Figli in mediazione familiare: benefici e criticità

Figli in mediazione familiare: benefici e criticità

Il coinvolgimento dei bambini negli incontri di mediazione è una delle questioni più controverse in materia di mediazione familiare.

Premettendo che una risposta definitiva e univoca manchi, proprio perché diverse sono le scuole teoriche e gli approcci che adottano i mediatori familiari (anche in ragione della poliedricità della formazione di base di partenza degli stessi), si procederà in questo articolo ad analizzare il perché di questa diversità di vedute e quali siano i vantaggi e gli svantaggi di questa scelta.

Occorre, preliminarmente, sottolineare un concetto: è il caso concreto, ognuno diverso dall’altro, a determinare se debbano o no essere coinvolti i figli. Aprioristicamente nessuna scelta può essere fatta.

Del resto, la maggior parte delle coppie che si rivolgono alla mediazione ricorrono a questo strumento per cercare di riorganizzare la vita familiare dopo la separazione o il divorzio o, comunque, in una fase critica del ciclo familiare in cui sono coinvolti o direttamente o indirettamente anche i figli. Residuali, invece, sono i casi di coppie senza figli che si rivolgono alle sedi ove si esercita la mediazione.

Ciò accade perché, la rottura del legame coniugale (o anche solo della convivenza e del rapporto affettivo) non determina il venir meno del ruolo genitoriale che, pertanto, permarrà in capo alle parti che voglio il divorzio o la separazione. Tuttavia, a causa di tale rottura i figli si trovano a subire necessariamente e senza possibilità di scampo alcuna (soprattutto se molto piccoli) gli esiti delle scelte dei genitori e di quanto accade al termine degli incontri di mediazione.

Ogni mediatore familiare, pertanto, è chiamato in prima persona a fare una scelta che non è solo teorica, ma soprattutto pratica sulla possibilità e necessità di entrare in contatto diretto con i figli delle parti che a tale figura si sono rivolte e di coinvolgerli o meno ad una parte degli incontri.

Certamente, non è sempre necessario (e, anzi, talvolta è persino meno preferibile) che i figli vengano coinvolti direttamente, partecipando alle sedute come parte attiva.

In ogni caso, che sia diretta o anche solo “indiretta” la loro partecipazione, comunque il mediatore ne assume la “rappresentanza temporanea”, richiamando costantemente i genitori ad agire e prendere decisioni nel loro interesse.

Infatti, è bene precisare, la mediazione familiare si prefigura l’obiettivo di garantire una soluzione condivisa, frutto della scelta consapevole e con il tempo maturata, dai genitori nel bene del gruppo familiare globalmente inteso, ma con particolare riguardo all’interesse dei minori dei quali deve essere assicurata la salute psico-fisica e il rapporto con entrambi i genitori e le famiglie di origine.

Fatte queste premesse, a titolo puramente esemplificativo, si espongono di seguito i principali approcci teorici sul tema:

  • si passa dal modello terapeutico di F. Bernardini e M. Busellato[1], incentrato sull’importanza della partecipazione dei figli al processo di mediazione (sul presupposto che, essendo necessariamente coinvolti emotivamente nelle dinamiche familiari, la loro voce dovrebbe essere ascoltata)

  • all’approccio sistemico-relazionale di D. Mazzei, che concepisce la partecipazione dei bambini come una fase vera e propria del processo di mediazione, attraverso tecniche come il “disegno congiunto della famiglia” (nate nell’ambito peritale, ma adattate al suo uso in mediazione). L’obiettivo per Mazzei è quello di far comprendere ai genitori, in ipotesi di conflittualità alta, qualcosa di più sulla situazione psicologica dei loro figli,

  • ai modelli strutturati, diretti all’accordo, che escludono tassativamente la partecipazione dei figli alla mediazione familiare, ritenendo che i bambini debbano rimanere al di fuori della conflittualità tra i genitori: la separazione e il divorzio riguardano gli adulti e, più nello specifico, gli adulti e il mediatore.

