Disparitas Cultus: evoluzione storica e normativa

Disparitas Cultus: evoluzione storica e normativa

di Martina Scalzo

Sommario: 1. Introduzione – 2. Evoluzione storica – 3. Canoni e riferimenti normativi – 4. Impedimento di “Disparitas cultus” – 5. Conclusioni

 

1. Introduzione

Il concetto di “disparitas cultus” si riferisce alla differenza di fede e pratica religiosa tra un cattolico e un non cattolico, in particolare alle unioni matrimoniali[1].

Nella Chiesa cattolica, questo termine è spesso discusso nel contesto del matrimonio tra una persona cattolica e una persona che professa una fede diversa o che non ha una fede cristiana. Quest’ultima insegna che il matrimonio è un sacramento e, pertanto, è fondamentale che entrambi i coniugi condividano la stessa fede per garantire l’unità spirituale e la crescita nella vita cristiana. La disparità di culto può portare a sfide significative nella vita matrimoniale, specialmente in relazione all’educazione dei figli e alla pratica della fede.

Per affrontare questa situazione, la Chiesa richiede che il cattolico ottenga un permesso speciale (chiamato “dispensa”) per contrarre matrimonio con una persona non cattolica. In genere, il sacerdote potrebbe spiegare le implicazioni della disparità di culto e incoraggiare la parte cattolica a essere un testimone della propria fede, mentre l’altra parte è libera di mantenere le proprie convinzioni.

In sintesi, il concetto di disparitas cultus è importante per la Chiesa cattolica nella valutazione delle unioni matrimoniali e nella promozione di una vita matrimoniale che sia armoniosa e coerente con la fede cristiana.

 2. Evoluzione storica

L’evoluzione storica delle disparità di culto all’interno della Chiesa cattolica, è un tema complesso che si intreccia con la storia della Chiesa stessa, con le sue dottrine, con le sue pratiche liturgiche e con le sue relazioni con altre confessioni cristiane e culture. Nei primi secoli del cristianesimo, le diverse comunità cristiane praticavano forme di culto che riflettevano le loro culture e contesti locali. Le differenze erano più evidenti nelle liturgie, nei riti e nelle celebrazioni. Tuttavia, vi era una certa uniformità dottrinale, grazie ai concili e alle lettere apostoliche. Con l’adozione del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero Romano nel IV secolo, la Chiesa iniziò a sviluppare una maggiore uniformità liturgica.

Tuttavia, le diversità culturali continuavano a influenzare i culti locali. La divisione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel 1054 portò a una maggiore formalizzazione delle pratiche liturgiche e delle disparità di culto. Ogni tradizione sviluppò le proprie pratiche, sacramenti e riti, creando una diversità che persiste ancora oggi. Nel XVI secolo, la Riforma protestante portò a una frammentazione ulteriore del cristianesimo. Le diverse confessioni cristiane adottarono pratiche e teologie che differivano significativamente da quelle cattoliche, portando a nuove forme di culto e a una maggiore diversità all’interno del cristianesimo.

Nel XX secolo, il Concilio Vaticano II (1962-1965) rappresentò un momento cruciale per l’evoluzione del culto cattolico. Il concilio promosse una riforma della liturgia, incoraggiando l’uso della lingua vernacolare e la partecipazione attiva dei fedeli. Questo portò a una maggiore diversità nelle pratiche liturgiche, adattandole a contesti culturali diversi.

Oggi, la Chiesa cattolica è presente in tutto il mondo e si confronta con una varietà di culture e tradizioni. Ciò ha portato a una diversificazione dei riti e delle pratiche, come ad esempio le celebrazioni liturgiche in contesti africani, asiatici e latinoamericani, che integrano elementi locali pur mantenendo la fede cattolica.

Negli ultimi decenni, si è cercato di promuovere il dialogo ecumenico con altre confessioni cristiane, riconoscendo e rispettando le diverse tradizioni di culto. In sintesi, l’evoluzione storica delle disparità di culto, nel contesto ecclesiale, è stata influenzata da fattori culturali, storici e teologici. Attualmente, la Chiesa continua a navigare tra l’unità della fede e la diversità delle pratiche, cercando di rispondere alle esigenze dei suoi fedeli in un mondo sempre più globale e multiculturale[2].

3. Canoni e riferimenti normativi

La disparitas cultus, come suddetto, è un concetto giuridico e teologico della Chiesa Cattolica che si riferisce alla disparità di culto tra i coniugi, in particolare quando uno dei coniugi è cattolico e l’altro è non cattolico o appartiene a una religione non cristiana.

