Il divieto di incatenamento delle biciclette tra decoro urbano e limiti del sindacato giurisdizionale

Il divieto di incatenamento delle biciclette tra decoro urbano e limiti del sindacato giurisdizionale

Sommario: 1. La cornice regolamentare e l’origine della controversia – 2. Le censure dell’associazione appellante – 3. Il perimetro del thema decidendum e la risposta del Consiglio di Stato – 4. Decoro urbano, PUMS e valutazione discrezionale dell’amministrazione – 5. Sanzioni, proporzionalità e tenuta complessiva del Regolamento

 

1. La cornice regolamentare e l’origine della controversia

La sentenza n. 7353/2025 della Quinta Sezione del Consiglio di Stato prende le mosse dall’impugnazione proposta da FIAB Cagliari avverso il Regolamento di polizia e sicurezza urbana approvato con delibera n. 30/2023 dal Comune di Cagliari.

In particolare, l’associazione aveva contestato l’art. 19, comma 1, lett. b), che vieta di «incatenare biciclette, ciclomotori o motocicli a infrastrutture pubbliche non destinate allo scopo», e l’art. 27, che prevede — oltre alle sanzioni pecuniarie ordinarie — un aggravamento e l’ordine di allontanamento nelle aree perimetrate ai sensi del d.l. n. 14/2017.

Il T.A.R. Sardegna aveva respinto il ricorso, ritenendo legittimo il divieto in quanto diretto alla tutela del decoro urbano e non alla disciplina della sosta.

FIAB Cagliari aveva dunque appellato, sostenendo che il regolamento comunale introducesse un divieto di sosta surrettizio, discriminasse gli utenti “deboli” e si ponesse in contrasto con gli obiettivi del PUMS cittadino.

2. Le censure dell’associazione appellante

L’appello muove da una ricostruzione alternativa del thema decidendum: secondo l’associazione, il T.A.R. avrebbe concentrato l’attenzione solo sulle situazioni di sosta vietata, trascurando invece le ipotesi — prospettate dall’appellante — in cui le biciclette si trovano in sosta «regolare» ai sensi dell’art. 157 c.d.s., su aree non soggette a regolamentazione specifica. Da tale impostazione discenderebbe l’omessa pronuncia su vari motivi di ricorso.

Le doglianze includono: – la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. per disparità di trattamento rispetto ad altri mezzi (monopattini, segway, autoveicoli), e per l’effetto discriminatorio nei confronti dei cittadini a basso reddito che utilizzano la bicicletta; – la violazione degli artt. 1 l. n. 241/1990, 157 e 158 c.d.s. e del principio di legalità, poiché il divieto di incatenamento configurerebbe un nuovo divieto di sosta non previsto dal Codice della strada; – l’eccesso di potere per illogicità manifesta e sproporzione, poiché il divieto inciderebbe su sosta regolare e avrebbe effetti deflattivi sull’uso della bicicletta, con ricadute negative sulla qualità dell’aria e sulla sicurezza stradale; – la contraddittorietà del Regolamento rispetto al PUMS, che promuove la mobilità ciclabile; – l’irragionevolezza delle sanzioni e dell’ordine di allontanamento previsto dall’art. 27.

3. Il perimetro del thema decidendum e la risposta del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato rigetta integralmente l’appello, ritenendo infondate le doglianze tanto sulla perimetrazione del thema decidendum quanto sulla denuncia di omessa pronuncia.

Il Collegio osserva che il giudice di primo grado aveva correttamente ricostruito la questione centrale: il divieto riguarda l’uso improprio delle infrastrutture pubbliche e non l’introduzione di un nuovo divieto di sosta.

La sentenza chiarisce che il Regolamento interviene «in relazione a beni giuridici estranei a quelli presi in considerazione dal codice della strada», mirando a prevenire un «disordinato e incontrollato accatastamento di biciclette», suscettibile di pregiudicare «la vivibilità e il decoro» della città.

Di conseguenza, il richiamo agli artt. 157 e 158 c.d.s. è ritenuto improprio: non vi sarebbe alcuna relazione logica tra il divieto di incatenamento e la sosta del velocipede, né il rischio di furto — invocato dall’associazione — potrebbe convertirsi in una situazione idonea a imporre una diversa regolazione pubblicistica.

Il Collegio esclude inoltre la disparità di trattamento: la comparazione con veicoli eterogenei, come monopattini o autoveicoli, non integra un tertium comparationis omogeneo, mancando l’identità delle situazioni poste a raffronto.

4. Decoro urbano, PUMS e valutazione discrezionale dell’amministrazione

Una parte nodale della decisione riguarda il rapporto tra le finalità del Regolamento e gli obiettivi del PUMS. L’appellante aveva affermato che il divieto disincentivasse l’uso della bicicletta, pregiudicando politiche di mobilità sostenibile.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ribadisce che il PUMS contiene «obiettivi di carattere generale», che devono essere «contemperati con gli ulteriori interessi pubblici coinvolti», tra cui la sicurezza viaria, la fruibilità degli spazi e il decoro urbano. Si tratta, dunque, di un atto programmatorio che non impone vincoli stringenti all’amministrazione.

Richiamando un orientamento consolidato, la Sezione precisa che il giudice amministrativo non può sostituirsi all’amministrazione nelle valutazioni discrezionali, potendo sindacare solo la «manifesta irragionevolezza» o la «palese irrazionalità» delle scelte regolative.

Nel caso di specie, il divieto di incatenamento risulta coerente con la finalità — primaria nel capo II del Regolamento — di preservare il «rispetto della dignità dello spazio urbano».

5. Sanzioni, proporzionalità e tenuta complessiva del Regolamento

Quanto al sistema sanzionatorio, il Collegio ritiene infondate le censure relative alla sproporzione delle misure. L’art. 27, comma 3, applica l’aggravamento solo alle condotte che costituiscono un effettivo «impedimento alla fruizione» delle aree perimetrate: non vi è dunque alcuna «generalizzata equazione tra incatenamento e impedimento alla fruizione». La valutazione di proporzionalità, in ogni caso, potrà riguardare solo gli atti applicativi, non ancora emanati.

La sentenza si chiude confermando la legittimità complessiva del Regolamento e il corretto bilanciamento degli interessi coinvolti. L’appello viene respinto integralmente, con compensazione delle spese «in considerazione della natura degli interessi sottesi alla controversia».

La decisione marca una linea interpretativa ormai sempre più solida: la tutela del decoro urbano può legittimamente comprimere alcune modalità d’uso dello spazio pubblico, purché l’amministrazione motivi adeguatamente la scelta e mantenga un equilibrio razionale con le esigenze della mobilità sostenibile. Una prospettiva che, inevitabilmente, continuerà ad alimentare il dibattito tra pianificazione urbana, diritti degli utenti e trasformazioni della mobilità nelle città contemporanee.


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