Dunque, seppur le correnti di pensiero possano sussumersi all’interno di due macro categorie, quella di coloro che ritengono utile (financo necessaria) la partecipazione dei figli e coloro invece che ne rinvengono numerosi svantaggi, diverse sono le cosiddette terre di mezzo: da chi, come R. Ardone, ritiene che la loro convocazione sia preferibile quando tra i genitori si è costituita almeno una base di dialogo e il clima della seduta appare più disteso, ad altri ritengono utile la partecipazione quando siano i genitori stessi o i figli a richiederlo e i figli abbiano una certa età, ad altri come J. Haynes e I. Buzzi[2] che ritengono importante la presenza dei figli laddove si debbano rivedere gli accordi raggiunti dai genitori, altri ancora come L. Parkinson che ritengono necessario e prodromico un lavoro sulle motivazioni che conducono al coinvolgimento dei figli prima di inserirli direttamente nel contesto della mediazione.

Al di là della scuola di pensiero, evidenziando ciascuna un ottimo punto di riflessione e di approccio del mediatore alla tematica, al fine di prendere la migliore scelta possibile per il caso concreto è molto importante che il mediatore svolga un lavoro con i genitori, non solo su quanto rappresenta la mediazione, in cosa consista e quali siano gli obiettivi, ma anche sulle modalità di coinvolgimento dei figli agli incontri (insieme ai genitori o con incontri vis a vis tra mediatore e figli) e, dunque, studi attentamente con loro cosa fare prima, durante e dopo l’incontro con i figli.

Infatti, anche una volta assunta la decisione di coinvolgerli, il mediatore deve predisporre un’adeguata pianificazione sul se ricevere i figli insieme ai genitori o separatamente, sulla comunicazione ai genitori delle conversazioni tra mediatore e figli e su cosa accada se il figlio non dia il suo consenso a comunicare quanto detto al mediatore, sull’avviso ai genitori di non dare istruzioni al bambino prima dell’incontro né di interrogarlo o di rimproverarlo dopo su quanto detto al mediatore.

Alla luce di queste considerazioni possono annoverarsi i seguenti rischi “ipotetici” dal coinvolgimento dei figli in mediazione:

  • inasprimento del coinvolgimento dei figli nella conflittualità genitoriale con conseguente aumento della loro sofferenza a causa della maggiore coscienza del conflitto. E’ per tale rischio che alcuni mediatori preferiscono non incontrarli, cercando così di tutelarli dalla conflittualità genitoriale;

  • rafforzamento della posizione dei figli verso uno dei genitori, con conseguente indebolimento dell’altro e, dunque, coalizzazione con un genitore contro l’altro. Questi sono i rischi legati al fenomeno della cosiddetta PAS (Sindrome dell’Alienazione Parentale) e della triangolazione. In alcuni casi il rischio che può concretizzarsi è, addirittura, quello della presa di distanza da entrambi i genitori;

  • confusione del ruolo del mediatore con quello di un terapeuta o dell’avvocato del minore e così rischiare di far slittare l’intervento del mediatore in altri contesti diversi, quali quello della terapia familiare;

  • aumento della pressione nel figlio per la percezione di “dovere” esprimere per forza i propri punti di vista e sentimenti e aumento della pressione subita direttamente da uno o entrambi i genitori su cosa dire al mediatore, quasi ricevendo delle istruzioni per orientare il mediatore. E’ per tale ragione che il lavoro preliminare genitori-mediatore sul coinvolgimento dei figli è indispensabile;

  • non completa consapevolezza e capacità da parte del minore di comprendere i propri interessi e il miglior bene in una logica di lungo termine;

  • incapacità dei genitori di gestire la propria sofferenza di fronte ai figli e maggiore difficoltà di esprimersi con sincerità con conseguente allungamento dei tempi per addivenire ad un accordo;

  • nascita di acrimonia o ulteriori conflitti tra genitori e figli a causa dei feedback dei figli sui genitori con conseguente rischio di diventare (anche nell’inconsapevolezza dei genitori stessi) il loro capro espiatorio.