Questo tema è regolato da specifici canoni del Codice di Diritto Canonico[3]. Il Canone 1086 CIC stabilisce che è vietato il matrimonio tra un cattolico e un non cattolico che non ha ricevuto il battesimo. Questo canone è la base della disparitas cultus e mira a proteggere l’unità della fede e la pratica religiosa all’interno del matrimonio[4].

Il Canone 1124 CIC riguarda la validità del matrimonio tra un cattolico e un non cattolico. Affinché il matrimonio sia valido, è necessario che entrambi i coniugi siano battezzati e che il matrimonio avvenga secondo le disposizioni della Chiesa[5]. Il Canone 1125 CIC stabilisce che il cattolico deve avere il permesso del proprio vescovo per contrarre matrimonio con un non cattolico. Questo permesso è noto come “dispensa” e viene concesso dopo una valutazione delle circostanze. Il Canone 1126 CIC prevede la necessità di garantire che il coniuge non cattolico rispetti la libertà del cattolico di vivere secondo la propria fede. La ragione principale per cui la Chiesa cattolica stabilisce norme riguardo alla disparitas cultus è la protezione della fede. Si ritiene che un matrimonio tra un cattolico e un non cattolico possa portare a conflitti di valori e pratiche religiose, danneggiando così la vita spirituale di entrambi i coniugi e dei loro eventuali figli. La possibilità di richiedere una dispensa dal vescovo è un riconoscimento della complessità delle relazioni moderne. Questa dispensa può essere concessa se si ritiene che ci siano buone ragioni per il matrimonio e se sono adottate misure per assicurare che il coniuge cattolico possa praticare la propria fede. Un altro aspetto importante è l’impegno a educare i figli nella fede cattolica. Il coniuge cattolico deve promettere di fare tutto il possibile affinché i figli siano battezzati e cresciuti nella fede cattolica[6].

Quindi, la disparitas cultus è una questione delicata che implica considerazioni giuridiche e pastorali, e la Chiesa Cattolica cerca di garantire che i matrimoni siano fondati su una base solida di fede condivisa e di unità spirituale. Secondo il Diritto Civile Italiano il matrimonio tra persone di diverse confessioni religiose è disciplinato dal Codice Civile (Articoli 85-88).

L’art. 85 stabilisce che il matrimonio è un contratto che deve essere celebrato secondo le norme della legge civile, ma anche tenendo conto delle disposizioni religiose.

Ovviamente vi sono Accordi tra Stato e Chiesa. L’Intesa tra la Repubblica Italiana e le diverse confessioni religiose (come l’Intesa con la Chiesa Valdese, con la Chiesa Evangelica, e altre) può contenere disposizioni specifiche riguardanti il riconoscimento e la celebrazione di matrimoni tra coniugi di diversa fede.

4. Impedimento di “Disparitas cultus”

L’impedimento di disparitas cultus si riferisce alla differenza di religione tra i coniugi nel contesto del matrimonio. Nella Chiesa cattolica, questo impedimento è considerato una barriera al matrimonio sacramentale. In particolare, si tratta della situazione in cui uno dei coniugi è cattolico e l’altro appartiene a una religione non cristiana o è un non credente.

La Chiesa cattolica sottolinea l’importanza dell’unità di fede nel matrimonio, poiché il matrimonio è visto come un sacramento che riflette l’unione tra Cristo e la Chiesa. La presenza di disparitas cultus può portare a difficoltà nella vita coniugale, specialmente per quanto riguarda l’educazione dei figli e la pratica della fede. Tuttavia, la Chiesa prevede la possibilità di matrimoni tra persone di fedi diverse attraverso un processo di dispensa. La dispensa può essere concessa dal vescovo, a condizione che ci sia un serio impegno da parte del coniuge cattolico a continuare a praticare la propria fede e a cercare di educare i figli nella fede cattolica. Quindi l’impedimento di disparitas cultus è visto come un ostacolo al matrimonio sacramentale, ci sono vie per superarlo nel rispetto della fede e della pratica religiosa di ciascun coniuge.

Le radici di questo impedimento si possono rintracciare nella Bibbia e nella tradizione dei Padri della Chiesa.  Durante i primi Concili, come il Concilio di Nicea (325 d.C.) e il Concilio di Trento (1545-1563), si stabilirono norme più chiare riguardo al matrimonio. La Chiesa cominciò a vedere il matrimonio come un sacramento, e quindi la compatibilità religiosa tra i coniugi divenne una questione fondamentale. Il primo Codice di Diritto Canonico, promulgato da Papa Benedetto XV nel 1917, formalizzò l’impedimento di disparità di culto, stabilendo regole specifiche riguardo ai matrimoni misti. Era previsto che un cattolico potesse sposare un non cattolico solo con un permesso speciale, e il matrimonio doveva avvenire in presenza di un sacerdote.

