
La chiusura dei server nel mondo dei videogiochi: tra esigenze e diritto
Sommario: 1. Introduzione – 2. Evoluzione dei formati videoludici: dalla proprietà fisica alla dematerializzazione digitale – 3. Le questioni centrali: proprietà, licenza e controllo nel mondo digitale – 4. I publisher – 5. Conclusioni: verso un equilibrio tra innovazione e diritto alla fruizione
1. Introduzione
L’espansione del mercato videoludico ha determinato un’evoluzione non soltanto tecnologica, ma anche giuridica e culturale. Se in passato il videogioco si configurava come un bene tangibile, acquistabile su supporto fisico, oggi esso si presenta sempre più come un servizio digitale, disciplinato da licenze d’uso e condizioni contrattuali di natura unilaterale, spesso non negoziabili dall’utente finale.
Questa trasformazione incide profondamente sui concetti di proprietà privata, uso legittimo e tutela dell’utente, generando una tensione crescente tra la natura immateriale del prodotto e le tradizionali aspettative del consumatore, ancora legate al possesso materiale del bene.
Non si tratta, tuttavia, di una problematica del tutto inedita. Già nei primi anni Duemila, con l’esperienza del MMORPG Second Life [1], i giocatori potevano creare vere e proprie opere dell’ingegno, suscettibili di tutela ai sensi del diritto d’autore. Tali dinamiche posero le basi per i primi interrogativi sulla titolarità dei diritti all’interno degli ambienti virtuali e all’esterno,
Nel corso dello sviluppo del mercato videoludico, l’evoluzione tecnologica delle console ha progressivamente favorito la dematerializzazione del prodotto. Se in passato il dispositivo era concepito per ospitare supporti fisici — come cartucce, CD o DVD — oggi il mercato si trova in una fase di transizione, caratterizzata dalla coesistenza di console completamente digitali, modelli ibridi e, in misura sempre più ridotta, sistemi tradizionali.
È prevedibile che, analogamente a quanto avvenuto nel settore informatico con la progressiva scomparsa dei Tower dai personal computer a favore di sistemi compatti e interconnessi, anche il supporto fisico del videogioco sia destinato a scomparire.
Tale processo di virtualizzazione dell’esperienza videoludica — che ha trasformato il videogioco da bene materiale a bene digitale — pone un interrogativo centrale: che ne è del diritto di proprietà quando l’oggetto acquistato non esiste più fisicamente, ma soltanto come file, accesso o licenza revocabile?
È su questo nodo problematico — giuridico, economico e culturale al tempo stesso — che il presente contributo intende soffermarsi, analizzando le implicazioni del nuovo paradigma di proprietà digitale nel contesto dei videogiochi.
2. Evoluzione dei formati videoludici: dalla proprietà fisica alla dematerializzazione digitale
Negli anni Ottanta, l’esperienza videoludica era profondamente radicata nella dimensione fisica e collettiva delle sale giochi. I cabinati arcade, diffusi in bar, pub e locali specializzati, costituivano il principale punto di accesso al medium. Titoli iconici come Pac-Man, Street Fighter, Tekken e Mortal Kombat definivano l’immaginario ludico dell’epoca, fondato sull’interazione diretta e sulla competizione in presenza.
Con l’introduzione delle prime console domestiche — dal Nintendo Entertainment System (NES) fino alla Sony PlayStation — si assistette a una progressiva domesticazione del videogioco. L’adozione di supporti fisici (cartucce, CD-ROM) e dispositivi di salvataggio (memory card) segnò una svolta epocale, contribuendo all’espansione di un mercato che, da un valore di circa 900 milioni di dollari nel 1980, ha raggiunto oltre 250 miliardi nel 2022[2].
Parallelamente, la digitalizzazione e la diffusione delle reti telematiche hanno trasformato radicalmente le modalità di distribuzione e fruizione, generando nuove configurazioni giuridiche e culturali. È possibile distinguere, in sintesi, quattro categorie principali di esperienza videoludica:
a) Giochi con supporto fisico autonomo
In questa configurazione, il contenuto è interamente nel supporto (cartuccia o disco ottico) e non richiede connessione a Internet. L’acquirente beneficia dei diritti riconosciuti dal principio di esaurimento del diritto di distribuzione (art. 17 Dir. 2001/29/CE; art. 64-bis L. 633/1941), tra cui:
uso personale della copia acquistata;
facoltà di rivendita, prestito o donazione della copia fisica;
creazione di copie di sicurezza, nei limiti consentiti dalla licenza.
