L’accessibilità come fondamento della democrazia digitale

L’accessibilità come fondamento della democrazia digitale

di Michele Di Salvo

L’emanazione dell’European Accessibility Act e il recepimento italiano tramite il D.Lgs. 82/2022 si rivelano non già meri strumenti regolatori bensì atti fondativi di una diversa concezione dell’eguaglianza sostanziale nell’era della transizione digitale.

Il diritto dell’accessibilità si emancipa progressivamente dalla periferia del diritto antidiscriminatorio per diventare parametro strutturale delle politiche pubbliche e delle economie digitali: non è più soltanto il diritto dei soggetti con disabilità a fruire di determinati servizi, ma diviene l’obbligo delle istituzioni democratiche di rimuovere ogni ostacolo cognitivo, sensoriale e tecnologico all’uguaglianza effettiva nella cittadinanza digitale.

Questo mutamento impone una revisione del paradigma stesso del diritto dell’innovazione ma a ben vedere non occorreva la normativa eurounitaria né il suo recepimento per introdurre il principio e tradurlo nei fatti. Bastava una lettura della Carta Costituzionale per riconoscere sin da subito che ogni innovazione tecnologica doveva non solo ispirarsi, ma essere ab origine incentrata sulla massima accessibilità.

Non sorprende che il quadro normativo tracciato dalla direttiva europea non si limiti a stabilire meri obblighi tecnici di conformità, ma si fondi su una visione antropocentrica dell’accessibilità, la quale sollecita la fruibilità delle tecnologie, intesa come presupposto imprescindibile di libertà, autodeterminazione e partecipazione democratica. anche in questo caso bastava una lettura trasversale della Costituzione per imporre sin da subito tale indirizzo nella progettazione di qualsiasi piattaforma e servizio digitale, oltre che semplice sito web, delle nostre pubbliche amministrazioni. Avrebbe dovuto essere un requisito minimo iniziale di qualsiasi gara pubblica per la realizzazione del servizio. e ciò anche in considerazione dell’adempimento dell’articolo 1 della legge 241/90 che indica con estrema chiarezza i principi cui deve ispirarsi la pubblica amministrazione.

Il legislatore europeo non si limita a disciplinare standard tecnici, ma impone agli Stati membri una riflessione più vasta: se il digitale è oggi il linguaggio della cittadinanza, chi ne resta escluso è di fatto privato della possibilità di esercitare pienamente i propri diritti; la disabilità, allora, cessa di essere una categoria medica o amministrativa per divenire lente attraverso cui misurare la capacità di uno Stato di includere nel proprio spazio pubblico e di dare accesso ai propri servizi anche ciò che non è conforme, ciò che eccede i canoni prestabiliti della normalità funzionale.
Del resto – anche questo – è elemento che avrebbe dovuto già essere chiaro in una corretta lettura del dettato costituzionale, oltre che nella logica stringente della semplice comprensione che un qualsiasi servizio pubblico è tanto più utile e necessario – e quindi deve essere fruibile – quanto più il destinatario ha difficoltà di accesso, di qualsiasi genere e tipo.

Il decreto legislativo italiano di ricezione della normativa europea mostra un’ambizione notevole: non semplicemente trasporre disposizioni europee, ma costruire un quadro normativo che, attraverso il richiamo sistematico al CAD, al principio di accessibilità by design e all’interoperabilità, mira a plasmare un ecosistema digitale orientato alla persona, anziché al mero generico utente.

La trasformazione richiesta, tuttavia, è ben più profonda di quanto una compliance normativa possa suggerire: è una metamorfosi culturale e giuridica, un superamento definitivo della dicotomia tra tecnologia e diritto, laddove l’accessibilità si configura come elemento architettonico di legittimità dell’intero edificio normativo digitale, e ne qualifica come legittima (o meno) la piattaforma di interfaccia e di accesso.

Non si tratta più di apporre correttivi tecnici, quanto di rifondare il processo di innovazione pubblica sotto il segno dell’universalismo dei diritti mentre in concreto si manifestano ancora forti resistenze: il formalismo della prassi amministrativa, l’inadeguatezza delle competenze digitali nella pubblica amministrazione, la resistenza passiva del mercato e la marginalizzazione delle istanze delle persone con disabilità restituiscono un quadro di tensione tra norma e realtà.

