La responsabilità medica e la corsa contro il tempo durante l’uragano pandemico
Sommario: 1. L’istituto della responsabilità medica nei riguardi del paziente sottoposto a cure – 1.1. Il danno biologico e la perdita di chance – 1.2. La medicina Ateniese – 2. La legislazione attuale e le novità apportate dalla Legge Gelli – 2.1. La medicina difensiva – 2.2. Il decalogo di San Martino 2019 – 2.3. La responsabilità medica ai tempi del Coronavirus – 3. Conclusioni: verso un equilibrio tra responsabilità professionale e diritto alla salute
1. L’istituto della responsabilità medica nei riguardi del paziente sottoposto a cure
La responsabilità medico-sanitaria è uno dei temi più vasti, tra i più soggetti a continue riforme e più discussi di sempre. Per poterci addentrare in ambito civile e penale nei riguardi della responsabilità medica, in primo luogo, risulta essenziale e inevitabile porre una distinzione tra il medico libero professionista della propria attività e il medico dipendente della struttura ospedaliera o sanitaria.
La prima tipologia di responsabilità, del medico libero professionista, è di tipo contrattuale. Alla base del rapporto medico-paziente vi è un contratto a prestazioni corrispettive (es. dermatologo, dentista, ecc.): prestazione del medico (controllo, diagnosi, intervento) a parità di prezzo del servizio. Il professionista deve adempiere comportandosi con la diligenza del buon padre di famiglia ai sensi dell’articolo 1176 del Codice civile: «Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. La diligenza, diversamente dal criterio di correttezza e buona fede, indica le modalità di esecuzione della prestazione e impone al debitore di fare tutto quanto necessario a soddisfare l’interesse del creditore all’esatto adempimento». Dunque, tra il medico che presta un servizio di cure ed il paziente che le riceve nasce una obbligazione definita “Contratto di Spedalità “, ovvero di assistenza sanitaria. Un danno permanente provocato durante questa prestazione fa scattare a suo carico una responsabilità civile di tipo “contrattuale”. Possiamo facilmente dedurre che si tratti di una responsabilità molto gravosa per la cui si prevede la presunzione della colpa ai sensi dell’articolo 1228 c.c. Al paziente danneggiato basta provare la sussistenza dell’inadempimento e la qualità del danno provocato, al medico altresì volendo dimostrare la non colpevolezza necessita di un’esistenza valida di cause a lui non imputabili. L’articolo 2946 c.c. rende tale responsabilità ancora più pesante prevedendo un termine ordinario di prescrizione di 10 anni per le richieste di risarcimento. Dinnanzi a ciò come può dunque il medico libero professionista proteggersi? Vi è sicuramente una possibilità di protezione di fronte ad accuse in merito a responsabilità del medico libero professionista: la polizza RC professionale. La legge Gelli all’articolo 10 c. 2 definisce l’obbligo di stipulazione della polizza in casi specifici: «Per ogni esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività al di fuori di una Struttura o che presta la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale, o che si avvale della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il Paziente».
Facendo riferimento al secondo caso, in merito al medico dipendente di una struttura sanitaria, cosa si intende per responsabilità medica? Il singolo cittadino si rivolge ad una struttura sanitaria, la quale gli attribuirà un medico curante non concordato. Non vi è dunque un rapporto giuridico predeterminato tra medico e paziente affidatogli: intercorre una responsabilità extra-contrattuale. In questa situazione la responsabilità di un danno investe direttamente la struttura sanitaria, anche se la condotta colposa è stata posta in essere da un medico al suo interno. L’Art. 7 della Legge Gelli richiama infatti l’Art. 1228 c.c. “Responsabilità per fatto degli ausiliari”, che attribuisce in capo alla struttura sanitaria l’onere della responsabilità anche per i fatti commessi degli addetti di cui si avvale. Per non lasciare spazio a qualsiasi dubbio o discrezionalità, ancora una volta la Legge Gelli all’articolo 10, c. 3 stabilisce un obbligo assicurativo anche per i medici “interni” a strutture sanitarie, imponendo la stipula di una adeguata “Polizza di Colpa Grave”. Facendo riferimento a oramai più di vent’anni fa, possiamo trovare una definizione chiara di responsabilità del medico non libero professionista all’interno della sentenza della Cassazione n.589/1999.[1]
Essa dichiarò valida quella teoria che potremmo definire “responsabilità da contatto sociale” 1173 c.c.[2] : essa si colloca in una particolare forma di responsabilità contrattuale che tuttavia non nasce da un “contratto” in sé , bensì da un “contatto sociale“ vale a dire da un rapporto che si instaura tra due soggetti non in forza di un accordo tra le parti, ma piuttosto in virtù di un obbligo legale oppure come esito di un altro rapporto contrattuale instauratosi tra soggetti diversi rispetto a quelli del “contatto sociale”. Un esempio teorico, semplice e accurato di “contatto sociale” può essere quello di rapporto che intercorre tra il medico, dipendente di un’azienda sanitaria o altresì di una clinica privata, ed il paziente sottoposto alle cure del medico stesso. Il contratto si instaura dunque in tal caso soltanto tra l’azienda sanitaria (o privata) ed il paziente. La conseguenza è che la figura del medico si propone di apportare la propria prestazione professionale di ausilio per la struttura sanitaria ma nei confronti del paziente ai sensi dell’art. 1228 c.c.: «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione da causa a lui non imputabile». Dunque, la prestazione sanitaria nonostante sia dovuta non dal medico ma dal suo datore di lavoro (azienda sanitaria), stabilisce un contatto fra il medico e il paziente: il primo anche se tenuto a prestazione da parte di un terzo (clinica sanitaria) si occupa della salute del secondo. Nei riguardi del paziente il medico risulta responsabile ai soli fini della diligenza e della perizia con cui la prestazione viene eseguita, tenendo presente che l’attività svolta dagli esercenti delle professioni sanitarie è riconosciuta dal diritto privato come obbligazione di mezzi ma non di risultato.[3] Ciò implica che nei riguardi dell’obbligazione di mezzi il medico (così come l’avvocato) si impegna a prestare il massimo delle proprie capacità per il bene del proprio paziente (o cliente) ma non assicurando alle massime percentuali il risultato desiderato.
