Emersione del lavoro irregolare e preclusioni penali: il principio tempus regit actum

Emersione del lavoro irregolare e preclusioni penali: il principio tempus regit actum

T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 22 luglio 2025, n. 1287

«La domanda/dichiarazione di emersione del rapporto di lavoro subordinato irregolare trova il suo necessario presupposto, quindi, (anche) nell’assenza di condanne penali rientranti tra quelle indicate nella norma citata (al comma 10) e che denotano, riguardo al soggetto che ne è destinatario, la presenza di una potenziale pericolosità sociale che il legislatore ha ritenuto di valutare negativamente ai fini delle procedure in materia di emersione del lavoro irregolare.»

«La (mera) presentazione dell’istanza da parte del lavoratore interessato […] volta ad ottenere il successivo provvedimento di riabilitazione penale, in presenza di una condanna penale definitiva del predetto per uno dei reati che, l’art. 103, comma 10, lett. c), del D.L. n. 34/2020, considera ostativi, non poteva determinare l’esito favorevole della domanda/dichiarazione di emersione del lavoro subordinato irregolare di che trattasi, né tantomeno una sospensione del relativo procedimento amministrativo […].»

«L’esito favorevole della istanza di riabilitazione penale non costituisce un effetto automatico che si realizza a seguito alla sua (mera) presentazione, essendo, al contrario, rimessa alla valutazione in tal senso compiuta dal (competente) giudice penale.»

«La sopravvenuta ordinanza di riabilitazione penale […] non poteva inficiare la legittimità del provvedimento dirigenziale impugnato – adottato in base al principio tempus regit actum – stante la sua valenza solo ex nunc e non già “ora per allora” (ex tunc), fermo restando la possibilità per gli interessati di presentare alla P.A., a seguito di tale sopravvenienza, un’istanza di riesame, in autotutela, del diniego medesimo.»

. «Le censure […] che concernono l’impugnata nota dirigenziale prefettizia – avente carattere rigidamente vincolato – di rigetto definitivo della domanda/dichiarazione di emersione del lavoro irregolare in questione, e degli atti ad essa presupposti, risultano prive di pregio giuridico (anche ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della Legge n. 241/1990 e ss.mm.).»

Guida alla lettura. La sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, n. 1287/2025 affronta, con chiarezza argomentativa e rigore interpretativo, una questione di particolare rilevanza pratica e teorica: l’incidenza di precedenti penali sulla possibilità di accesso alla procedura di emersione del lavoro irregolare disciplinata dall’art. 103 del D.L. n. 34/2020, convertito dalla L. n. 77/2020. La pronuncia ribadisce l’efficacia preclusiva automatica delle condanne per determinati reati e valorizza il principio tempus regit actum quale criterio dirimente per la legittimità del provvedimento amministrativo adottato, pur in presenza di una sopravvenuta ordinanza di riabilitazione. La decisione fornisce inoltre spunti rilevanti in tema di discrezionalità amministrativa, natura vincolata del diniego prefettizio, limiti dell’autotutela e corretto esercizio del contraddittorio procedimentale ex art. 10-bis L. n. 241/1990.

Con la sentenza n. 1287 del 22 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione III di Lecce, ha respinto il ricorso presentato da un cittadino extracomunitario e dal relativo datore di lavoro volto all’annullamento del provvedimento prefettizio di rigetto della dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare, proposta ai sensi dell’art. 103 del D.L. n. 34/2020.

Il quadro normativo e il nodo interpretativo. L’art. 103 del D.L. n. 34/2020 (c.d. “Decreto Rilancio”), convertito con modificazioni nella L. n. 77/2020, ha previsto una procedura straordinaria di regolarizzazione del lavoro irregolare per specifici settori e categorie, con l’intento di tutelare non solo i diritti dei lavoratori stranieri, ma anche l’ordine economico e la legalità complessiva del mercato del lavoro. Tale disciplina, tuttavia, subordina l’ammissibilità della domanda alla sussistenza di determinati requisiti soggettivi e oggettivi, tassativamente indicati. In particolare, il comma 10, lett. c), stabilisce che non sono ammessi alla procedura i cittadini stranieri condannati, anche con sentenza non definitiva, per determinati reati, tra cui quelli contro la libertà personale, inerenti agli stupefacenti, o riguardanti la contraffazione.

