagmaticità delle prestazioni dedotte in contratto intercorre tra pagamento del premio e assunzione del rischio. Vien da sé che la proporzionalità delle prestazioni deve persistere tra valore del premio e rischio assunto. Se l’ammontare dei premi da pagare dipende dalla probabilità che il rischio si verifichi e che verificandosi produca un certo pregiudizio, allora se il rischio diminuisce conseguentemente dovrebbe ritenersi consentito il pagamento di un premio inferiore a quello originariamente pattuito. Al contrario, se si registra un aumento del rischio dovrebbe allo stesso modo ritenersi consentito un aumento del premio a carico dell’assicurato.

Per di più, quando si verificano delle sopravvenienze che spostano il punto di equilibrio del contratto l’assicurazione può recedere dal vincolo contrattuale, piuttosto che accettare un premio inferiore o esporsi ad un rischio maggiore. Gli artt. 1897 e 1898 c.c. ne danno conferma in quanto riconoscono all’assicuratore la possibilità di scegliere tra il recesso e la prosecuzione del rapporto modificando il quantum delle prestazioni dedotte.

2. Assicurazione sui danni e assicurazione sulla vita

Come già accennato, la causa del contratto di assicurazione è la copertura di un rischio che viene trasferito dall’assicurato all’assicuratore. A fronte del trasferimento del rischio l’altra parte si obbliga a pagare dei premi, ed ecco che questo rapporto dà vita ad uno scambio di prestazioni. La controprestazione che l’assicuratore è tenuto ad eseguire non deve necessariamente consistere in uno spostamento patrimoniale, infatti è sufficiente che egli si obblighi a coprire la controparte dai rischi a cui essa è esposta.

Qualche considerazione deve essere svolta in tal senso riguardo all’assicurazione sulla vita.

In questo caso l’evento che l’assicurazione si obbliga a coprire sembra certo almeno nell’an. Quindi, quella inevitabile incertezza che caratterizza l’assicurazione sui danni, qui si riduce visibilmente perché l’assicurato paga il premio, e l’assicurazione ad un certo punta dovrà pagare un capitale o una rendita già predeterminate.

Qui l’alea non intercetta l’an della prestazione ma il quantum; nell’assicurazione sulla vita l’alea riflette il cd rischio demografico, cioè il rischio che il tempo di vita dell’assicurato sia superiore all’aspettativa di vita media che si desume dal calcolo degli indici Istat.

In base alla durata della vita dell’assicurato varia l’entità della prestazione dovuta dall’assicurazione, e quindi il rischio che l’assicuratore si assume è quello di dover pagare una rendita o un capitale più o meno elevato.

Quindi, se il soggetto decide di assicurare la propria vita da una certa età in poi e inizia a pagare i premi affinchè in futuro possa godere della rendita assicurativa, l’assicurazione sarà obbligata ad erogare la prestazione fintanto che il soggetto sarà in vita assumendosi il rischio demografico specifico di quell’individuo; e cioè il rischio che il soggetto possa rimanere in vita più di quanto statisticamente previsto.

Situazione analoga si verifica quando l’assicurazione sulla vita è stipulata dall’assicurato a vantaggio di terzi che beneficeranno dell’esborso assicurativo alla morte del primo. In questo caso l’assicurato paga i premi fino a quando vive e il rischio assunto dall’assicuratore è quello che egli possa morire prima di quanto preventivato in base all’aspettativa di vita media; sicché l’assicurazione potrebbe essere costretta a pagare un indennizzo superiore al valore dei premi ricevuti.

Quindi nell’assicurazione sulla vita il rischio coperto è quello demografico, mentre nell’assicurazione contro i danni il rischio è legato alla verificazione di un evento dannoso che tuttavia è incerto nell’an e nel quantum.

L’assicurazione contro i danni, infatti, è governata dal principio indennitario. L’assicurato non può giovare un arricchimento dall’indennizzo in quanto esso è preordinato a riportare il danneggiato nelle condizioni economiche in cui si trovava prima del danno, sulla cd curva di indifferenza. L’indennizzo mira a elidere il pregiudizio, per cui esso è parametrato al pregiudizio effettivamente patito; non si può ricevere, per effetto del contratto di assicurazione, un indennizzo che oltrepassa il valore del decremento patrimoniale subito.

Rappresentano una conferma del principio indennitario nell’assicurazione contro i danni gli artt. 1908 e 1909 c.c., essi prevedono che se il valore della cosa assicurata, dichiarato in contratto, è superiore al valore reale della res il contratto è invalido se l’assicurato ha agito con dolo, oppure, se non vi è stato dolo, “il contratto ha effetto fino alla concorrenza del valore reale della cosa assicurata”.