Pertanto, il “contatto sociale” genera un dovere di protezione, che trova origine nella concezione anche giurisprudenziale di criterio di buona fede e correttezza. [4] Essendo una professione protetta (quella del medico) e rilevando un diritto fondamentale, quale la salute, ne consegue che il paziente si affidi al medico: si stabilisce il concetto di “affidamento” al medico curante. Alla base vi è un fatto, un cosiddetto “contatto sociale” che, in quanto al di fuori del fatto illecito, è identificabile ai sensi dell’art.1173 c.c.: «Le obbligazioni derivano da contratto da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo [2043] a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico». Ad oggi però la responsabilità del medico dipendente è stata ripristinata alla forma della responsabilità extra-contrattuale. Per quanto riguarda il concetto di obbligazione di mezzi tale che non assicuri un risultato desiderato, in passato si riteneva che il medico non rispondesse ad alcuna responsabilità nei confronti del paziente se non ai sensi della responsabilità Aquiliana in concorso con la responsabilità contrattuale della clinica sanitaria. Questa visione è tramutata in una concezione secondo la quale il paziente assume un contratto di cure mediche non con il medico bensì con la clinica sanitaria.
1.1. Il danno biologico e la perdita di chance
Nell’ambito della disciplina della responsabilità medica di dubbia collocazione se patrimoniale o non si ha il cosiddetto danno alla salute o danno biologico. L’art.32 della costituzione italiana recita la disciplina del danno biologico nella qualità di lesione dell’integrità psico-fisica della persona quale bene protetto in sé.[5] Così anche il codice delle assicurazioni private all’art.138 comma 2 mette in risalto: «la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito». Dunque, a colui, il quale subisca una determinata invalidità temporanea o permanente, è concesso un risarcimento del danno biologico.
Nel caso in cui il soggetto a cui è stato cagionato un danno biologico, subisca ripercussioni e difficoltà nello svolgimento della propria attività lavorativa e dunque produttiva del reddito permanente o nella prospettiva di un’entrata futura, gli verrà concessa e liquidata talvolta anche il mancato guadagno derivante da tale attività persa. Il danno biologico ai sensi dell’articolo 2059 c.c. è di natura non patrimoniale come aveva in un primo momento ritenuto il Supremo Collegio. In un secondo momento la Cassazione all’ex art.2043 c.c. qualificava il danno biologico quale sottospecie del danno ingiusto. Coloro i quali abbiano subito un danno biologico e debbano ad ogni modo rinunciare ad utilità e capacità di cui prima fruivano e traevano interessi, subiscono un ulteriore danno suscettibile di criterio economico dovuto ad un mancato guadagno. [6]
Qualificare il danno biologico come fatto patrimoniale significava ammetterne il risarcimento talvolta anche qualora il fatto o atto illecito che avesse cagionato il danno non apportasse corrispondenze ad una fattispecie di vero reato. Recentemente la giurisprudenza è tornata a qualificare il cosiddetto danno biologico come danno non patrimoniale. Si ha una concezione più estesa di danno alla salute: essa comprende il danno psichico, estetico, esistenziale e alla vita di relazione. [7]
Per danno psichico è necessario porre una fondamentale distinzione tra lesione della salute mentale del soggetto contrapposto al turbamento psichico del soggetto leso in un proprio diritto, entrambi fondamentali nell’ambito dell’effetto negativo apportato da una responsabilità medica non proficua. Allo stesso modo troviamo anche il danno alla vita di relazione, comunemente presentata come impossibilità di reintegrarsi nei rapporti sociali. Arrivando ad un concetto più ampio, danno esistenziale, potremmo configurare il danno alla salute come una somma di ripercussioni negative che apportano al soggetto un fatto lesivo della persona. Con la stessa qualità si fa riferimento alla perdita di chance rinvenibile quindi non solo in ambito di occasioni propizie per il singolo individuo ma anche in ambito di responsabilità sanitaria[8]. In ambito medico la perdita di chance equivale ad una guarigione perduta dovuta all’omissione, non curanza o di una non appropriata terapia curativa da parte dell’esercente della professione sanitaria. L’emissione di terapia si conforma al quantum del risarcimento.[9] Pertanto dal concetto di danno alla vita o danno biologico è possibile risalire e introdurre il concetto di colpa in ambito generale e penale o più minuziosamente in ambito medico-sanitario tale che stiamo affrontando. La colpa in ambito penale consiste nella inosservanza di precauzioni doverose. Quando essa si verifica per omissione di cautele, per violazione di regole di prudenza, di attenzione o diligenza, si denomina «colpa generica» la quale rileva dinanzi ai concetti di: imprudenza, imperizia e negligenza. Al contrario la «colpa specifica», consiste nella inosservanza di “regole scritte” e precisamente nella inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline che nell’ambito della responsabilità medica rilevano ai sensi del Codice penale e della disciplina medico-sanitaria attuale.
