Riconoscimento titoli sostegno esteri: proposta di riforma
Superare la sindrome di penia: una proposta di standardizzazione procedurale per il riconoscimento dei titoli di sostegno esteri alla luce della Giurisprudenza Amministrativa
Abstract: Il sistema italiano di riconoscimento delle qualifiche professionali per l’insegnamento di sostegno è afflitto da un contenzioso seriale che evidenzia una patologia sistemica nell’azione del Ministero dell’Istruzione e del Merito. L’analisi di tre recenti sentenze del TAR Lazio (nn. 10083/2025, 10675/2025, 10925/2025) rivela un approccio amministrativo caratterizzato da inerzia, formalismo e un’interpretazione restrittiva della normativa europea, in palese contrasto con gli approdi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Questo contributo analizza le cause ricorrenti di tale contenzioso e propone una soluzione innovativa fondata su un modello di “valutazione standardizzata ex ante” e sull’adozione di una “matrice di misure compensative predefinite”. Tale modello mira a trasformare il procedimento da un’analisi discrezionale caso per caso, fonte di incertezza e litigiosità, a un sistema trasparente, efficiente e pienamente conforme ai principi del diritto dell’Unione Europea, con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso e garantire l’effettiva libera circolazione dei professionisti.
Sommario: 1. Introduzione: Un Contenzioso Seriale e la Crisi del Principio del Mutuo Riconoscimento – 2. Analisi della Patologia Amministrativa: La Declinazione del Diniego nelle Sentenze Esaminate – 3. La Proposta di una Soluzione Innovativa: Un Modello di “Valutazione Standardizzata e Misure Compensative Predefinite” – 3.1. Lo Strumento Operativo: La Matrice delle Corrispondenze e delle Misure Compensative – 3.2. Il Nuovo Procedimento Amministrativo e i Suoi Vantaggi – 4. Implicazioni e Conclusioni: Verso una Pubblica Amministrazione Europea
1. Introduzione: Un Contenzioso Seriale e la Crisi del Principio del Mutuo Riconoscimento
La libera circolazione dei professionisti, pilastro del mercato interno europeo e corollario delle libertà fondamentali sancite dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), trova la sua disciplina attuativa nella Direttiva 2005/36/CE. Tale direttiva istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali basato sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri e finalizzato a superare le barriere nazionali all’accesso alle professioni regolamentate¹. Nonostante la chiarezza dell’impianto normativo, recepito in Italia con il D.lgs. n. 206/2007, il settore dell’istruzione è divenuto il teatro di una crisi sistemica di questo principio. In particolare, il riconoscimento dei titoli di specializzazione per il sostegno didattico agli alunni con disabilità, conseguiti in altri Stati membri – con un’incidenza statistica preponderante per quelli provenienti dalla Romania – è all’origine di un contenzioso amministrativo di massa. Questo fenomeno non è più episodico, ma strutturale. L’azione del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) appare refrattaria agli indirizzi nomofilattici del Consiglio di Stato che, in sede di Adunanza Plenaria, con le ormai celebri sentenze nn. 18-22 del 2022, ha fissato principi giurisprudenziali invalicabili in materia. L’analisi di tre emblematiche sentenze del TAR Lazio, emesse nella primavera del 2025 (Sent. n. 10083/2025, Sent. n. 10675/2025, Sent. n. 10925/2025), offre una diagnosi precisa e impietosa della patologia amministrativa in atto. Emerge un circolo vizioso: il Ministero rigetta le istanze sulla base di motivazioni già sconfessate in sede giurisdizionale; i docenti adiscono il giudice amministrativo; il TAR, in ossequio ai precedenti, annulla i dinieghi; l’Amministrazione è onerata di un riesame che, tuttavia, spesso si traduce in ulteriore ritardo o in un nuovo provvedimento viziato dalle medesime illegittimità. Questo contributo intende svolgere una duplice funzione. In una pars destruens, si analizzeranno nel dettaglio le costanti di illegittimità dell’azione amministrativa, come cristallizzate nelle sentenze in esame. In una successiva e propositiva pars construens, si delineerà una soluzione strutturale e innovativa, finalizzata non solo a sanare la patologia, ma a reingegnerizzare il processo di riconoscimento in un’ottica di efficienza, trasparenza e piena conformità al diritto unionale.
