Il dovere di provvedere tra discrezionalità e legalità: il silenzio inadempimento nel caso del conferimento del titolo di professore emerito

Il dovere di provvedere tra discrezionalità e legalità: il silenzio inadempimento nel caso del conferimento del titolo di professore emerito

La recente sentenza n. 6218/2025 del TAR Campania, sez. I, fornisce un importante chiarimento in materia di silenzio inadempimento e obbligo di conclusione del procedimento amministrativo. Anche in assenza di un’esplicita previsione normativa che tipizzi l’obbligo di provvedere, l’Amministrazione è tenuta a rispondere all’istanza del privato laddove quest’ultimo vanti un interesse legittimo qualificato. Il caso specifico riguarda la mancata conclusione del procedimento per il conferimento del titolo di “professore emerito”, sollevando questioni delicate sull’estensione del potere-dovere amministrativo, sui limiti della discrezionalità, sulla legittimazione ad agire e sulle conseguenze giuridiche dell’inerzia amministrativa. Il contributo analizza la pronuncia in chiave sistematica, collocandola nel quadro dei principi generali del procedimento amministrativo e del sindacato giurisdizionale sull’inerzia.

Con la sentenza n. 6218 del 17 settembre 2025, il TAR Campania, sezione I di Napoli, si è espresso su una questione di notevole rilievo in materia di silenzio inadempimento e obbligo di conclusione del procedimento amministrativo. Il caso trae origine dal ricorso proposto da un docente universitario che lamentava l’inerzia del Rettore della propria Università in ordine al procedimento volto al conferimento del titolo onorifico di “professore emerito”. Nonostante l’approvazione della proposta da parte del Consiglio di Dipartimento, il procedimento risultava paralizzato a causa della mancata trasmissione dell’istanza al Ministero da parte dell’organo accademico competente.

Il Collegio campano ha colto l’occasione per ribadire un principio basilare del diritto amministrativo: l’obbligo di provvedere da parte della Pubblica Amministrazione sussiste non solo quando previsto da una norma positiva, ma anche ogniqualvolta l’interessato vanti una legittima aspettativa a ottenere una risposta – positiva o negativa – dall’Amministrazione, in virtù dei principi di correttezza, imparzialità e buona amministrazione sanciti dall’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990.

In tal senso, il procedimento amministrativo, anche quando scaturisce da un’istanza meramente onorifica e non immediatamente produttiva di effetti patrimoniali, dev’essere concluso con un provvedimento espresso. L’inerzia, infatti, non può essere giustificata dal carattere discrezionale dell’attività amministrativa, né può essere superata dalla semplice costituzione in giudizio, una volta instaurata l’actio contra silentium.

Secondo il TAR, nel caso di specie, non può negarsi l’esistenza di un interesse qualificato in capo al docente richiedente. Sebbene il titolo di “professore emerito” sia espressione di una valutazione discrezionale dell’amministrazione universitaria, e dunque non configuri una posizione giuridica soggettiva pienamente protetta in senso stretto, ciò non esclude il diritto dell’interessato a ricevere una pronuncia motivata sull’istanza presentata. In altre parole, anche a fronte di un potere discrezionale, permane in capo alla Pubblica Amministrazione il dovere di esercitarlo entro un termine ragionevole, dando conto delle ragioni sottese alla decisione adottata o al diniego.

Il TAR affronta altresì il nodo della legittimazione del ricorrente, contestata dall’Amministrazione resistente. Il Collegio, coerentemente con l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha escluso che la mancanza di una norma attributiva di un autonomo potere di iniziativa al soggetto privato possa incidere sulla titolarità dell’interesse legittimo a ottenere una risposta. Il conferimento del titolo, infatti, rappresenta una manifestazione formale del riconoscimento dell’eccellenza accademica, e in quanto tale incide, quantomeno riflessamente, sulla sfera giuridica del richiedente, attribuendogli un vantaggio morale e reputazionale non trascurabile.

La sentenza si sofferma anche sulla distinzione tra obbligo e facoltà di provvedere. Laddove l’istanza del privato sia manifestamente infondata, può ritenersi non sussistente un obbligo sostanziale di pronunciarsi nel merito. Tuttavia, l’infondatezza dev’essere palese e immediatamente rilevabile, circostanza che non ricorre nel caso in esame, dove il procedimento aveva già registrato un primo esito favorevole da parte dell’organo dipartimentale. In tale contesto, il Rettore avrebbe potuto esercitare un potere di riesame, richiedendo al Dipartimento ulteriori elementi istruttori o una nuova valutazione, purché tale richiesta fosse motivata e non pretestuosa.

La sentenza chiarisce che il comportamento inerte del Rettore non si traduce in una legittima interlocuzione amministrativa, ma in un vero e proprio arresto procedimentale. Tale inattività costituisce una violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990, norma cardine che impone la conclusione del procedimento entro un termine certo – trenta giorni in assenza di diversa previsione normativa o regolamentare. L’inosservanza di tale termine, accertata in sede giurisdizionale, fonda la declaratoria del silenzio inadempimento e legittima l’ordine del giudice a concludere il procedimento.

La pronuncia in esame ordina dunque all’Amministrazione di concludere il procedimento secondo le fasi previste: valutazione rettorale, eventuale riesame da parte del Dipartimento, e successiva trasmissione al Ministero in caso di conferma del giudizio positivo. Non si tratta, precisa il TAR, di un’automatica approvazione della richiesta, ma della riaffermazione del diritto del cittadino a ricevere una risposta amministrativa motivata, anche laddove il contenuto della determinazione finale sia discrezionale e sfavorevole.

Significative, infine, sono le conseguenze giuridiche riconnesse alla declaratoria di silenzio inadempimento. Oltre alla condanna dell’Amministrazione alle spese di giudizio, la sentenza ricorda l’obbligo di trasmissione del provvedimento alla Corte dei conti, previsto dall’art. 2, comma 8, della legge 241/1990. Tale trasmissione apre la strada a una potenziale azione di responsabilità amministrativo-contabile, in quanto l’inerzia potrebbe essere valutata come danno erariale. Né va trascurato il possibile riflesso in sede disciplinare, in quanto l’inadempienza incide sulla performance individuale del dirigente responsabile. Il principio di diritto affermato è chiaro: l’obbligo di concludere il procedimento amministrativo grava sull’Amministrazione anche in assenza di una previsione normativa puntuale. Tale obbligo sorge ogniqualvolta l’interessato vanti una legittima aspettativa a conoscere le determinazioni dell’ente pubblico. Il silenzio non può mai surrogare il contenuto motivato di un provvedimento, né può essere sanato a posteriori mediante la costituzione in giudizio. L’azione amministrativa non può eludere i principi di trasparenza, legalità e buon andamento che ne costituiscono l’essenza. Alla luce di ciò, la sentenza del TAR Campania assume valore sistematico, ponendosi nel solco della giurisprudenza più attenta alla tutela del giusto procedimento e alla responsabilizzazione della Pubblica Amministrazione. In un contesto ordinamentale in cui il cittadino si confronta sempre più spesso con un’amministrazione formale ma di fatto elusiva, la riaffermazione dell’obbligo di provvedere costituisce un presidio essenziale dello Stato di diritto.


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Riccardo Renzi

Funzionario della Pubblica Amministrazione a Comune di Fermo
Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Notizie Geopolitiche, Scholia e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all'attivo più di 500 pubblicazioni tra scientifiche e di divulgazione, per quanto concerne il diritto collabora con Italia Appalti, Altalex, Jus101, Opinio Juris, Ratio Iuris, Molto Comuni, Italia Ius, Terzultima Fermata e Salvis Juribus.

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