1.2. La medicina Ateniese
La responsabilità medica non è soltanto un nodo fondamentale e cruciale all’interno della società odierna. Grazie a studi archeologici e manoscritti rinvenuti da ricerche è possibile far riferimento, seppur in qualità meno vasta, al tema di responsabilità medica già all’anno 429 a.C. nel cuore dell’Atene avvolta dal male della peste nera. Ippocrate (Kos ca. 460 a.C.- Làrissa ca. 377 a.C.) medico, geografo e aforista greco antico. Prima di Ippocrate, la medicina era di tipo teurgico. La malattia era il risultato di un castigo divino voluto dal Dio, che solo un intervento magico-rituale operato dai sacerdoti poteva risanare. Diagnosi era intesa come incubazione: il malato veniva fatto addormentare nel tempio di Asclepio e attraverso il sogno terapeutico, il Dio forniva la cura della malattia. La guarigione avveniva attraverso l’incontro con la divinità che sorvegliava e proteggeva l’individuo nel perseguimento della salute. L’aspetto fondamentale della medicina ippocratica fu quello di separare l’aspetto ritualistico-sacerdotale dalla medicina basandola su un metodo scientifico. La diagnosi era basata su un’attenta osservazione dei sintomi, che permetteva al medico di risalire alle cause fisiche (non più divine) della patologia, costruendo un quadro teorico coerente, da cui derivava la scelta della terapia. Egli in distinti passi delle sue opere si concentra sull’esigenza che il medico conduca una vita riservata, non lucri sulle malattie dei pazienti bensì li guarisca gratuitamente se bisognosi e instauri un legame di sincerità con i malati. Il testo più celebre della sua etica medica è il giuramento obbligatorio per tutti i medici (in parte oggi ancora in uso), in cui sono regolate le norme comportamentali e i princìpi fondamentali che devono essere seguiti da colui che esercita la professione medica: diffusione responsabile del sapere, impegno alla vita, senso del limite proprio e segreto professionale.
Egli influenzò in maniera decisiva la medicina romana arrivando sino ai giorni d’oggi portando con sé il concetto più celebre di giuramento[10]. In alcuni manoscritti si descrive il comportamento che il medico curante deve tenere e di conseguenza la sua responsabilità: essere discreto, parlare a bassa voce, esprimere fiducia nella guarigione, calmare il paziente con persuasione.[11]
2. La legislazione attuale e le novità apportate dalla Legge Gelli
Ad oggi, tuttavia, la responsabilità del medico dipendente è stata ripristinata nella forma di responsabilità extra-contrattuale. Necessario e inevitabile sarà richiamare la responsabilità degli esercenti alle professioni sanitarie che è regolata dalla legge 8 marzo n.24/2017[12], nota anche come Legge Gelli o Gelli-Bianco. La norma si pone in continuità con gli obiettivi del precedente Decreto Balduzzi.[13] Per giunta la legge Gelli persegue l’idea di superamento di ambiguità seppur residuali di cui è caratterizzato il Decreto Balduzzi elaborando un contenuto più chiaro e accessibile al pubblico lettore. Nell’ambito della responsabilità medico-sanitaria e chirurgica ciò che assume maggior rilievo è il concetto di linee-guida: esse indicano i passi che debbono esser compiuti e tutti quei fatti da considerare per seguire la terapia del paziente. Esse possono essere molto dettagliate tanto da poter paragonare le cosiddette linee-guida a “direttive” o “protocolli”. Del resto, l’art. 5 L.24/2017 (Legge Gelli) prevede l’obbligo generalizzato di attenersi alle linee-guida per gli esercenti professioni medico-sanitarie nell’ambito di prestazioni a fini preventivi, terapeutici, palliativi, diagnostici, riabilitativi e con finalità di medicina legale. Il Codice penale evidenzia situazioni plausibili che possono verificarsi in casi concreti: situazioni nelle quali le linee-guida non coprano interamente le circostanze del caso concreto considerato. La conseguenza apportata è che il medico-chirurgo si discosti dalle linee-guida, o direttive, e risulti contrario alle regole dettate dalla medicina. Vi sono tre fondamentali novità apportate dalla legge Gelli n. 24 del 2017: la prima riguarda l’indicazione specifica ed esplicita che il sanitario risulti esente da qualsiasi forma di responsabilità penale per lesione colposa od omicidio qualora l’evento negativo sia stato cagionato agendo nel rispetto non solo di linee-guida in ambito generale ma anche di linee-guida nell’ambito della specificità del caso concreto.