2. Analisi della Patologia Amministrativa: La Declinazione del Diniego nelle Sentenze Esaminate
Le sentenze in commento, pur concernendo fattispecie distinte, delineano un modus operandi ministeriale che si articola su tre assi di criticità: l’ostacolo sostanziale, quello procedurale e quello formalistico. La Sentenza n. 10083/2025 è esemplare nel disvelare l’approccio ministeriale alla valutazione di merito. Il diniego del MIM si fondava sulla presunta “non validità dell’attestato formativo […] quale titolo di abilitazione” in Romania e su una “incolmabile differenza” tra la formazione estera e quella italiana. Il TAR, con un’argomentazione netta, smantella entrambi i pilastri del diniego.In primo luogo, il Tribunale, ponendosi nel solco tracciato dall’Adunanza Plenaria n. 22/2022, ribadisce che il titolo rumeno (“Adeverinta”) “consente il relativo insegnamento in Romania […] e dunque non vi è ragione per ritenerlo non riconoscibile in Italia ai sensi della Direttiva 2005/36/CE”. L’ostinazione del Ministero su questo punto, già oggetto di pronuncia nomofilattica², trasforma la sua azione da esercizio di discrezionalità tecnica a palese e ingiustificata resistenza al giudicato amministrativo. In secondo luogo, e con ancora maggior forza, viene censurato l’esercizio della discrezionalità tecnica. Il giudizio di “incolmabile differenza” è bollato come “sostanzialmente apodittico e scarsamente argomentato”. Il TAR evidenzia una grave carenza istruttoria: il Ministero ha confrontato un “attestato finale, di natura sintetica e riassuntiva” con l’intero percorso italiano, omettendo di acquisire e valutare il piano formativo-didattico analitico estero. Il Tribunale rileva come le materie del corso rumeno appaiano “decisamente attinenti alla materia dei bisogni educativi speciali” , citando a titolo esemplificativo “psicologia delle persone con bisogni speciali; educazione inclusiva; […] neuropsichiatria infantile”. La radicata affermazione ministeriale secondo cui non sarebbe possibile disporre misure compensative viene ritenuta in palese contrasto con l’art. 14 della Direttiva , che le prevede come strumento ordinario per colmare anche “materie sostanzialmente diverse”. L’azione ministeriale, pertanto, deborda dalla discrezionalità tecnica per sconfinare nell’arbitrarietà, utilizzando una valutazione di merito fallace per eludere il proprio obbligo legale di integrazione dei percorsi formativi.
La Sentenza n. 10675/2025, che accoglie il ricorso della prof.ssa Maria Rosaria Ragosta, si concentra su un vizio procedurale assorbente: la mancata comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della L. 241/1990. Lungi dall’essere un mero formalismo, tale omissione è, secondo il TAR, la negazione di una garanzia fondamentale del giusto procedimento. Il Tribunale ricorda che l’istituto ha lo scopo di “‘anticipare’ l’esplicitazione delle ragioni del provvedimento sfavorevole” per “rendere possibile il confronto con l’amministrazione” prima che la decisione sia assunta in via definitiva. Il passaggio chiave della sentenza è laddove si nega l’applicabilità dell’art. 21-octies, co. 2, della medesima legge, che “salva” gli atti viziati quando il loro contenuto non avrebbe potuto essere diverso. Il TAR afferma con chiarezza che “L’attività dell’Amministrazione certamente non è rigidamente vincolata”. La non-vincolatività risiede proprio nel potere-dovere, sancito dalla Direttiva e ribadito dall’Adunanza Plenaria, di “valutare la formazione conseguita all’estero e l’esperienza professionale maturata” al fine di accertare il possesso dei requisiti, “eventualmente anche mediante l’adozione di misure compensative”. L’omissione del 10-bis, quindi, non è un vizio innocuo, ma la lesione del diritto del privato a interloquire proprio su quegli aspetti (completezza della formazione, esperienza pregressa, adeguatezza di eventuali misure) che costituiscono il cuore della valutazione discrezionale dell’amministrazione³.
La Sentenza n. 10925/2025, mette a nudo un’ulteriore e perniciosa prassi ministeriale: il rigetto dell’istanza per la mancata produzione di un singolo, specifico documento, elevato a feticcio indispensabile. Nella specie, il diniego era motivato dall’assenza della c.d. “Adeverinta ministeriale”.