Ciò vale a condizione che al tempo della stipula del contratto non sia stata accettata dalle parti una stima sul valore del bene, la quale se accettata per iscritto (cd polizza stimata), implica una determinazione ex ante dell’indennizzo in base al valore di stima.

Un’ulteriore conferma del principio indennitario deve essere letta nell’art. 1910 c.c., rubricato “Assicurazione presso diversi assicuratori”. Anche in questa circostanza, ancorchè il soggetto abbia stipulato più contratti di assicurazione presso più assicurazioni per assicurare il medesimo rischio, comunque il principio è quello per il quale dall’indennizzo il danneggiato non può conseguire una locupletazione. Infatti, “[…] le somme complessivamente riscosse non potranno superare l’ammontare del danno[iii].

Le considerazioni fin qui svolte non sono estendibili al contratto di assicurazione sulla vita.

L’assicurazione sulla vita non persegue una funzione indennitaria bensì previdenziale, perché deve preservare l’assicurato, o il terzo beneficiario, da quegli eventi umani da cui derivano esigenze non previste ma prevedibili. L’obiettivo, dunque, è quello di predisporre i mezzi necessari per soddisfare le esigenze che scaturiscono dai fenomeni naturali che possono travolgere la vita dell’individuo.

Nell’assicurazione sulla vita, il pagamento dell’indennizzo può essere agganciato a due eventi che sono diametralmente opposti; in un caso l’assicuratore si obbliga a pagare il beneficiario al verificarsi della morte dell’assicurato, in questa evenienza è evidente che sarà un terzo a beneficiare dell’indennizzo; nell’altro caso il pagamento dell’indennizzo è legato alla sopravvivenza dell’assicurato. In quest’ultima ipotesi il pagamento dell’indennizzo dipende dal fatto che da un certo momento in poi l’assicurato sopravvive, e quindi lui o un terzo percepiranno una somma di denaro una tantum oppure una rendita fino al giorno in cui il primo sarà ancora in vita.

L’assicurazione sulla vita non pone vincoli in ordine al valore della somma di denaro o della rendita che l’assicuratore dovrà erogare perché qui, come già detto, non opera il principio indennitario ma quello previdenziale. Non rileva dunque l’entità del danno che deriva dalla morte o da altri eventi attinenti alla vita umana, essendo peraltro difficile quantificare il valore stesso della vita umana; qui il parametro di riferimento per stabilire la copertura economica prevista a favore del beneficiario è il valore del premio che l’assicurato ha scelto di pagare.

Il rischio trasferito dall’assicurato all’assicuratore consiste nel rischio demografico, e quindi il rischio che l’assicurato viva più a lungo rispetto a quella che è l’aspettativa di vita media calcolata secondo gli indici Istat.

Per cui, quando l’assicurazione viene stipulata sulla vita la prestazione economica dovuta dalla compagnia assicurativa è certa sia nell’an sia nel quantum se l’evento a cui essa si aggancia è l’evento morte, mentre è incerta nell’an ma certa nel quantum se si aggancia all’evento sopravvivenza a partire da un preciso anno di età.

Nell’assicurazione sulla vita il primo rischio che l’assicurazione si assume è quello demografico, al quale si aggiunge, anche, il rischio finanziario. L’assicurazione dopo aver ricevuto i premi li impiega sul mercato acquistando strumenti finanziari. Simile investimento ha il fine di far conseguire alla compagnia assicurativa un utile da utilizzare per pagare i capitali e le rendite promesse. Ma si badi, il pagamento dell’indennizzo al beneficiario prescinde dalla proficuità dell’investimento, e quindi anche se poi dall’investimento la compagnia assicurativa non consegue un utile comunque la somma stabilita dovrà essere pagata al verificarsi dell’evento. Quindi i rischi che l’assicuratore si assume sono due: demografico e finanziario.

L’assicurato non assume il rischio finanziario perché esso si riflette in via esclusiva nella sfera economica del soggetto assicuratore. Di regola, il soggetto che vuole assumersi un rischio finanziario piuttosto che pagare premi ad una assicurazione, decide di investire i suoi risparmi sul mercato acquistando strumenti finanziari dal cui rendimento dipenderà l’utile, incerto nell’an e nel quantum, che potrà conseguire.