La seconda novità si riscontra nel riferimento all’imperizia contenuta nel comma 2 dell’articolo 590 sexies c.p. L’articolo 590 comma 2 c.p. dispone: «qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee-guida come definite e pubblicate ai sensi della legge ovvero le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee-guida risultino inadeguate alle specificità del caso concreto». Dunque, se il medico è responsabile di una condotta colposa per imperizia (definita come errore tecnico), ma ha agito secondo specifiche linee-guida adeguate al caso concreto, può non essere punibile. D’altro canto, la giurisprudenza successiva al decreto Balduzzi si era concentrata soltanto nell’ambito di regole di perizia e diligenza. La novità introdotta dalla legge Gelli riguarda per l’appunto l’aver chiarito che le linee-guida, la cui osservanza può escludere una responsabilità per colpa, siano soltanto quelle che dettano e disciplinano regole di perizia, in altre parole regole attinenti alle modalità secondo le quali debbano svolgersi le attività medico-sanitarie. Questa maggiore tranquillità operativa concessa al medico non è una “totale immunità”, poiché è pur sempre il Giudice che si pronuncia sull’adeguatezza delle azioni adottate. Oggi la condanna penale del medico non si basa più a priori sulla colpa grave nel suo operato, per la quale era certa la sua punibilità. L’esito del giudizio diventa quello solo se sussistono negligenza e imprudenza, ma si entra nel merito dell’imperizia. Bisogna tener conto, dunque, anche dei nuovi dispositivi medici dotati di intelligenza artificiale che nel corso degli anni subiscono un miglioramento repentino ma che allo stesso tempo possono portare con sé errori tecnici nel loro operato. L’ultima seppur non meno importante novità introdotta dalla legge Gelli fa riferimento al concetto di colpa lieve: in particolare modo il medico che si predispone a seguire le linee-guida qualora risultino “inadeguate in tutto o in parte” al caso concreto, risponderà per lesioni colpose od omicidio colposo anche se si è attenuto ad una colpa lieve. Dunque, la colpa lieve non esclude più una responsabilità ma rileva ai fini della commisurazione della pena ai sensi dell’articolo 133 c.1 del c.p.: nell’esercizio del potere discrezionale il giudice deve tener conto della gravità del reato desunta da diversi parametri elencati all’articolo. [14]
Potremmo chiederci quali possano essere i parametri per la cosiddetta valutazione di una possibile colpa medica. Fanno parte del protocollo medico le raccomandazioni di comportamento clinico. Discostarsi da tali raccomandazioni comporta una colpa medica. Esse costituiscono delle direttive, cui occorre risalire per accertare il corretto operato del professionista sanitario.[15] La modalità per valutare la colpa medica è determinare il livello di divergenza tra la condotta effettivamente tenuta dal sanitario e quella a cui doveva attenersi, sulla base di norme cautelari previste. L’articolo 590 c.p. rimanda alla disciplina dell’articolo 2050 c.c.: “responsabilità per esercizio di attività pericolose “per la quale colui che cagiona il danno sarà tutelato e non direttamente responsabile per svolgimento di attività pericolose nel caso in cui sia in grado di dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee e strettamente necessarie ad evitare il danno cagionato. Per stabilire la misura della responsabilità che incombe sul sanitario occorre considerare diversi parametri: le condizioni del soggetto agente, la situazione ambientale, l’accuratezza dell’esercente professioni sanitarie, difficoltà ed oscurità del quadro patologico, grado di informazione clinica, di atipicità e di specializzazione. Si parla di colpa grave soltanto nel caso in cui vi sia in presenza di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento”[16]. Dunque, il “mendum” (dal latino errore, manchevolezza) del medico è perseguibile penalmente soltanto nel caso di colpa grave. La legge Gelli ha introdotto una possibilità di non punibilità per il professionista sanitario, nel caso in cui la sua imperizia sia “causam” di morte o lesioni grave del paziente: egli è tenuto a dimostrare di essersi attenuto al protocollo conferito dalla legislazione. La causa di non punibilità è prevista dall’art. 590 sexies c.p. e opera nei casi appena esplicati. le Sezioni Unite sono state chiamate ad esprimersi sull’ambito di applicazione dell’art.590 sexies c.p.[17] in seguito ad un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità. Successivamente all’aver distinto le varie fasi dell’individuazione, selezione e dell’esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle lineeguida, le Sezioni Unite hanno affermato che «la sola possibilità interpretativa» è quella che esclude la responsabilità penale del medico in ipotesi di errore colposo nella fase esecutiva dell’intervento. È necessario che lo scostamento da parte del medico sia stato solo marginale. Il medico non risponde per omicidio colposo o di lesioni personali colpose, quando l’evento si è verificato per colpa lieve da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni contenute in linee-guida adeguate alla specificità del caso concreto. La responsabilità penale non è pertanto esclusa, secondo le Sezioni Unite, tanto in ipotesi di colpa lieve da negligenza o imprudenza, quanto in ipotesi di colpa lieve da imperizia se il caso concreto non è regolato da linee-guida, ovvero se il medico non ha individuato una linea-guida adeguata.