Il Concilio Vaticano II (1962-1965) portò a una maggiore apertura nei confronti dei matrimoni misti. Si riconobbe l’importanza del dialogo interreligioso e si sottolineò il valore della libertà religiosa. Tuttavia, l’impedimento di disparità di culto rimase in vigore, ma con una maggiore disponibilità per i pastori di concedere deroghe. L’attuale Codice di Diritto Canonico, promulgato da Papa Giovanni Paolo II nel 1983, mantiene l’impedimento di disparità di culto, ma offre una maggiore flessibilità. È possibile ricevere una dispensa da questo impedimento, a condizione che ci sia un impegno da parte del cattolico a mantenere la propria fede e a educare i figli nella religione cattolica.

Oggi, l’impedimento di disparità di culto continua a essere un tema di discussione all’interno della Chiesa e tra i fedeli. Mentre alcuni vedono in esso una necessità per preservare l’integrità della fede cattolica, altri lo considerano un ostacolo in un mondo sempre più globalizzato e pluralista. La Chiesa, pertanto, si trova a dover bilanciare la tradizione con le esigenze contemporanee, cercando di promuovere l’unità e il dialogo tra le diverse fedi.

Il Papa, come leader della Chiesa cattolica, sostiene generalmente la posizione tradizionale su questo tema, enfatizzando l’importanza della comunione di fede nel matrimonio.

Tuttavia, è anche importante notare che ci sono stati sviluppi e discussioni all’interno della Chiesa riguardo a come affrontare situazioni in cui uno o entrambi i coniugi provengono da diverse tradizioni religiose. Alcune matrici di pensiero sottolineano l’importanza dell’apertura e del dialogo interreligioso, pur mantenendo l’insegnamento tradizionale.

Mentre la posizione ufficiale della Chiesa sull’impedimento di disparitas cultus rimane ferma, ci sono anche segnali di un approccio più pastorale e comprensivo verso le realtà moderne delle famiglie miste.

Il Papa, in particolare Papa Francesco, ha espresso una visione aperta e positiva riguardo ai matrimoni misti, cioè quelli tra persone di diverse religioni. Ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e del rispetto reciproco tra le fedi[7].

Papa Francesco ha anche riconosciuto le sfide che possono sorgere in tali unioni, come le differenze culturali e religiose, ma ha incoraggiato le coppie a trovare un terreno comune e a costruire una vita insieme basata sull’amore e sul rispetto. Nel contesto della Chiesa cattolica, è importante che le coppie misto-religiose si impegnino a educare i propri figli nella fede cristiana, ma il Papa ha mostrato comprensione verso le diverse dinamiche familiari.

In generale, il suo messaggio è quello di promuovere l’unità e la comprensione, piuttosto che la divisione, tra le diverse tradizioni religiose. Come suddetto, il canone principale che disciplina questo impedimento è il Canone 1086 del Codice di Diritto Canonico, che afferma che è impedito il matrimonio tra un fedele cattolico e un non battezzato, salvo disposizione contraria e il matrimonio tra un cattolico e una persona che non appartiene alla fede cristiana è nullo, a meno che non si ottenga una dispensa dall’Autorità competente. L’interpretazione di questo canone si basa su diversi aspetti. In primo luogo in base al valore del Matrimonio; la Chiesa cattolica considera il matrimonio come sacramento, e quindi vi è un’importante dimensione spirituale e sacramentale che deve essere rispettata. La disparitas cultus può compromettere questa dimensione. È possibile ottenere una dispensa da questo impedimento.

La dispensa è concessa dall’autorità ecclesiastica (solitamente il vescovo) e richiede che siano garantite alcune condizioni, come l’impegno del cattolico a mantenere la propria fede e a garantire che i figli siano educati nella fede cattolica.

