
Pandemia: il Consiglio di Stato chiude la porta al risarcimento
Sommario: 1. La vicenda del Teatro Franco Parenti e l’oggetto del giudizio – 2. L’improcedibilità dell’azione impugnatoria e il rischio di un sindacato a posteriori – 3. Discrezionalità tecnica, bilanciamento dei diritti e limiti del sindacato giurisdizionale – 4. La negazione del ristoro e l’ombra lunga della responsabilità senza colpa – 5. Verso un diritto amministrativo dell’emergenza più garantista
1. La vicenda del Teatro Franco Parenti e l’oggetto del giudizio
La decisione del Consiglio di Stato n. 7521/2025 prende le mosse dalla vicenda del Teatro Franco Parenti, impresa sociale che gestisce un complesso culturale e ricreativo articolato in più sale teatrali e in un centro balneare all’aperto nel territorio milanese.
L’appellante ha impugnato, nell’arco di un anno, quattordici DPCM adottati tra aprile 2020 e marzo 2021, ritenendo che le misure restrittive in essi contenute – chiusure totali, limiti numerici agli accessi, parametri particolarmente stringenti per le piscine – avessero ingiustamente sacrificato l’attività economica e culturale del teatro, provocando un danno patrimoniale ingentissimo.
L’azione è strutturata in modo ambizioso: oltre all’annullamento dei provvedimenti, viene domandato il risarcimento di un pregiudizio quantificato in oltre quattro milioni di euro, al netto dei ristori pubblici percepiti, e si sollecita altresì il rimettente a sollevare questione di legittimità costituzionale sui decreti-legge nn. 6/2020 e 19/2020.
La sentenza in commento, confermando l’esito di primo grado, respinge integralmente l’appello, dichiarando improcedibile l’azione impugnatoria per sopravvenuta carenza di interesse e infondata la domanda di ristoro. Proprio la combinazione di questi due piani – annullamento e risarcimento – rende la decisione un osservatorio privilegiato sulle tensioni sistemiche del diritto amministrativo dell’emergenza.
2. L’improcedibilità dell’azione impugnatoria e il rischio di un sindacato a posteriori
La Sezione Terza aderisce alla ormai costante lettura secondo cui, una volta esauriti gli effetti dei DPCM emergenziali, l’interesse all’annullamento viene meno.
Il Collegio afferma che, per l’azione di annullamento, è «evidente la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente per aver perso, dette misure, la loro efficacia».
La soluzione è coerente con l’impianto tradizionale dell’art. 34 c.p.a., ma solleva non pochi interrogativi: se le misure più invasive adottate nella storia repubblicana nei confronti delle libertà costituzionali sfuggono, di fatto, a qualsiasi scrutinio di legittimità nel merito una volta cessata l’emergenza, il rischio è quello di un diritto amministrativo “a tempo”, la cui sindacabilità rimane confinata alla fase cautelare o addirittura alla sola dialettica pubblica.
In prospettiva, il problema non è solo teorico. La scelta di arrestare il giudizio davanti alla sopravvenuta carenza di interesse, senza utilizzare in modo più elastico gli strumenti offerti dall’art. 34, comma 3, c.p.a. (in particolare il possibile accertamento dell’illegittimità ai fini risarcitori o conformativi), rischia di sottrarre al controllo giurisdizionale proprio le fattispecie in cui l’ampiezza della discrezionalità avrebbe richiesto un sindacato più approfondito, sia pure nei limiti esterni propri della giurisdizione amministrativa.
3. Discrezionalità tecnica, bilanciamento dei diritti e limiti del sindacato giurisdizionale
Sul piano del merito, il Consiglio di Stato qualifica i DPCM contestati come «provvedimenti emergenziali adottati per garantire la tutela della salute pubblica in una fase ad alto rischio infettivo e caratterizzati da elevata discrezionalità tecnica, oltrechè da progressività e proporzionalità nel delicato bilanciamento tra contrapposti diritti garantiti dalla costituzione».
Il richiamo alla dimensione tecnico-scientifica delle scelte di Governo e alla giurisprudenza (anche costituzionale) in tema di prevalenza dell’interesse collettivo alla salute sembra fungere da scudo, più che da criterio operativo, per delimitare il raggio del sindacato.