2.1. La medicina difensiva
La legislazione contenuta nella legge Gelli trova fondamento e si pone come conseguenza al concetto di medicina difensiva. La nozione di medicina difensiva[18] comprende tutte quelle azioni che un medico decide di applicare allo scopo di tutelarsi da possibili danni lesivi al paziente i quali potrebbero derivare da negligenze mediche. Possiamo parlare di medicina difensiva positiva o “attiva” o di medicina difensiva negativa definita anche “passiva” od “omissiva”. La medicina difensiva positiva ha uno scopo cautelare preventivo: il medico curante prescrive al paziente esami diagnostici e terapie superflue al fine di ridurre la possibilità che un paziente in un futuro possibile possa intentare una causa per mala sanità, imperizia o negligenza nei riguardi del sanitario interessato.[19]
Negli ultimi anni tanto in Italia quanto a livello globale si è osservato e studiato un incremento delle controversie legali nei riguardi dei medici e sanitari per presunta responsabilità professionale. Si parla invece di medicina difensiva negativa quando il medico decide di non ricorrere ad una cura nei confronti del paziente al fine di non imbattersi in possibili esiti negativi derivanti dalla cura o dall’intervento stesso. La medicina difensiva porta a una diminuzione delle responsabilità mediche che giustificano il suo operato prescrivendo tuttavia anche esami superflui al paziente. Tale situazione crea nel paziente in cura diffidenza e sfiducia in un momento delicato della propria vita in cui invece dovrebbe trovare un aiuto psicologico e fisico. Tali comportamenti difensivi del sanitario apportano grandi difficoltà alle casse dello Stato e a tutti noi cittadini. Secondo dati statistici si rinviene che ogni anno il surplus di spesa sanitaria legata a finalità terapeutiche superflue sia di vari miliardi di euro.[20] Per circoscrivere e delimitare tale situazione si ritenne valido e indispensabile ricorrere ad una riorganizzazione della responsabilità sanitaria, della tutela medica e del loro lavoro portando alla luce i problemi organizzativi della struttura sanitaria che sono alla base degli errori medici. In questo senso, per arginare il fenomeno della medicina difensiva è intervenuta la politica e la legislazione della legge Gelli come abbiamo affrontato poco fa. Il risvolto negativo riguarda la possibilità che il ruolo del medico si riduca ad essere drasticamente burocratico consistente nella mera applicazione di protocolli senza tener conto della particolarità e soggettività del paziente.
2.2. Il decalogo di San Martino 2019
Due anni dopo in un solo giorno, in data 11 novembre 2019, la terza sezione della Suprema Corte di Cassazione ha depositato dieci sentenze, in tema di responsabilità professionale in ambito medico sanitario, le quali per la rilevanza dei temi affrontati ,si possono considerare una vera e propria inclinazione, necessaria e irrinunciabile allo scopo di orientarsi adeguatamente in ambito di responsabilità sanitaria e di risarcimento del danno da colpa medico-sanitaria. L’ambito della responsabilità civile aveva già trovato posto nella Legge Gelli-Bianco in materia di responsabilità medica. Le sentenze di S. Martino, tuttavia, offrono numerosi spunti di riflessione in tema di responsabilità sanitaria e diversi sono i casi emblematici alla base dell’intervento della Corte di Cassazione nel decalogo di San Martino 2019. Casi che riguardano ad esempio: La ripartizione dell’onere risarcitorio tra Struttura e Medico, onere della prova, perdita di chance, consenso informato e così a seguire le successive.[21]
Le dichiarazioni, attese da tempo, mirano a stabilire un dialogo con la legge di riforma Gelli-Bianco e al contempo allontanarsi da alcuni parametri interpretativi rimasti in sospeso. Undici anni prima le Sezioni Unite mirarono a rendere pubbliche rilevanti decisioni volte a fissare un nuovo statuto in merito al danno della persona e responsabilità sanitaria. Sussiste tuttavia un’assoluta convergenza: dalla responsabilità del singolo medico curante si è oramai giunti alla responsabilità sanitaria. Emerge un’inversione di rotta della Suprema Cassazione, che a differenza di quanto statuito nel 2008[22], ora propende per la scindibilità del danno non patrimoniale in singole voci di danno, che comunque denominate, ai fini del risarcimento necessitano di opportuna allegazione probatoria.[23] Dunque, l’approccio corretto oggi è quello di affrontare il tema della “malpractice” medica ampliando il raggio di indagine a tutti i sanitari coinvolti nel processo che realizza l’espletamento dell’adempimento della prestazione di cura verso il paziente.