I fatti oggetto del giudizio. Nel caso di specie, la Prefettura di Brindisi – Sportello Unico per l’Immigrazione – aveva rigettato la domanda presentata da un datore di lavoro cinese in favore di un lavoratore extracomunitario, in ragione della presenza, a carico di quest’ultimo, di una sentenza penale irrevocabile di condanna per i reati di cui agli artt. 474, 648 e 110 c.p. (vendita e ricettazione di merce contraffatta), pronunziata dal Tribunale di Ariano Irpino e divenuta definitiva nel 2010. A nulla è valsa, ai fini dell’accoglimento della domanda, la sopravvenuta ordinanza di riabilitazione penale emessa dal Tribunale di Sorveglianza nel 2023, ossia successivamente all’adozione del provvedimento di rigetto (novembre 2021).

La motivazione del T.A.R. e il principio tempus regit actum. Il T.A.R., confermando in sede di merito quanto già espresso in fase cautelare (ord. n. 177/2023), ha chiarito che: la valutazione della legittimità dell’atto amministrativo impugnato deve avvenire alla luce della situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del provvedimento (tempus regit actum), con conseguente irrilevanza, ex post, di fatti o titoli sopravvenuti; la riabilitazione penale, pur avendo effetti favorevoli sul piano della recidiva e della capacità giuridica del soggetto, non retroagisce automaticamente a sanare situazioni ostative previste ex lege, né produce effetti demolitori sugli atti già legittimamente adottati; la domanda di regolarizzazione è soggetta a una valutazione vincolata da parte della Pubblica Amministrazione, che, in presenza di una condanna per i reati ostativi di cui all’art. 103, comma 10, lett. c), non ha alcuna discrezionalità, nemmeno valutativa, circa l’accoglimento dell’istanza.

La rilevanza (inesistente) del deficit istruttorio e del contraddittorio. Il Collegio ha escluso qualsivoglia vizio motivazionale o istruttorio nella condotta procedimentale dell’Amministrazione: le osservazioni presentate ex art. 10-bis L. 241/1990 sono state valutate e confutate nella motivazione del rigetto; non sussisteva l’obbligo per l’Amministrazione di sospendere il procedimento in attesa della decisione del Tribunale di Sorveglianza sulla riabilitazione, poiché l’effetto sospensivo è estraneo alla ratio e alla struttura della procedura di emersione; la natura vincolata del potere in parola rende irrilevante ogni valutazione equitativa o socio-lavorativa, se in contrasto con le preclusioni tassative previste dalla norma.

Effetti e rimedi post-sentenza. Pur respingendo integralmente il ricorso, il T.A.R. ha compensato le spese di lite, valorizzando le particolari condizioni personali e sociali dei ricorrenti. Ha inoltre confermato il rigetto della domanda di patrocinio a spese dello Stato per evidente infondatezza dell’azione. Resta salva la possibilità, per i ricorrenti, di riproporre istanza alla P.A. in autotutela, alla luce della sopravvenuta riabilitazione penale, ma ciò avrà effetti solo ex nunc, non inficiando in alcun modo il rigetto originario, come espressamente affermato dal Collegio.

Conclusioni. La decisione del T.A.R. Lecce contribuisce a delineare con nettezza i confini applicativi della procedura straordinaria di regolarizzazione del lavoro irregolare, chiarendo: che le preclusioni penali costituiscono limiti oggettivi all’accesso alla procedura, non superabili mediante apprezzamenti discrezionali né con effetti retroattivi di provvedimenti favorevoli sopravvenuti; che il principio tempus regit actum rappresenta un criterio dirimente per la legittimità dell’azione amministrativa, ancor più in presenza di poteri vincolati; che l’equilibrio tra esigenze di legalità e tutela dei diritti fondamentali degli stranieri è affidato al legislatore, non all’interprete, né tanto meno all’Amministrazione.

La pronuncia costituisce, dunque, un’importante conferma del rigore normativo e giurisprudenziale che caratterizza la materia dell’immigrazione, e richiama a una gestione amministrativa coerente, formalmente corretta e giuridicamente fondata.


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Riccardo Renzi

Funzionario della Pubblica Amministrazione a Comune di Fermo
Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Notizie Geopolitiche, Scholia e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all'attivo più di 500 pubblicazioni tra scientifiche e di divulgazione, per quanto concerne il diritto collabora con Italia Appalti, Altalex, Jus101, Opinio Juris, Ratio Iuris, Molto Comuni, Italia Ius, Terzultima Fermata e Salvis Juribus.

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