In un contesto di crescente pluralismo religioso e dialogo interreligioso, la Chiesa può essere più aperta a considerare le specifiche circostanze di ciascun caso, promuovendo una visione di rispetto e comprensione reciproca, pur mantenendo la dottrina. I sacerdoti e i responsabili pastorali sono chiamati a fornire un adeguato supporto e orientamento alle coppie che si trovano in questa situazione, aiutandole a comprendere le implicazioni spirituali ed ecclesiali del loro matrimonio. In sintesi, l’impedimento di disparitas cultus evidenzia l’importanza della fede condivisa nel matrimonio cattolico, ma allo stesso tempo offre possibilità di dialogo e di concessione di dispense in circostanze particolari. La disparità di culto si riferisce alla situazione in cui un matrimonio avviene tra persone di fedi religiose diverse. Questo tema può sollevare varie questioni e considerazioni, sia a livello personale che sociale, e può avere un impatto significativo sulla vita coniugale e sulla famiglia. Alcuni aspetti da considerare nella disparità di culto e matrimonio sono l’identità e i valori religiosi. Le diverse fedi possono portare a differenze nei valori e nelle pratiche quotidiane. Le coppie devono discutere come gestire le proprie identità religiose e quali tradizioni seguire.

La questione di quale religione insegnare ai figli è spesso centrale in queste situazioni. Le coppie devono trovare un compromesso che rispetti le credenze di entrambi i genitori. Le famiglie di origine possono avere opinioni forti riguardo alla disparità di culto. È importante che la coppia affronti queste dinamiche e cerchi di ottenere supporto. La celebrazione del matrimonio può essere una sfida, poiché le cerimonie religiose possono differire notevolmente. Alcuni possono scegliere di avere una cerimonia interreligiosa o di rispettare le tradizioni di entrambe le fedi. Considerando gli aspetti legali, in alcune culture e religioni, il matrimonio tra persone di fedi diverse può non essere riconosciuto legalmente o religiosamente. È importante informarsi sulle leggi e norme locali. E’ fondamentale che le coppie mantengano una comunicazione aperta e onesta riguardo alle proprie credenze e aspettative. Questo aiuta a costruire un terreno comune e a risolvere eventuali conflitti. La capacità di rispettare e accettare le differenze religiose è cruciale per il successo di un matrimonio interreligioso[8]. Ciò richiede una mentalità aperta e un impegno reciproco. In sintesi, la disparità di culto nel matrimonio può presentare sfide significative, ma può anche arricchire la relazione se affrontata con rispetto, comunicazione aperta e un impegno condiviso per trovare un equilibrio tra le diverse tradizioni e credenze. Dal punto di vista pastorale, la Chiesa cattolica riconosce la complessità di tali unioni, poiché possono sorgere difficoltà riguardanti la vita di fede, l’educazione dei figli e l’integrazione delle diverse tradizioni religiose. Per questo motivo, la Chiesa può richiedere il permesso del vescovo per celebrare un matrimonio in queste circostanze. È importante considerare che ogni coppia ha la propria storia e dinamiche, e molte persone riescono a costruire relazioni amorevoli e rispettose anche in presenza di differenze religiose. La sensibilità del ministero pastorale è fondamentale per accompagnare le coppie in questo cammino, promuovendo il dialogo e la comprensione reciproca. In sintesi, l’impedimento di disparitas cultus è una questione di equilibrio tra il rispetto delle norme della Chiesa e l’accompagnamento delle persone nella loro vita di fede e nei loro rapporti affettivi.

5. Conclusioni

L’obiettivo delle prescrizioni normative non è limitare lo ius connubii di un soggetto, bensì assolvere ad una funzione preventiva e pedagogica.

Il can. 1086 intende infatti dissuadere la parte cattolica dall’accedere ad una tipologia matrimoniale che la menomerebbe della essenziale dimensione sacramentale. La Chiesa avverte la costante preoccupazione di tutelare il diritto divino, partendo dal presupposto che il cattolico che sposa un non battezzato si colloca in una situazione di pericolo che lo porterebbe a non essere fedele alle esigenze fondamentali della vita cristiana. Tuttavia, l’impedimento de quo è di diritto ecclesiastico, pertanto dispensabile alla luce della particolare disciplina presente nell’attuale Codice, per cui si richiede alla parte cattolica di dichiarare di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e di promettere di fare quanto le è possibile perché tutti i figli che nasceranno da questo matrimonio siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica. Alla parte non battezzata, invece, si richiede di essere informata delle promesse fatte da quella cattolica. È fondamentale che i coniugi coinvolti in una situazione di disparitas cultus si impegnino in un dialogo aperto e sincero riguardo alle loro credenze e pratiche religiose. La comunicazione è essenziale per trovare un terreno comune e rispettare le differenze. Anche il ruolo della comunità religiosa incide pesantemente.