Il Collegio afferma, con formulazione significativa, che l’appellante «suggerisce scelte di merito basate su valutazioni non scientifiche e personali opinabili», con ciò relegando le proposte alternative – ad esempio, una modulazione più fine dei limiti di capienza o un diverso parametro per le piscine ricreative – al rango di opzioni politiche, indisponibili al vaglio del giudice.
La sentenza richiama, inoltre, Cons. Stato n. 3038/2025, là dove si sottolinea come dall’art. 32 Cost. emerga una dimensione solidaristica della tutela della salute, tale da giustificare limitazioni anche incisive. Tuttavia, la scelta di insistere quasi esclusivamente sul profilo assiologico della solidarietà, senza confrontarsi in modo puntuale con la concreta differenziazione dei settori (teatri, musei, luoghi di culto, stabilimenti balneari) e con la successiva evoluzione delle linee guida, finisce per confermare una “zona franca” di discrezionalità emergenziale difficilmente compatibile, nel lungo periodo, con l’idea di amministrazione soggetta alla legge e al giudice.
4. La negazione del ristoro e l’ombra lunga della responsabilità senza colpa
La parte forse più problematica della sentenza riguarda il diniego del risarcimento del danno. Il TAR aveva escluso l’esistenza di un «danno ingiusto» anche per «mancanza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’amministrazione resistente, tenuto conto che le misure introdotte sono state adottate in un contesto caratterizzato dall’estrema incertezza della situazione generatasi dalla pandemia».
Il Consiglio di Stato sostanzialmente ribadisce tale impostazione, ancorando il rigetto alla legittimità dei provvedimenti e alla natura eccezionale del contesto.
In tal modo, però, la decisione sembra chiudere la porta non solo alla responsabilità per colpa, ma anche all’idea – da tempo discussa in dottrina – di un possibile modello di responsabilità da esercizio lecito di poteri pubblici in situazioni di emergenza, fondato sull’equilibrata ripartizione del sacrificio tra collettività e singoli operatori economici.
La domanda del Teatro, calibrata sul danno emergente e sul lucro cessante, avrebbe potuto costituire il terreno per interrogarsi, almeno in via incidentale, sulla compatibilità con i principi costituzionali di un sistema che, pur riconoscendo la legittimità delle restrizioni, scarica integralmente il costo economico su determinati comparti.
L’assenza di qualunque apertura in tal senso conferma, invece, un’impostazione tradizionale: o il provvedimento è illegittimo e colpevole, e allora il danno è ingiusto; oppure è legittimo, e il sacrificio resta confinato nella sfera del “costo della cittadinanza”.
5. Verso un diritto amministrativo dell’emergenza più garantista
La pronuncia n. 7521/2025 si colloca nel solco di un orientamento volto a consolidare, più che a problematizzare, la legittimità del modello emergenziale adottato nella pandemia da Covid-19.
La manifestata infondatezza della questione di costituzionalità sui decreti-legge nn. 6/2020 e 19/2020 è motivata rinviando alle precedenti decisioni della Corte costituzionale, senza però interrogarsi sulle ricadute future di una normazione che consente all’Esecutivo, in tempi rapidi, di incidere su libertà fondamentali attraverso atti amministrativi.
Se è vero che la giurisprudenza ha ritenuto compatibile questo assetto con la riserva di legge, resta aperta la questione di come garantire, in prospettiva, un controllo effettivo – giurisdizionale e democratico – sulla proporzionalità concreta delle misure e sulla distribuzione dei sacrifici.
La vicenda del Teatro Franco Parenti segnala che il settore culturale è stato colpito in modo selettivo e profondo, pur a fronte di ambienti (sale ampie, spazi all’aperto, modalità di accesso contingentate) che avrebbero consentito soluzioni meno distruttive.
Un diritto amministrativo dell’emergenza orientato al futuro dovrebbe allora farsi carico di tre esigenze: preservare l’efficacia dell’azione pubblica nella crisi; assicurare un sindacato di legittimità non meramente simbolico; predisporre strumenti di riequilibrio economico per gli operatori che sopportano un sacrificio straordinario nell’interesse della collettività.
In questa prospettiva, la sentenza in commento rappresenta più il punto di approdo di una stagione di “tutela minima” che l’avvio di una riflessione davvero riformatrice.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.