3. Polizze linked

Tuttavia, negli ultimi anni, si è assistito ad una evoluzione della struttura del contratto di assicurazione sulla vita e sempre con maggior frequenza si assiste alla vendita di pacchetti assicurativi strutturalmente eterogenei rispetto al modello assicurativo tradizionale; la principale peculiarità è rappresentata dal fatto che la funzione previdenziale viene più o meno assorbita dalla funzione speculativa.

Si parla a questo proposito delle ccdd polizze assicurative linked[iv].

Le polizze linked possono essere index linked, quando la polizza è indicizzata, cioè collegata a indici azionari, oppure unit linked[v] quando l’assicurazione acquista una quota di un fondo di investimento con i premi dell’assicurato e l’indennizzo sarà commisurato al rendimento del fondo.

Simili forme contrattuali mutano i caratteri essenziali della polizza assicurativa.

Nelle polizze linked si vanifica la certezza per l’assicurato di conseguire la prestazione indennitaria in quanto essa si lega ad un fattore incontrollabile: l’andamento degli strumenti finanziari nel mercato di riferimento.

Le polizze linked sono un aggregato di rischio in cui rischio previdenziale e rischio finanziario si legano, ed è rispetto a questo elemento di novità che deve essere accertata la consapevolezza dell’assicurato nel momento in cui ha prestato il consenso alla stipula.

Va evidenziato, peraltro, che la relazione tra rischio previdenziale e rischio finanziario non è statica ma dinamica, per meglio dire, alle parti è consentito modulare la percentuale di rischio che ciascuna intende assumersi. Ad esempio, alcune polizze linked garantiscono alla fine un capitale minimo rimborsato, e quindi ancorchè si tratti di una polizza indicizzata comunque si assicura una copertura minima certa. In questo caso, anche se la funzione previdenziale viene calmierata dalla funzione speculativa in parte continua a permeare il contratto di assicurazione sulla vita.

Poi però ci sono polizze indicizzate caratterizzate dal fatto che non prevedono un minimum garantito, e quindi il soggetto assicurato è esposto ad un rischio totale.

Ma se il rischio non viene trasferito in capo all’assicuratore vien da sé che questi prodotti perdono la natura assicurativa per assumere interamente quella finanziaria[vi]. Senonché, gli strumenti finanziari sono soggetti ad una disciplina diversa da quella che opera in materia di prodotti assicurativi; il legislatore prevede tutta una serie di obblighi informativi a carico del consulente finanziario che sono particolarmente stringenti. Se le informazioni non vengono rese il consenso del cliente non è valido ed efficace, ma viziato dalla inconsapevolezza di fondo circa la natura dello strumento che sta acquistando.

Cioè il soggetto si convince di concludere un contratto assicurativo che ha, invero, natura speculativa tale per cui la funzione economico-individuale svolta è diversa da quella perseguita dal soggetto con la stipula del contratto. Quindi la centralità del problema in esame non è la validità in assoluto di questo tipo di negozi, ma la conoscibilità della loro natura e struttura da parte del soggetto che vuole assicurarsi da un certo rischio. Tutto si incentra sulla consapevolezza del consenso prestato di modo che questo sia fondato su una volontà reale che rispecchia le intime esigenze dell’individuo.

Com’è noto, infatti, sia il Testo unico finanziario che il codice delle assicurazioni riconoscono in modo espresso alle compagnie assicurative la possibilità di erogare prodotti finanziari, e quindi la possibilità per gli assicuratori di offrire prodotti in cui la prestazione principale è collegata a indici finanziari.

Tuttavia, come affermato in ultimo dalla Cassazione[vii], il rischio finanziario non può non essere accompagnato dal rischio demografico perché altrimenti il contratto perde la natura assicurativa.

Per vero, la funzione previdenziale del contratto assicurativo rappresenta un fattore ineliminabile. In quest’ottica, per vero, si giustifica il dettato normativo di cui all’art. 1923 c.c. che prevede l’impignorabilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente, o al beneficiario[viii]. Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, del 2008 n. 8721, hanno rinvenuto la ratio dell’art. 1923 c.c., applicabile alle polizze assicurative sulla vita, nell’obiettivo che le stesse perseguono e cioè di soddisfare i bisogni attinenti alla vita umana.