2.3. La responsabilità medica ai tempi del Coronavirus
Arriviamo a dicembre 2019 momento in cui in Cina e precisamente a Wuhan esplode un’infezione virale. I primi casi conosciuti coinvolsero lavoratori del mercato umido di Wuhan, in cui si vendevano pesce e altri animali, anche vivi. Nelle prime settimane di gennaio 2020 gli scienziati individuarono in questi soggetti strane polmoniti causate da un nuovo coronavirus, designato SARS-CoV-2 (sindrome respiratoria acuta grave). Successivamente si accorsero che si trattava di una sequenza genetica modificata di coronavirus. In seguito a ciò sia in Cina sia a livello globale, seguì un aumento dei casi a metà gennaio 2020, portando a restrizioni di viaggio, quarantene e coprifuoco. Tale situazione verrà definita dall’organizzazione mondiale della sanità il 30 gennaio 2020 epidemia da Covid un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Il 4 marzo 2020 verrà emanato il decreto Sanità nel nostro Paese alla luce dell’emergenza sanitaria e la proclamazione di Pandemia globale dichiara dall’OMS. Il Decreto-legge 18/2020 “Cura Italia” convertito in Legge 27/2020[24] stabilisce «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale […]». La mancanza di personale sanitario, di dispositivi medici adeguati e un alto livello di contagiosità sono la quotidianità nelle corsie ospedaliere. I presupposti di un istituto giuridico non mutano dinnanzi ad una situazione emergenziale. Colpa, danno e nesso causale erano i presupposti della responsabilità professionale medica in epoca pre-Covid e tali resteranno ai tempi del Covid. Ciò che muta, è l’àmbito nel quale i requisiti debbono essere collocati.[25] A tal proposito, l’emergenza epidemiologica che il nostro sistema sanitario si è trovato costretto ad affrontare presenta connotati del tutto oscuri e inediti: la novità del virus e della patologia che determina, l’assenza di protocolli relativi al caso concreto, la mole di pazienti, la limitata disponibilità delle risorse necessarie, la mancanza di un’opportuna quantità di personale sanitario.[26] Dichiarare lo stato di emergenza garantisce l’immediatezza degli interventi a favore della popolazione e del territorio mediante l’attribuzione di mezzi e poteri straordinari, qualora si verifichino calamità ed eventi, imprevedibili per l’uomo o difficilmente prevedibili. La diffusione del Coronavirus ha reso attualissimo il tema delle infezioni contratte entro una struttura sanitaria. Premettendo che le strutture sanitarie per gestire un rischio devono essere in grado di conoscerlo e pertanto prevederlo, il contagio da Covid-19 all’interno della struttura sanitaria potrebbe essere considerato un evento non imprevedibile ma certo apprezzabile con difficoltà nel primissimo periodo di diffusione della malattia. La legge Gelli, all’art. 7 c.1, prevede la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, ma dinnanzi ad un dichiarato stato di emergenza e ad un virus pandemico vi sono possibili situazioni di deresponsabilizzazione? L’ipotesi di uno “scudo penale” per deresponsabilizzare gli esercenti le professioni sanitarie dinnanzi a determinate situazioni estreme è rimasta in sospeso fino alla conversione del “Cura Italia” n. 18 del 17 marzo 2020, con vari emendamenti proposti da diverse parti politiche e soggetti istituzionali, molto diversi tra loro ma accomunati dall’intento di introdurre riduzioni di e/o esenzioni da responsabilità, in sede penale e civile, per i medici impegnati sul primo fronte dell’assistenza ai malati di Covid-19. Di tutto questo non è rimasta però traccia nella legge n. 27 del 24 aprile 2020 con cui il D.L. è stato convertito, e che non menziona alcuna soluzione in proposito. Per valorizzare la peculiarità della responsabilità medica nei contesti determinati dal Covid-19, è stato da più parti delineato il riferimento all’art. 2236 c.c.: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. Una recente pronuncia in tema di responsabilità medica[27] ha affermato che con l’introduzione dell’art. 590 sexies c.p. il giudice deve valutare il grado della colpa sulla base di fattori diversi, tra cui: le condizioni del soggetto che agisce e il suo grado di specializzazione; le condizioni in cui ha operato, con particolare riguardo all’impellenza; la difficoltà obiettiva di cogliere le informazioni cliniche; il grado di atipicità e novità della situazione; la motivazione della condotta con la consapevolezza della sua pericolosità. Tale pronuncia della Suprema Corte potrebbe costituire un precedente autorevole per chi si trovasse chiamato a giudicare un operatore sanitario accusato di avere provocato danni o lesioni al paziente in un contesto estremo determinato dalla diffusione del Covid-19.[28]
3. Conclusioni: verso un equilibrio tra responsabilità professionale e diritto alla salute
Il percorso delineato dalla legge Gelli e dal decreto Cura Italia dimostra come la responsabilità sanitaria non possa essere intesa quale istituto cristallizzato e immutabile, ma si configuri piuttosto quale costruzione giuridica in continua evoluzione, destinata a rimodellarsi in funzione delle esigenze della collettività e delle contingenze storiche che il sistema sanitario si trova a fronteggiare. Se la legge Gelli ha tentato di offrire un assetto organico volto a bilanciare la posizione del paziente con quella dell’operatore sanitario, il Cura Italia ha evidenziato, in un contesto emergenziale senza precedenti, la necessità di introdurre correttivi eccezionali per preservare l’efficienza del servizio e garantire la continuità della cura. Tale duplice prospettiva lascia intravedere come il futuro della responsabilità medica sarà inevitabilmente segnato dalla capacità del legislatore e della giurisprudenza di misurarsi con le sfide imposte dal progresso scientifico e tecnologico, dall’evoluzione delle strutture organizzative e dall’incremento delle aspettative sociali in tema di tutela della salute. Si tratterà di elaborare un modello che, senza indebolire il diritto fondamentale alla salute sancito dalla Carta costituzionale, assicuri al contempo certezza del diritto e protezione dell’agire professionale, così da prevenire il rischio di una medicina difensiva e favorire una pratica medica ispirata a serenità, responsabilità e fiducia.