Resta ferma, tuttavia, la distinzione tra proprietà del supporto materiale e licenza sul contenuto digitale, che rimane soggetto alle restrizioni imposte dal produttore.
b) Giochi con supporto fisico ma dipendenti da connessione online
Questa categoria limita sostanzialmente l’esercizio del diritto di proprietà: pur esistendo un supporto fisico, il gioco richiede una connessione costante per accedere a funzionalità essenziali (campagne, salvataggi, aggiornamenti). Esempi emblematici includono The Crew Motorfest, Final Fantasy XIV, Diablo IV e Destiny 2.
La variabilità delle condizioni di connessione per area geografica (ad esempio, Hogwarts Legacy non richiede connessione obbligatoria nella versione europea, ma sì in quella statunitense) rivela la tensione tra dimensione materiale e infrastruttura digitale nonché uno squilibrio a favore dell’utilizzo delle condizioni di termine e di uso del Publisher.
c) Giochi con supporto fisico e download obbligatorio
Il supporto fisico funge da mera chiave di attivazione, mentre il contenuto principale deve essere scaricato da Internet. Esempi rilevanti sono Halo Infinite, Star Wars Outlaws (versione Switch 2) e Spyro Reignited Trilogy (solo il primo titolo è incluso sul disco).
Tale pratica solleva questioni cruciali circa la sopravvivenza del contenuto e la conservazione a lungo termine, in quanto l’indisponibilità dei server rende il supporto materiale inerte.
d) Giochi completamente digitali
Questa categoria rappresenta la completa dematerializzazione del videogioco, distribuito esclusivamente tramite piattaforme online (Steam, PlayStation Store, Xbox Live).
In questo scenario, l’utente non acquista la proprietà di una copia, ma una licenza d’uso limitata, disciplinata da un contratto di tipo End User License Agreement (EULA).
Il diritto dell’utente è pertanto di natura obbligatoria e non reale, subordinato alle condizioni contrattuali unilateralmente predisposte dal titolare dei diritti.
Come ha chiarito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza UsedSoft GmbH v. Oracle International Corp. (C-128/11), il principio di esaurimento può applicarsi alle licenze software, ma la particolare integrazione tra contenuto digitale e infrastruttura tecnica (server, DRM, account) ne rende difficile l’estensione ai videogiochi.
3. Le questioni centrali: proprietà, licenza e controllo nel mondo digitale
Uno dei primi casi emblematici di conflitto in materia di proprietà digitale nel contesto videoludico è quello di Second Life, sviluppato da Linden Research, Inc., che introdusse un’economia interna basata sulla creazione e monetizzazione di contenuti da parte degli utenti (abitazioni, oggetti, opere artistiche).
Il caso Marc Bragg v. Linden Research, Inc.[3] (U.S. District Court, 2007) segnò una tappa importante: a seguito della disattivazione dell’account dell’utente e della perdita delle sue creazioni virtuali, Bragg intentò causa sostenendo la violazione dei propri diritti patrimoniali digitali. Il giudice Robreno ritenne la clausola arbitrale dei Termini di Servizio inconscia e vessatoria, ammettendo la giurisdizione della corte statunitense nonostante l’attività si svolgesse in ambiente virtuale. La controversia si concluse con un accordo extragiudiziale, senza una pronuncia definitiva sul merito, ma lasciando aperto il dibattito sulla proprietà dei beni virtuali.
La giurisprudenza statunitense successiva ha mantenuto un orientamento restrittivo. Nel caso Hernandez v. Internet Gaming Entertainment, Ltd. [4] concernente il fenomeno del gold farming in World of Warcraft, il tribunale riconobbe la piena validità delle clausole contrattuali che attribuivano la titolarità dei beni digitali alla società Blizzard Entertainment, negando la sussistenza di un diritto di proprietà in capo agli utenti.
Analoghe controversie si sono verificate nel contesto di EVE Online, in cui episodi di furto o distruzione di asset virtuali di valore economico reale hanno confermato la fragilità della proprietà digitale, essendo i beni qualificati come proprietà esclusiva del fornitore del servizio.
Un fronte giuridico parallelo ha riguardato il diritto di rivendita dei giochi digitali. Nel caso Union Fédérale des Consommateurs Que Choisir v. Valve Corp. [5] , l’associazione dei consumatori contestò a Valve l’impossibilità di rivendere i giochi acquistati su Steam. In un primo momento, il Tribunal de grande instance di Parigi riconobbe la legittimità della rivendita, estendendo il principio di esaurimento anche alle copie digitali; tuttavia, la Corte d’Appello di Parigi (2023) ribaltò tale decisione, affermando che le copie digitali costituiscono licenze non trasferibili, e non beni oggetto di vendita.
