
Contratti attivi e affidamento nel rispetto dei principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato: verso una nuova stagione di legalità amministrativa
La sentenza n. 764/2025 del TAR Lombardia, Sezione I di Brescia, rappresenta un contributo rilevante all’elaborazione giurisprudenziale in materia di contratti attivi, evidenziando la necessità di assoggettare anche tali figure negoziali ai principi cardine del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), seppur formalmente esclusi dalla sua disciplina. In un contesto segnato da una controversia sull’affidamento diretto della gestione di un comprensorio sciistico, il giudice amministrativo affronta il nodo dell’inquadramento giuridico dell’accordo, escludendo la configurabilità di un appalto, in assenza del rischio operativo, e riconducendo il rapporto a un contratto attivo, con conseguente obbligo di rispetto dei principi di concorrenza, pubblicità e trasparenza. L’analisi della sentenza consente di ripensare le categorie tradizionali del diritto amministrativo contrattuale alla luce del principio di accesso al mercato, quale manifestazione della buona amministrazione e della legalità sostanziale. In tale prospettiva, si riflette sul valore della “chance” nella responsabilità civile della pubblica amministrazione e sulla portata conformativa dell’etica del risultato, in un quadro dove il diritto positivo e i valori costituzionali impongono un’effettiva apertura alla concorrenza anche al di fuori delle ipotesi tipiche di appalto e concessione.
La pronuncia n. 764 del 12 agosto 2025, resa dalla Sezione Prima del TAR Lombardia, sede di Brescia, rappresenta un significativo punto di approdo nel sempre più articolato panorama giurisprudenziale sul tema dei contratti attivi e del loro regime giuridico. La vicenda che ha portato alla sentenza ruota attorno a una controversia inerente l’affidamento della gestione di un comprensorio sciistico da parte di un’amministrazione comunale, il quale, secondo quanto affermato dal giudice amministrativo, non può essere ricondotto alla figura dell’appalto di servizi, né a quella della concessione in senso proprio, bensì a un contratto attivo, secondo la definizione offerta dal nuovo Codice dei contratti pubblici, adottato con il d.lgs. n. 36/2023.
L’art. 2 dell’Allegato I.1 al Codice definisce i contratti attivi come quelli che non producono spesa per la pubblica amministrazione e da cui essa ricava un’entrata, anche indiretta. È proprio questa la qualificazione prescelta dal Comune resistente, la quale è stata poi condivisa dal TAR, ma non senza precisazioni essenziali. Se da un lato, infatti, il legislatore ha formalmente escluso tali contratti dall’ambito applicativo del Codice (art. 13, comma 2), dall’altro, ha previsto che, ove da essi derivi un’opportunità di guadagno economico, anche indiretto, il relativo affidamento debba comunque conformarsi ai principi generali dettati agli articoli 1, 2 e 3 dello stesso decreto legislativo (art. 13, comma 5). In tal modo, si afferma un obbligo di legalità sostanziale e di rispetto del principio di accesso al mercato anche al di fuori del perimetro normativo formale del Codice.
Il caso in esame nasce dall’acquisto, da parte del Comune, della proprietà di un comprensorio sciistico, già di titolarità di una società privata. Quest’ultima, confidando di poter ottenere la gestione degli impianti, ha visto disattese le proprie aspettative a seguito dell’affidamento diretto ad altra società. L’amministrazione ha giustificato la scelta qualificando l’accordo come contratto attivo, escludendo dunque l’applicabilità delle regole dell’evidenza pubblica. Tuttavia, una simile impostazione è stata giudicata lesiva dei principi fondamentali dell’ordinamento, poiché anche in assenza di un obbligo codicistico puntuale, resta fermo il dovere di assicurare l’apertura al mercato, nel rispetto della concorrenza, della trasparenza e della parità di trattamento.