In questa prospettiva, la responsabilità sanitaria appare come un cantiere sempre aperto, nel quale la funzione del diritto non è solo quella di regolare ex post le condotte, ma di orientare ex ante l’intero sistema verso un equilibrio equo e sostenibile, in grado di coniugare la dignità del paziente con la tutela del medico e con l’interesse primario della collettività a un servizio sanitario efficiente, equo e giusto.
Bibliografia:
[1] Corte di Cassazione Sez. III, 22 gennaio 1999 n. 589 (Conferma App. Roma 14 novembre 1995). L’obbligazione del medico dipendente dal servizio sanitario per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale” ha natura contrattuale. Consegue che relativamente a tale responsabilità i regimi della ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale professionale.
[2] Tribunale Novara sez. I, 04/09/2021, n.573: Depenalizzazione della responsabilità del medico in caso di colpa lieve. «In tema di responsabilità del medico, l’articolo 3 comma 1 del decreto Legge del 13 settembre 2012 n. 158, convertito in Legge 8 novembre 2012, ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, dove l’esercente l’attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’esimente penale non elide, però l’illecito civile e resta fermo l’obbligo di cui all’ articolo 2043 del Codice civile che è clausola generale del “neminem laedere” sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la salute. La materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella cd. contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale.»
[3] DIRITTO PRIVATO, p. 201 capitolo 10.2. paragrafo “l’obbligazione “: Obbligazione di strumenti ma non di risultato (art.2230), Manuale di Diritto privato a cura di F. Galgano, 18ª edizione, Wolters Kluwer CEDAM, 2020.
[4] Articolo 1375 c.c.: Nei casi di adempimento di rapporto contrattuale; Articolo 1175 c.c.: nell’ambito di un rapporto obbligatorio non di meno all’articolo 2 della costituzione).
[5] Costituzione della Repubblica Italiana, 1947. A firma di Enrico De Nicola.
[6] Danno biologico e danno alla salute negli studi recenti, in “Contratto e Impresa”,1988, p. 847: si valuta una correlazione tra valore d’uso e danno biologico.
[7] Suprema Corte Sezione III, sentenza n.5544 del 23 ottobre 1979: definisce il concetto di danno alla vita di relazione.
[8] – Sentenza n.4400 del 4 marzo 2004: responsabilità dei medici- risarcimento del danno per perdita di chances di sopravvivenza in relazione ad un mancato intervento chirurgico. Tribunale di Milano – Le 10 sentenze di San Martino, Cassazione III ,11 novembre 2019 in ambito sanitario: i presupposti per la configurabilità del danno da perdita di chance (n. 28993).
[9] Cassazione 16 ottobre 2007 n.21619: in mass. Foro it., 2007, affronta il caso emblematico del subacqueo.
[10] Bari, 13 giugno 2014: riunione del Comitato Centrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri: viene aggiornato il testo del Giuramento che segna l’ingresso nella professione medica. Il rispetto della vita e della dignità del malato, la perizia e la diligenza nell’esercizio della professione, sono alcuni dei doveri inseriti nel Codice, che ogni medico deve rispettare.
[11] Ippocrate, “Il giuramento e altri testi di medicina greca”, – Collana: i classici blu, volume 322- Editore: Bur. Biblioteca Universale Rizzoli, 2005
[12] “I fatti illeciti, casi materiali” Enrico Al Mureden, capitolo III Quarta Edizione 2021, G. Ghiappichelli Editore.
[13] Decreto Balduzzi, DL. 13/09/2012: atto normativo della Repubblica Italiana, convertito in Legge 8 novembre 2012, n. 189, rappresenta una norma di riforma della sanità in Italia. “Il professionista sanitario che, pur seguendo le linee guida e le buone pratiche mediche, abbia commesso un danno, non risponde penalmente se ha agito con colpa lieve”.