La questione ha riacceso il dibattito sull’applicabilità del concetto di bene digitale e sulla tenuta del diritto di proprietà nel contesto dell’economia dell’accesso.
La recente chiusura dei server di vari titoli Ubisoft [6] ha ulteriormente accentuato la problematicità del possesso digitale: una petizione firmata da oltre un milione di utenti rivendicava il diritto a continuare l’uso dei giochi “acquistati”, ma la società ha ribadito che si trattava di licenze d’uso e non di diritti di proprietà.
Un caso analogo ha coinvolto Electronic Arts (2024)[7], che ha cessato il supporto per alcuni titoli classici. Sebbene i giochi fossero installati localmente, richiedevano un’autenticazione online; la disattivazione dei server ne ha reso impossibile l’utilizzo, dimostrando che il possesso digitale è subordinato non alla volontà dell’utente, ma all’infrastruttura tecnica e alla volontà unilaterale del produttore.
4. I publisher
Se da un lato la disattivazione dei server può apparire come una misura “draconiana”, dall’altro è necessario considerare l’evoluzione del mercato videoludico e il desiderio, da parte dei publisher, di offrire esperienze sempre più immersive, fluide e tecnologicamente avanzate. Tuttavia, questa tensione verso l’innovazione può comportare una compressione eccessiva della “vita sostanziale” di un gioco, intesa come la sua capacità di restare fruibile e rilevante nel tempo.
Con le prime console domestiche, la durata media di un ciclo videoludico si attestava intorno ai cinque anni, come dimostrano le date di produzione delle principali piattaforme. Il gioco, in quel contesto, era un bene tangibile, con una sua autonomia e persistenza. Oggi, con l’accelerazione dello sviluppo tecnologico e la progressiva digitalizzazione dei contenuti, questa longevità rischia di ridursi drasticamente, trasformando il videogioco in un servizio a tempo, soggetto a logiche di aggiornamento, compatibilità e obsolescenza.
Per comprendere le ragioni che spingono i publisher [8] a chiudere i server di un titolo online, occorre analizzare una serie di fattori interconnessi:
Costi operativi e sostenibilità
Gestire un gioco online comporta costi significativi e ricorrenti: server, infrastrutture di rete, supporto tecnico, aggiornamenti, sicurezza, manutenzione. Quando il numero di utenti attivi scende sotto una soglia critica — come nel caso citato da EA, dove il traffico online era inferiore all’1% del picco storico — mantenere l’infrastruttura diventa economicamente ingiustificabile. In un contesto imprenditoriale dove le risorse sono finite e gli investimenti devono essere ottimizzati, la dismissione di un servizio non redditizio è una scelta razionale, seppur dolorosa.
Obsolescenza tecnologica
Molti titoli legacy si basano su architetture server ormai datate, con codice difficile da aggiornare, integrare o proteggere. L’evoluzione tecnologica rende oneroso il mantenimento di ambienti obsoleti, sia in termini di compatibilità che di sicurezza. In questi casi, spegnere un gioco non significa abbandonarlo, ma riconoscere i limiti strutturali di un sistema che non può più reggere il passo con le esigenze contemporanee.
Strategie aziendali e allocazione delle risorse
Le grandi aziende del settore devono costantemente decidere dove concentrare tempo, capitale umano e investimenti: nuovi progetti, nuove proprietà intellettuali, tecnologie emergenti. Continuare a sostenere giochi che non generano ritorni può distogliere risorse preziose da iniziative con maggiore potenziale. La chiusura di un titolo, quindi, non è solo una fine: è anche un atto di riallocazione strategica, una scelta che guarda al futuro.
Licenze e diritti
Infine, molti giochi — soprattutto quelli che includono contenuti licenziati come sport, musica o marchi — sono vincolati da contratti che possono scadere o diventare troppo onerosi da rinnovare. In assenza di accordi sostenibili, mantenere attivi i servizi può risultare impraticabile, sia dal punto di vista legale che economico.
5. Conclusioni: verso un equilibrio tra innovazione e diritto alla fruizione
Il progressivo processo di digitalizzazione del videogioco ha ridefinito i confini tra proprietà, licenza e accesso, generando un nuovo paradigma in cui l’utente non è più proprietario di un bene, ma titolare di un diritto d’uso temporaneo e condizionato.
La disattivazione dei server — spesso percepita come una violazione della libertà del consumatore — è, in realtà, il risultato di una complessa interazione tra esigenze economiche, limiti tecnologici e vincoli giuridici che i publisher si trovano a gestire in un mercato in continua evoluzione.