Di qui nasce, pertanto, la necessità di avanzare una teoria dell’accessibilità come diritto fondamentale, in sé e per sé, non derivato né secondario, che imponga al giurista non tanto una interpretazione conforme alla norma, quanto un’ermeneutica orientata alla giustizia digitale: non si può pensare un ordinamento democratico pienamente costituzionale se le sue istituzioni digitali, dalle piattaforme pubbliche ai documenti amministrativi, non sono accessibili in modo egualitario e dignitoso da parte di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione corporea, cognitiva o ambientale. L’accessibilità, in tale prospettiva, diventa quindi metro di misura della coerenza costituzionale dell’architettura pubblica: è nel codice sorgente del sito istituzionale, nella struttura semantica di un PDF ministeriale, nella progettazione di un’interfaccia utente – come oggi richiesto espressamente dall’articolo 3 del D.Lgs. 82/2022 che integra l’articolo 3, comma 1, della Legge 4/2004 – Legge Stanca – che si misura la tenuta dell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione, il quale impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.

Tale dovere si estende fisiologicamente allo spazio digitale, nel quale si esercitano oggi non solo libertà civili ma diritti sociali e politici, come il diritto all’informazione pubblica, alla partecipazione, alla trasparenza amministrativa, all’interazione procedimentale e all’esercizio dei servizi digitali, così come previsti dall’art. 64 del Codice dell’Amministrazione Digitale e richiamati all’art. 2, comma 1, del medesimo decreto.

Il D.Lgs. 82/2022 impone quindi di abbandonare la retorica dell’inclusione per abbracciare l’obbligatorietà dell’equità: la previsione di misure concrete, come l’accessibilità by design, l’uso di formati interoperabili, la pubblicazione di dichiarazioni di accessibilità (articolo 3-quater della Legge 4/2004) e il potenziamento degli obblighi per i soggetti erogatori di servizi essenziali, segna il passaggio da un regime di raccomandazione a un sistema di responsabilità pubblica e sanzionatoria. 

Rimane la sensazione che il recepimento sia ancora eccessivamente tecnocratico, quasi timido nel cogliere la portata rivoluzionaria del disegno europeo delineato dalla Direttiva (UE) 2019/882, che, sin dal considerando (4), richiama il principio dell’eguaglianza delle opportunità come fondamento dell’accessibilità universale. Un “considerando” di cui in Italia non ci sarebbe nemmeno stato bisogno visti gli impliciti ed espliciti richiami costituzionali in tal senso.

La piena implementazione richiederebbe una trasformazione nella cultura giuridica, nella formazione degli operatori pubblici, nella giurisprudenza amministrativa e persino nella filosofia del diritto, chiamata a interrogarsi sul fondamento del principio di “progettazione universale”, così come recepito dal legislatore italiano all’articolo 2, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 82/2022.

La sfida non è solo garantire che tutti possano accedere, ma ridefinire il concetto stesso di accesso come esperienza di potere giuridico, come atto di cittadinanza piena e non ridotta, nella consapevolezza che la marginalizzazione digitale è oggi una forma subdola di esclusione sociale: pertanto, tale logica sembrerebbe imporre la costruzione costituzionalismo digitale dell’accessibilità, in cui la neutralità apparente della tecnologia sia finalmente disvelata e ricondotta sotto il controllo democratico della legge, non come limite ma come garanzia di libertà, pluralismo e umanità condivisa.

Anche gli sviluppi più recenti del diritto dell’Unione, dalla Carta dei Diritti Fondamentali (artt. 21 e 26) al Regolamento (UE) 2022/868 sullo European Data Governance, confermano una tendenza integrata e plurilivello verso una giuridicità che non si accontenta dell’uniformità formale, ma pretende l’effettività sostanziale. L’accessibilità, allora, si rivela paradigma in grado di ridefinire il rapporto tra diritto e tecnologia, tra potere e conoscenza, tra norma e progetto civile: ed è nel disegno armonico dell’European Accessibility Act, così come trasposto dal D.Lgs. 82/2022, che questa nuova visione prende forma, ancora fragile ma irrevocabilmente necessaria.

In questo contesto risulta assente ogni forma di vera e propria e concreta sanzione, con la sua forza di deterrenza e di propulsione. in questo senso rendere il requisito della piena e certificata accessibilità requisito indispensabile per il “collaudo” e il “saldo” della consegna delle piattaforme informatiche e del loro aggiornamento sarebbe certamente un passo avanti. Dichiarare in mancanza le piattaforme non conformi ed imporre la loro sospensione sarebbe un propulsore nei confronti della pubblica amministrazione ad un adeguamento in tal senso, così come il blocco delle premialità a quei dirigenti che non si attivano positivamente nell’impulso di tali tale adeguamento.


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