[14] Articolo 133 c.p.: Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente [164, 169, 175, 203], il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole [103, 105, 108; c.p.p. 220], desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
[15] “Responsabilità e linee guida. Il medico di fronte alle novità del recente decreto sulla responsabilità dei sanitari”. Riflessioni sull’uso delle linee guida. Di Carlo Scorretti, Ivan Cavicchi, Gian Maria Caletti, editore EPG Edizioni, L. Ventre, 2017
[16] Cass, Sez. IV penale, sentenza n. 18347, 8 agosto 2021: «Perché vi sia “colpa grave” penalmente rilevante, l’attività sanitaria deve riscontrarsi “marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente».
[17] Sentenza Mariotti (Cass, n.8770 / 2017).
[18] “La medicina difensiva”, Francesca Poggi- Editore Mucchi, giugno 2018- libro tecnico professionale
[19] Corte Suprema di Cassazione Sezione III civile, Sentenza n. 343 del 13 gennaio 2016, si pronuncia ancora una volta sull’attualissimo tema della Responsabilità Professionale Medica, in riferimento ad un caso di ritardo diagnostico per una patologia tumorale, ritenuto da parte attrice determinante in riferimento al precoce exitus del de cuius e quindi, ragione sufficiente a costituire un legittimo titolo di risarcimento per evidente perdita di chance.
[20] Salute.gov.it: home> news e media> notizie> notizie dal ministero> Medicina difensiva e responsabilità professionale, insediata la commissione consultiva: Il Ministero inoltre ha raccolto in un documento i numeri e le ragioni del fenomeno in costante aumento. In particolare, la medicina difensiva incide sulla spesa sanitaria in misura pari al 10,5% del totale. Le voci più significative riguardano farmaci: 1,9% della spesa, visite 1,7%, esami di laboratorio 0,7%, esami strumentali 0,8%, ricoveri 4,6%.
[21] Corte di Cassazione 11 novembre 2019 in ambito sanitario: Le 10 sentenze di San Martino: i presupposti per il risarcimento del danno da violazione del consenso informato (n. 28985), il risarcimento del danno nel caso di aggravamento delle condizioni preesistenti (n. 28986), la ripartizione di responsabilità tra struttura\sanitario e l’onere della prova per il regresso e rivalsa tra condebitori ( n. 28987), i criteri di liquidazione del danno, patrimoniale e non, a causa di lesioni – lievi – provocate in occasione del parto, con non poche precisazioni di valenza generale ( n.28988), rapporto tra riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale e il danno esistenziale ( n. 28989), onere della prova del nesso causale nella responsabilità contrattuale ( n. 28991), onere della prova del nesso causale nella responsabilità sanitaria (n. 28992), i presupposti per la configurabilità del danno da perdita di chance (n. 28993), disciplina applicabile ai fatti antecedenti alla pubblicazione della L. Gelli (n. 28990 e n. 28994).
[22] Corte di Cassazione, Sentenza n. 26972, 11 novembre 2008, le SS. UU. in tema di danno esistenziale: dinnanzi l’ammissibilità o meno del danno esistenziale hanno disposto l’archiviazione del danno esistenziale e ricondotto ad unità la categoria del danno non patrimoniale.
[23] P. Stanzione, “Il danno non patrimoniale a dieci anni dalle sentenze di S. Martino”, Rivista, in Comparazione e diritto civile, gennaio 2019, p.2 ss. Editore: Edizioni scientifiche italiane.
[24] Decreto-legge 18/2020 “Cura Italia” convertito in Legge 27/2020 è volto a consentire: «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-1»
[25] www.chiarini.com ;[ studio legale Chiarini- associazione professionale.] Home>Media>Responsabilità medica> Riflessioni in tema di responsabilità medica ai tempi del COVID-19. https://www.chiarini.com/category/responsabilita-medica/
[26] “Responsabilità medico-sanitaria e risarcimenti”, quali nuovi scenari dopo le sentenze del “San Martino 2019” la pandemia Covid19? – Di Berti Ludovico, Bona Marco, Bonziglia Sergio Egidio, Caminiti Raffaella, De Nicolo’ Andrea, Hazan Maurizio, Mariotti Paolo, Marozzi Francesco, Martini Filippo, Mastroroberto Luigi, Pedoja Enrico, Ponzanelli Giulio, Rodolfi Marco, Ronchi Enzo Fabio, Spera Damiano, Ziviz Patrizia, Zorzit Daniela, 2021- Giuffrè Editori.
[27] Cassazione Penale Sez. IV, 11 febbraio 2020 n. 15258.
[28] “Il libro nero del coronavirus” – retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia, di Giuseppe De Lorenzo e Andrea Indini – Historica, Giubilei Regnani, 2020.
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Giulia Morenzetti
Dottoressa in Giurisprudenza, laureata presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna a dicembre 2024, e praticante avvocato. Tra aule universitarie e tribunali, condivido riflessioni nate tanto dalla scrittura della mia tesi in diritto penale quanto dall’esperienza sul campo durante la pratica forense. Qui racconto il diritto come lo vivo ogni giorno: tra studio, casi concreti e pensieri critici che nascono dal confronto diretto con la realtà giuridica.
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