Ubisoft, Electronic Arts e altri operatori del settore agiscono, nella maggior parte dei casi, non con l’intento di privare i giocatori dei propri titoli, ma per garantire la sostenibilità di un ecosistema sempre più dinamico, interconnesso e tecnicamente avanzato.
Tuttavia, il riconoscimento della legittimità economica di tali scelte non può esimere dal porre la questione della tutela dell’utente e della preservazione del patrimonio videoludico, oggi esposto a un rischio di obsolescenza senza precedenti.
In questo senso, il diritto dovrebbe evolvere parallelamente alla tecnologia, predisponendo meccanismi di equilibrio tra gli interessi dell’impresa e quelli del consumatore.
Una possibile soluzione sistemica potrebbe articolarsi su tre livelli:
Trasparenza contrattuale e informazione preventiva
Le licenze d’uso dovrebbero esplicitare con chiarezza la durata dei servizi online e le condizioni di eventuale dismissione, prevedendo obblighi di preavviso e la possibilità, per l’utente, di accedere in forma offline ai contenuti già acquistati.
Ciò garantirebbe una maggiore certezza giuridica e limiterebbe il senso di “espropriazione digitale” che oggi caratterizza la percezione del consumatore.
Modalità di fruizione alternativa (offline o community server)
In caso di chiusura dei server ufficiali, i publisher potrebbero consentire l’attivazione di modalità offline o la concessione controllata di licenze per server comunitari non commerciali, destinati alla conservazione e alla fruizione privata.
Questo approccio, già sperimentato in alcuni contesti open source, permetterebbe di conciliare la tutela dei diritti d’autore con la sopravvivenza culturale del videogioco come opera dell’ingegno.
Riconoscimento del videogioco come bene culturale digitale
In prospettiva, sarebbe opportuno che le istituzioni nazionali ed europee riconoscessero il valore culturale e storico del videogioco, includendolo in politiche di archiviazione e conservazione simili a quelle previste per film, musica e opere letterarie.
La cooperazione tra publisher, archivi pubblici e istituti di ricerca potrebbe garantire una preservazione legale e tecnica delle opere, senza compromettere i diritti economici dei titolari.
In definitiva, la chiusura dei server non deve essere interpretata come la fine di un diritto, ma come un’occasione per ripensare la relazione tra industria, diritto e memoria digitale.
Solo attraverso un dialogo costruttivo tra le parti — imprese, utenti e legislatori — sarà possibile delineare un modello sostenibile di proprietà digitale, capace di coniugare innovazione tecnologica, libertà di fruizione e tutela del patrimonio videoludico collettivo.
Fonti:
1-Bragg v. Linden Research, Inc., United States District Court, Eastern District of Pennsylvania487 F. Supp. 2d 593 (E.D. Pa. 2007) https://www.studicata.com/case-briefs/case/bragg-v-linden-research-inc
2-Business Fortune Report Gaming Market Size, Industry Share & COVID-19 Impact Analysis, By Game Type (Shooter, Action, Sports, Role Playing, and Others), By Device Type (PC/MMO, Tablet, Mobile Phone, and TV/Console), By End-User (Male and Female), and Regional Forecast, 2023-2030 https://www.fortunebusinessinsights.com/infographics/gaming-market-105730
3- 1-Bragg v. Linden Research, Inc., United States District Court, Eastern District of Pennsylvania487 F. Supp. 2d 593 (E.D. Pa. 2007) https://www.studicata.com/case-briefs/case/bragg-v-linden-research-inc
4-Hernandez v. Internet Gaming Entertainment, Ltd et al, No. 1:2007cv21403 – Document 49 (S.D. Fla. 2008) https://law.justia.com/cases/federal/district-courts/florida/flsdce/1:2007cv21403/296927/49/
5-UFC Que choisir / Valve (Steam) – La Cour de cassation se prononce sur la revente des jeux vidéo dématérialisés https://www.courdecassation.fr/decision/6353887e513cb5adff94371e
6- Ubisoft per questioni di spazio ciclicamente pubblica un elenco di dismissioni di giochi online
https://www.ubisoft.com/it-it/help/purchases-and-rewards/article/decommissioning-of-online-services-for-older-legacy-ubisoft-games-a-m/000064576
7-S-Tagliaferri, Electronic Arts ha annunciato la chiusura dei server di quattro giochi di corse,Multiplayer.It 5 September 2025 https://multiplayer.it/notizie/electronic-arts-ha-annunciato-la-chiusura-dei-server-di-quattro-giochi-di-corse.html
8- CyberPost Why is Ubisoft shutting down games? 28 March 2025 https://cyberpost.co/why-is-ubisoft-shutting-down-games/?utm_source=chatgpt.com
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.