Non è altresì consentito estendere in via analogica simile regime privilegiato agli utili conseguenti da investimenti speculativi; l’art. 1923 c.c. rappresenta infatti una eccezione al principio sancito dall’art. 2740 c.c., il quale obbliga il debitore a far fronte ai propri debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Ma se la funzione svolta dai prodotti assicurativi è quella di garantire al beneficiario una risorsa finanziaria sicura, per gestire sopravvenienze umane impreviste, vien da sé che simile funzione risulta annichilita dal fatto che non sia assicurato un capitale garantito; il capitale o la rendita che dovrà essere erogata potrebbe non avere un valore complessivo superiore ai premi pagati o addirittura essere pari a zero.

Tutto dipenderà dall’andamento degli strumenti finanziari e quindi da una sorta di gioco o scommessa che si fa nel mercato ma il cui esito è assolutamente incerto.

Accade, dunque, che la prestazione cui è tenuta la compagnia assicurativa non è né predeterminata né predeterminabile, ben potendo essere insufficiente a soddisfare i bisogni per i quali il vincolo era stato assunto.

4. Sentenza della Corte di Cassazione n. 6219 del 2019

La complessità dei temi che si sono sviluppati intorno alla polizza linked è stata il motore propulsore di un recentissimo intervento della Cassazione[ix], che con la sentenza del 2019, n. 6219, ha chiarito le linee guida da seguire in materia di polizze assicurative linked.

Il principio è quello secondo il quale le polizze assicurative devono soddisfare la funzione previdenziale; affinchè possa dirsi compiuta la vocazione previdenziale è necessario che l’assicuratore si assuma il rischio demografico, e quindi che si realizzi l’effettivo trasferimento del rischio da assicurato ad assicuratore.

La componente assicurativa, tuttavia, ancorchè necessaria, tollera la componente finanziaria; per cui per la parte in cui il contratto assicurativo realizza la funzione speculativa esso deve essere assoggettato alla disciplina prevista per la vendita di strumenti finanziari, e quindi del Tuf.

Come già chiarito, la vendita di strumenti finanziari è oggetto di una disciplina articolata che comprende specifici obblighi informativi in capo all’intermediario, finalizzati a colmare il fisiologico squilibrio cognitivo che caratterizza questo tipo di rapporti. In egual misura la parte del contratto con funzione assicurativa sarà disciplinata dai principi del codice civile e del codice delle assicurazioni. Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione è il seguente “nelle polizze unit linked, caratterizzate dalla componente causale mista (finanziaria ed

assicurativa sulla vita), anche ove sia prevalente la causa “finanziaria”, la parte qualificata come “assicurativa” deve comunque rispondere ai principi dettati dal codice civile, dal codice delle assicurazioni e dalla normativa secondaria ad essi collegata con particolare riferimento alla ricorrenza del “rischio demografico” rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l’entità della copertura assicurativa che, avuto riguardo alla natura mista della causa contrattuale, dovrà essere vagliata con specifico riferimento all’ammontare del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale ed alla tipologia dell’investimento”.

 

 

 

 


[i] A. Concas, “Il Contratto di Assicurazione”, in https://www.diritto.it/, 23 gennaio 2013.
[ii] A. Matricardi, “Assicurazione (contratto di)”, in  https://www.altalex.com/, 13 ottobre 2017.
[iii] Art. 1910 c.c., comma 3.
[iv] M. Ferrari, “Polizze unit linked miste: sono assicurazioni se ricorre il rischio demografico.”, in https://www.altalex.com/, 18 marzo 2019.
[v] S. Landini, “Polizze Unit Linked: nulla se venduta come polizza vita”, in https://www.quotidianogiuridico.it/, 18 marzo 2019.
[vi] A. Torrisi, “Le polizze unit linked e il rischio demografico”, I Contratti, n. 2/2020.
[vii] Corte di Cassazione, ordinanza n. 10333/2018 e sentenza n. 6319/2019; in senso contrario vedi Tribunale di Bergamo, sentenza n. 2426 del 21 novembre 2019 e Corte di Giustizia Europea, sentenza del 31 maggio 2018/causa C-542/2016 e sentenza del 1° marzo 2012/causa C-166/2011.
[viii] Commissione Wealth Planning ODCEC Milano, “I contratti di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario di tipo unit ed index linked”, in www.odcec.mi.it, Documento di Studio n. 1/2020.
[ix] Cassazione Civile, sez. III, udienza del 19 dicembre 2018, sentenza depositata il 5 marzo 2019, n. 6319; per un approfondimento vedi anche S. Massarotto, “Riflessioni controcorrente sul regime fiscale delle polizze linked (a proposito di Cass. n. 6319/2019)”, http://www.dirittobancario.it/, 2 maggio 2019.

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