I fratelli invisibili. Il ruolo dei “siblings” nella cura e nel diritto

I fratelli invisibili. Il ruolo dei “siblings” nella cura e nel diritto

Sommario: 1. La cura silenziosa dei fratelli – 2. Il vuoto normativo – 3. La cura che pesa sulla libertà – 4. Una questione di giustizia relazionale – 4. Verso una nuova politica della cura

 

1. La cura silenziosa dei fratelli

C’è una forma di cura che non nasce da un dovere giuridico né da un mandato morale esplicito, ma da una fratellanza che diventa destino. È la cura silenziosa dei siblings: fratelli e sorelle di persone con disabilità che, spesso sin dall’infanzia, si trovano a condividere — e poi a sostenere — il peso di una vita diversa.

Una cura che non conosce orari, compensi o congedi. Che non figura nei decreti ministeriali, né nelle tabelle dei benefici previsti dalla legge 104. Eppure, senza di loro, il sistema di assistenza familiare collasserebbe.

Nel dibattito pubblico, la figura del caregiver è ormai consolidata, ma resta centrata sui genitori. Il fratello o la sorella del disabile, invece, vive una condizione più sottile: partecipe ma non protagonista, responsabile ma non tutelato. Dopo la morte dei genitori, molti siblings diventano il punto di equilibrio tra la vita autonoma e la vulnerabilità del proprio caro.

È in quel momento che la cura diventa “per sempre”, mentre lo Stato resta spettatore distratto.

2. Il vuoto normativo

L’Italia riconosce formalmente il “caregiver familiare” (art. 1, comma 255, L. 205/2017), ma senza un sistema organico di diritti. La figura del sibling caregiver non è neppure nominata. I fondi istituiti restano frammentari, affidati alla discrezionalità delle Regioni. Mancano norme che traducano l’esperienza di questi fratelli in strumenti concreti: permessi retribuiti, priorità nei trasferimenti, tutela previdenziale, sostegno psicologico.

La disattenzione normativa contrasta con il principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, comma 2, Cost.: rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Nel caso dei siblings, l’ostacolo è la cura stessa, che diventa dovere morale e limite esistenziale.

La loro condizione interroga anche l’art. 38 Cost., che garantisce ai cittadini “inabili e sprovvisti di mezzi” il diritto al mantenimento, ma non chiarisce chi sostenga i loro fratelli quando la cura diventa totalizzante.

3. La cura che pesa sulla libertà

Essere fratello o sorella di una persona disabile significa spesso rinunciare a qualcosa: a un trasferimento di lavoro, a un concorso in un’altra città, a un progetto di vita indipendente. Si tratta di scelte individuali, ma condizionate da una struttura pubblica che non prevede sostegni stabili.

Nel diritto amministrativo questa realtà è quasi invisibile. I bandi di concorso, ad esempio, non contemplano fattori di flessibilità legati alla condizione di caregiver familiare, se non nei casi di genitorialità diretta. Eppure, la Costituzione impone alla pubblica amministrazione di garantire “il buon andamento e l’imparzialità” (art. 97 Cost.) anche nella distribuzione delle opportunità: ignorare chi assiste un familiare disabile significa perpetuare una diseguaglianza sostanziale.

Il sibling caregiver vive dunque in una zona grigia, dove il diritto tace ma la vita incalza. Il suo tempo libero è un bene raro; la pianificazione personale un lusso; il sostegno istituzionale, una promessa non mantenuta.

La legge 112/2016 sul “Dopo di noi” si è concentrata sulla tutela patrimoniale e assistenziale del disabile privo di sostegno familiare, ma ha lasciato irrisolta la posizione di chi quel sostegno lo garantisce ogni giorno.

4. Una questione di giustizia relazionale

C’è un principio, ancora più profondo, che dovrebbe orientare la riflessione giuridica: la giustizia non è solo distribuzione di risorse, ma anche riconoscimento delle relazioni che sorreggono la società.

Nel modello italiano, la famiglia resta l’asse portante del welfare. Ma se i fratelli diventano attori della cura, è doveroso riconoscerne la funzione giuridica e sociale.

L’eguaglianza sostanziale non si misura solo nei confronti dei disabili, ma anche di chi li accompagna. I siblings meritano strumenti di sostegno che evitino l’esclusione professionale, la povertà relazionale e il burnout emotivo.

La giurisprudenza amministrativa potrebbe svolgere un ruolo pionieristico: interpretare le norme esistenti in senso estensivo, includendo i fratelli nel perimetro dei beneficiari di misure di tutela (permessi, mobilità, priorità). In tal modo, il diritto amministrativo tornerebbe a essere — come fu nel suo disegno originario — un diritto di garanzia della persona, non solo di organizzazione della funzione pubblica.

5. Verso una nuova politica della cura

Una riforma autentica dovrebbe riconoscere la pluralità dei legami familiari che generano cura. Servono politiche che offrano ai siblings accesso a servizi di sollievo, percorsi di formazione, agevolazioni lavorative, e che valorizzino il loro sapere esperienziale nel sistema dei servizi sociali.

Nel lungo periodo, un simile riconoscimento alleggerirebbe il carico economico e psicologico che oggi grava sulle famiglie e favorirebbe un modello di welfare condiviso, più vicino al principio di solidarietà sociale (art. 2 Cost.).

Il diritto non può restare neutrale dinanzi a un fenomeno così diffuso. L’inclusione dei siblings nel quadro legislativo rappresenterebbe non un privilegio, ma un atto di giustizia.

Perché dietro ogni persona con disabilità c’è, quasi sempre, un fratello o una sorella che l’ha accompagnata nella vita, nei silenzi e nelle assenze delle istituzioni.

Riconoscerli significa restituire valore giuridico a una forma di amore civile che tiene in piedi, giorno dopo giorno, la parte più fragile e insieme più umana della Repubblica.


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