La sentenza si inserisce in una più ampia riflessione sulla natura dei contratti pubblici e sulle conseguenze derivanti dalla loro qualificazione. Il discrimine tra appalto e concessione di servizi si fonda, com’è noto, sull’assunzione o meno del rischio operativo da parte del gestore. Laddove il rischio ricada sull’amministrazione e la remunerazione dell’operatore sia garantita direttamente da essa, si ha un appalto. Se invece il gestore è remunerato dall’utenza, assumendosi l’alea economica dell’iniziativa, si è di fronte a una concessione. Tuttavia, il caso analizzato dal TAR si colloca al di fuori di questo schema binario, poiché l’amministrazione non paga nulla, ma percepisce un canone, mentre il gestore ottiene un’opportunità economica. Da ciò discende la corretta qualificazione del contratto come attivo.
Tale ricostruzione, però, non implica l’irrilevanza dei principi dell’evidenza pubblica. Al contrario, il TAR richiama la normativa sulla contabilità dello Stato – in particolare il R.D. n. 2440/1923 e il R.D. n. 827/1924 – la quale, sebbene risalente, impone l’obbligo di procedere con selezioni trasparenti e imparziali anche per i contratti da cui derivino utilità economiche per la pubblica amministrazione. Si conferma così una lettura sistematica del diritto pubblico contrattuale, che valorizza i principi costituzionali di imparzialità, buon andamento e tutela della concorrenza.
Il principio del risultato, cardine del nuovo Codice, non è da intendersi in senso riduttivo come mera efficacia dell’azione amministrativa, ma piuttosto come criterio di misurazione della legittimità sostanziale degli atti, in quanto finalizzati al perseguimento dell’interesse pubblico nel rispetto delle regole del mercato. Allo stesso modo, il principio della fiducia vincola l’amministrazione a scelte che non siano arbitrarie o discrezionali al di là dei limiti imposti dalla legge, e che riflettano la massima apertura e competitività.
Non può sorprendere, pertanto, che il TAR abbia ritenuto illegittimo l’affidamento diretto operato dal Comune, non solo perché non sussistevano circostanze eccezionali che potessero giustificare il ricorso alla trattativa privata, ma anche perché vi erano manifestazioni di interesse di altri operatori, ignorate dall’ente. In tale contesto, l’omessa apertura al mercato costituisce violazione delle regole fondamentali dell’azione amministrativa, anche se il contratto è qualificabile come attivo.
Da tale violazione, il TAR ha fatto discendere un obbligo risarcitorio, riconoscendo alla ricorrente il diritto al ristoro per la perdita di chance. È ben noto che il danno da perdita di chance non consiste nella perdita certa di un risultato, ma nella lesione di una concreta e seria possibilità di conseguirlo. La giurisprudenza, ormai consolidata, riconosce la risarcibilità di tale pregiudizio patrimoniale quando si dimostri l’esistenza di un comportamento illecito, un nesso causale tra tale comportamento e la chance perduta, e la colpa dell’amministrazione.
Nel caso di specie, la mancata indizione di una procedura selettiva ha impedito alla ricorrente di competere per l’aggiudicazione del contratto. Il TAR ha quindi ravvisato non solo l’illegittimità dell’atto, ma anche l’esistenza di un danno ingiusto, causato da un comportamento colposo dell’ente, tale da ledere l’interesse legittimo della società a partecipare al procedimento. Il risarcimento è stato liquidato sulla base di una valutazione equitativa, fondata sulla probabilità – qualificata e concreta – di ottenere l’affidamento, qualora si fosse svolta una procedura concorrenziale.
Ciò che emerge dalla sentenza, in definitiva, è una visione sistemica e coerente del diritto amministrativo contrattuale, in cui le etichette giuridiche (appalto, concessione, contratto attivo) non possono essere utilizzate come alibi per eludere il rispetto dei principi fondamentali dell’azione amministrativa. L’accesso al mercato, la concorrenza, la trasparenza e la proporzionalità sono principi che permeano tutto il diritto pubblico, e la loro osservanza non può essere subordinata alla forma negoziale prescelta.
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Riccardo Renzi
Funzionario della Pubblica Amministrazione a Comune di Fermo
Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Notizie Geopolitiche, Scholia e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all'attivo più di 500 pubblicazioni tra scientifiche e di divulgazione, per quanto concerne il diritto collabora con Italia Appalti, Altalex, Jus101, Opinio Juris, Ratio Iuris, Molto Comuni, Italia Ius, Terzultima Fermata e Salvis Juribus.
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