Questi, invece, sono i possibili benefici del loro coinvolgimento:

  • aiuto diretto ai figli sull’accettare, comprendere e reggere la situazione di conflitto genitoriale, grazie al coinvolgimento e alla partecipazione agli incontri. La mediazione consente loro di avere un quadro realistico di ciò che sta avvenendo in famiglia e di essere supportati nella sua comprensione con conseguente maggiore e più facile adattabilità alle decisioni contenute nell’accordo di mediazione;

  • valorizzazione del loro ruolo e dell’importanza dei loro sentimenti e pensieri, trattati con rispetto in linea con la Riforma Cartabia[3] proprio in tema di ascolto del minore;

  • aiuto ai genitori ad ascoltare meglio i propri figli, a facilitarne la comunicazione e a spostare la loro attenzione dal conflitto ai bisogni del figlio;

  • in caso di incontri del mediatore solo con i figli, opportunità per i figli di esprimersi liberamente senza paura di essere sentiti e giudicati dai genitori. Il mediatore rappresenta per il bambino un confidente imparziale cui esternare paure e ansie che non ha mai potuto o non è mai riuscito a manifestare ai genitori. In conseguenza di ciò è un’opportunità di aiuto ai figli ad elaborare i messaggi che vogliono far arrivare ai genitori (o ad altre persone coinvolte) e a sentirsi in grado di trasmetterli.

Ordunque, nonostante l’importanza di tenere in considerazione tutti quelli che sono i rischi (più che gli svantaggi) del coinvolgimento del minore in mediazione, non può che sottolinearsi l’importanza della presenza del figlio che in alcuni casi diventa la chiave di volta nonché uno strumento essenziale per dare o, talvolta, ri-dare voce al minore e aiutare i genitori a dipanare il conflitto e giungere ad un accordo.

Attraverso il suo coinvolgimento il figlio trova un luogo sicuro, protetto e neutro per dar voce ai suoi pensieri, ai suoi stati d’animo, alle sue emozioni, senza sentirsi escluso o un soggetto meramente passivo di scelte che, pur riguardandolo, non lo hanno mai preso in considerazione.

Allo stesso tempo, il percorso di mediazione permetterà ai genitori di porre l’attenzione su quella che è la dimensione genitoriale, mettendo in secondo piano la dimensione strettamente conflittuale, che non deve nascondere né deve prevalere sul ruolo genitoriale che mai viene meno.

Pertanto, non solo la partecipazione alla mediazione è uno strumento per “liberare” il bambino dal piuttosto probabile e rischioso ruolo di mediatore dei genitori, ma anche un’opportunità per riportare l’attenzione sui suoi bisogni e sulle sue esigenze.

Tuttavia, al di là, del coinvolgimento diretto o indiretto dei figli, attraverso la mediazione comunque i figli, grazie all’intervento del mediatore familiare, si riappropriano del loro ruolo di figli e bambini, essendo il professionista-mediatore ad occuparsi dei problemi e della conflittualità della coppia. In effetti, ciò che con sempre maggiore forza si sta registrando è che tale pratica mediatoria comporti grossi benefici anche, e forse soprattutto, per i minori.

Si è notato, infatti, come il tentativo con alta probabilità infruttuoso dei genitori di “proteggere” i propri figli, escludendoli da tutto il percorso di separazione e divorzio (ivi compreso il percorso di mediazione) comporta l’insorgenza nel minore di varia e talvolta complicata sintomatologia, o addirittura di patologie. Ciò che si può fare nel percorso di mediazione, anche attraverso il coinvolgimento dei figli, non è tanto capire con quale genitore il ragazzo preferisca stare, ma permettergli di esprimere in un contesto protetto la propria esperienza, evitando, tra l’altro, di fargli processare ed introiettare informazioni errate ed inesatte su quanto sta accadendo ai suoi genitori e, quindi, alla sua famiglia.

 

 

 

 

 

 

[1] Vedasi: F. Bernardini e M. Busellato, “Mediazione familiare: modelli e tecniche per la gestione dei conflitti”; F. Bernardini “La mediazione familiare: una via per la risoluzione dei conflitti”; M. Busellato, “Psicologia e mediazione familiare”. Soprattutto, l’ultimo testo citato enfatizza la necessità di ascoltare e proteggere i bambini e gli adolescenti dal conflitto.
[2] Vedasi: J. Haynes e I. Buzzi, “Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione”;
[3] A tal riguardo vedasi l’articolo “L’ascolto del minore nel processo e negli incontri di mediazione familiare alla luce della riforma Cartabia”, di Elisa Cofano, Salvis Juribus, 13/02/2025, Roma.

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