Le comunità religiose possono svolgere un ruolo importante nel supportare le coppie in questa situazione. Offrire programmi di preparazione al matrimonio che affrontino specificamente le sfide della disparitas cultus può essere utile. Ogni singolo matrimonio, ovviamente, costituisce un caso a sé e questa peculiare situazione, che coinvolge in un primo momento due persone, necessita da parte di entrambe un comune progetto di vita.

È quindi evidente che la Chiesa cattolica, in tale contesto culturale e religioso, si è venuta orientando per un indirizzo sempre più rigoroso per il rilascio della dispensa[9]. Ad esempio, la Conferenza Episcopale Italiana nel 1993, nell’adottare il Direttorio di pastorale familiare (n. 89), si era limitata a sottolineare la necessità che «i nubendi abbiano una giusta concezione del matrimonio in particolare sulla natura monogamica e indissolubile» e più pragmaticamente richiede di controllare la legislazione matrimoniale dello stato di appartenenza della parte islamica e di tenere presente il luogo in cui i coniugi fisseranno permanentemente la loro dimora[10].

La CEI, inoltre, preoccupata del fallimento di queste unioni, fallimento che ha recato grandi sofferenze soprattutto alla donna, ha emanato successivamente nel 2005 delle Indicazioni sui matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia, indirizzate ai pastori per la concessione della dispensa sulla disparitas cultus, nelle quali giungeva «a sconsigliare o comunque non incoraggiare questi matrimoni, secondo una linea di pensiero condivisa dai musulmani»[11]. Concludendo quindi, la disparitas cultus è una realtà complessa che richiede attenzione e cura. Soltanto attraverso il dialogo, il rispetto e la comprensione reciproca, le coppie possono affrontare le sfide e costruire una vita coniugale ricca e significativa, nonostante le differenze religiose.

 

 

 

 

 

 

 

[1]D. MOGAVERO, Il matrimonio con dispensa per disparitas cultus nell’ordinamento canonico, in Quaderni della Segreteria Generale CEI, 2007.
[2] L. MUSSELLI, Manuale di diritto canonico e matrimoniale, Monduzzi, Bologna, 1997, p. 163 ss.
[3]Cfr. P. Pellegrino, L’impedimento di disparità di culto nel diritto canonico latino, in Il Diritto Ecclesiastico, 1, 1999, il quale ricorda che il Codex del 1983 non tratta più degli impedimenti impedienti ma solo di quelli dirimenti. Peraltro, bisogna tener presente che l’impedimento di mixta religio non si riscontra più nell’attuale Codex anche se la stessa figura giuridica viene considerata nel can. 1124 come matrimonio misto, proibito se contratto senza espressa licenza della competente autorità.
[4]Cfr. J.F. Castaño, Il sacramento del matrimonio, Pioda, Roma, 1994, p. 294 ss., il quale sottolinea la differenza tra il termine invalidum del can. 1086 § 1 e il termine nullum contenuto nel can. 1070 § 1 del vecchio codice pio-benedettino, rilevando che tale sostituzione offre un significato più consono alla realtà giuridica che il nuovo Codex vuole esprimere. Stando alla dottrina generale sul negozio giuridico, la realtà che segue la celebrazione matrimoniale quando interviene un impedimento non è un matrimonio nullum ma un matrimonio invalidum.
[5]Cfr. A. Arza, Disparitas cultus, in Aa.Vv., Nuovo dizionario di diritto canonico, a cura di C. Corral Salvador, V. De Paolis, G. Ghirlanda, Ed. San Paolo, Roma, 1993.
[6]D. SALACHAS, Matrimoni misti nel Codice Latino e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali Cattoliche, in P.A. BONNET, C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. III, LEV, Città del Vaticano, 2005.
[7]D. MOGAVERO, Il matrimonio con dispensa per disparitas cultus nell’ordinamento canonico, in Quaderni della Segreteria Generale CEI, 2007.
[8]O. FUMAGALLI CARULLI, Il matrimonio canonico tra principi astratti e casi pratici. Con cinque sentenze rotali commentate, Vita e Pensiero, Milano, 2012.
[9]A. PERLASCA, La sacramentalità del matrimonio contratto con dispensa dall’impedimento di disparitas cultus, in Quaderni di diritto ecclesiale, 3, 2011.
[10] U. NAVARRETE, Matrimoni misti: conflitto tra diritto naturale e teologia, in Quaderni di diritto ecclesiale, 2, 1992.
[11] F. LA CAMERA, Ossimori impliciti e tautologie esplicite nella disciplina della dispensa da disparitas cultus tra cattolici e islamici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista on-line (www.statoechiese.it), novembre 2008.

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