
Emma Hamilton, simbolo della peccaminosa e della sonnolenta Napoli borbonica di fine 700
Chi era davvero Emma, nata Emy Lyon, destinata a diventare la donna più chiacchierata – e, a suo modo, più influente – della Napoli di fine Settecento, nonché la confidente prediletta della regina Maria Carolina?
Emma nasce nel 1765 in un minuscolo villaggio inglese, in una famiglia dove anche l’essenziale era un lusso. Figlia del fabbro del paese, presto orfana, attraversa un’adolescenza errabonda e spregiudicata: un’esistenza in cui la bellezza, precoce e folgorante, diventa l’unico capitale da spendere per garantirsi un tetto e un piatto caldo. Fa la bambinaia, la domestica, la modella di nudo, la ballerina. A sedici anni partorisce una figlia e la affida alla madre, mentre lei continua a inseguire quel “grande colpo di fortuna” che, ne è certa, prima o poi arriverà.
E arriverà, puntuale come un destino che ha letto il copione in anticipo: Sir Charles Greville. Emma ne diventa l’amante e la musa, posando per George Romney e guadagnandosi, a soli diciotto anni, l’appellativo di “divina”. Tuttavia, come spesso accade ai cuori volubili (o ai nobili indebitati), Greville si stanca: per liberarsi di Emma la “cede” allo zio, Sir William Hamilton, ambasciatore britannico a Napoli, che in cambio si accolla i debiti del nipote. Un passaggio di mano non proprio romantico, ma di quelli che cambiano una vita.
Il 26 aprile Emma sbarca a Napoli in una giornata di primavera che sembra benedire il suo nuovo inizio. Con Sir William, di trentacinque anni più anziano, forma una coppia eccentrica e irresistibile: lui, collezionista di meraviglie antiche; lei, la più luminosa tra le sue “opere d’arte viventi”. A Palazzo Sessa, con vista sul golfo, Emma studia danza, canto, recitazione e italiano; perfeziona le sue celebri “attitudes”, pose plastiche che replicano figure mitologiche, veri quadri viventi che incantano l’aristocrazia europea.
Occhi violetti, profilo greco, sensualità più elegante che provocatoria: Emma diventa la stella indiscussa della mondanità partenopea. Tra i suoi ammiratori spiccano Ferdinando IV, con il suo famoso naso borbonico, e soprattutto Maria Carolina d’Asburgo, che la accoglie come confidente – e forse qualcosa di più, se vogliamo dar credito alle malizie di corte. Emma è la “Madonna di Napoli”, la moglie devota di Sir William, ma anche, ufficiosamente, il più efficace ambasciatore britannico in città.
Nel 1792 ha ventisette anni e domina la scena come nessun’altra. Ma l’amore – quello vero, non di convenienza – non è ancora arrivato. Si presenta nel 1793 con un nome destinato a diventare leggenda: Horatio Nelson. La passione scoppierà soltanto sei anni dopo, quando Nelson torna a Napoli da eroe, dopo aver sconfitto la flotta napoleonica in Egitto. Intanto la politica brucia: l’avanzata francese scuote il Regno delle Due Sicilie, la corte fugge a Palermo, i giacobini insorgono, e Emma diventa un ingranaggio cruciale nel delicato rapporto tra Londra e Napoli.
Quando la monarchia borbonica viene restaurata, la repressione contro i repubblicani è feroce. Emma, fedele a Maria Carolina, partecipa a quella stagione cupa con la stessa determinazione con cui un tempo interpretava le sue pose mitologiche – ma con effetti decisamente meno poetici.
Intanto l’amore con Nelson divampa e nel 1801 nasce la loro figlia, Horatia. Sir William, ormai in pensione, finge di non vedere, ma l’opinione pubblica inglese è meno indulgente. Emma e Nelson vengono travolti dal pettegolezzo e decidono di lasciare Napoli. Il rientro a Londra è un ritorno alla realtà: la trasgressione napoletana, un tempo affascinante, in patria diventa colpa. Nel 1803 muore Sir William. Nel 1805 Emma perde anche Nelson, caduto a Trafalgar, lui destinato all’eternità, lei a un declino impietoso.
Sola, oberata dai debiti, segnata nell’aspetto e nell’animo, Emma perde anche la madre e una seconda figlia. Si ritira a Calais, in Francia, vivendo solo per Horatia, lei che per tutta la vita aveva vissuto solo per sé. Muore nel 1815, consumata dall’alcol e dall’abbandono, assistita unicamente dalla figlia.
Sulla tomba si legge: “Emma Hamilton, amica dell’Inghilterra”. Il Times le concede due misere righe. Due righe per la creatura che un tempo aveva mandato in delirio un’intera città sciogliendo i capelli come una moderna dèa pagana.
La vita di Emma, in fondo, è un lampo: una stagione breve e abbagliante. Ma come tutti i lampi, di lei resta l’eco – un riflesso di bellezza, audacia e fragilità che continua a illuminare, a distanza di secoli, la Napoli che l’aveva amata come una regina non incoronata.
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Adelia Giordano
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