Il TAR, con un’analisi puntuale, dichiara tale impostazione “palesemente contrastante con la disciplina europea”. Il Collegio chiarisce che sia il titolo universitario (c.d. Nivel) che l’attestato ministeriale sono riconducibili alle tipologie documentali previste dall’art. 13 della Direttiva. Pertanto, l’Amministrazione non può rifiutarsi di valutare l’istanza in presenza del primo solo perché manca il secondo. La “Adeverinta ministeriale” è definita come un “elemento certamente utile ma non necessario” , la cui assenza non può “di per sé condurre al rigetto della istanza”. Ancora più grave, secondo il Tribunale, è la condotta procedimentale del MIM. L’inerzia protratta per oltre un anno, seguita dall’imposizione di “termini perentori” e dal rifiuto di concedere una proroga, è giudicata non conforme ai “doveri di collaborazione e buona fede” che informano il principio del soccorso istruttorio. Il TAR ricorda che la stessa Direttiva (art. 50) prevede che, in caso di dubbio, sia lo Stato membro ospitante a dover “richiedere alle autorità competenti di uno Stato membro una conferma dell’autenticità degli attestati”. Il Ministero, invece, abdica a questo suo dovere di cooperazione attiva, rovesciando ogni onere sull’istante e utilizzando le difficoltà di quest’ultimo nel reperire la documentazione come causa di rigetto. Si tratta di un’inversione della logica di collaborazione che dovrebbe governare i rapporti tra amministrazione e cittadino europeo.
3. La Proposta di una Soluzione Innovativa: Un Modello di “Valutazione Standardizzata e Misure Compensative Predefinite”
L’analisi giurisprudenziale dimostra l’inadeguatezza del modello attuale, reattivo e basato sulla discrezionalità caso per caso. È indispensabile un cambio di paradigma verso un sistema proattivo, trasparente e standardizzato.
3.1. Lo Strumento Operativo: La Matrice delle Corrispondenze e delle Misure Compensative
Il fulcro della proposta è l’istituzione di una Commissione Tecnica Permanente presso il MIM, con il compito di effettuare un’analisi comparativa ex ante tra i percorsi di specializzazione italiani e i titoli esteri più ricorrenti. Questa analisi non sarebbe finalizzata a valutare singole istanze, ma a creare una “Matrice di Corrispondenza e Misure Compensative”, da approvare con atto ministeriale di natura regolamentare o con circolare a rilevanza esterna.
Per ciascun titolo estero analizzato (es. Programma postuniversitario dell’Università “Dimitrie Cantemir” ), la Matrice dovrebbe indicare in modo trasparente:
Analisi del Titolo: L’attestazione della sua natura di qualifica professionale ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, recependo una volta per tutte l’orientamento della giurisprudenza.
Identificazione dei Gap Formativi: Un’elencazione analitica delle “differenze sostanziali” rispetto al TFA Sostegno italiano. Ad esempio: “Debito formativo di 150 ore di tirocinio diretto; assenza di un modulo specifico sulla normativa italiana per l’inclusione (L. 104/92, D.lgs. 66/2017); lacune nelle metodologie didattiche per le disabilità sensoriali“.
Pacchetto di Misure Compensative Standard: La definizione di un pacchetto di misure predeterminato, proporzionato e specifico per colmare i gap identificati. Ad esempio:
Misura A (Tirocinio di Adattamento): Svolgimento di un tirocinio di 150 ore presso un’istituzione scolastica italiana, con relazione finale di un tutor accogliente.
Misura B (Prova Attitudinale): Superamento di un esame scritto e/o orale sulla normativa e l’organizzazione del sistema di inclusione italiano.
Misura C (Formazione Aggiuntiva): Frequenza obbligatoria del laboratorio universitario di “Didattica per le disabilità sensoriali” (3 CFU) previsto dal TFA Sostegno.
3.2. Il Nuovo Procedimento Amministrativo e i Suoi Vantaggi
Con l’adozione della Matrice, il procedimento di riconoscimento verrebbe snellito e reso trasparente. L’ufficio ministeriale competente dovrebbe limitarsi a:
Fase 1 (Verifica): Accertare l’autenticità del titolo presentato.
Fase 2 (Applicazione): Individuare il titolo nella Matrice e applicare il pacchetto di misure compensative ivi previsto.
Fase 3 (Decreto): Emettere un decreto di riconoscimento condizionato all’assolvimento di tali misure.
I vantaggi di questo modello sarebbero molteplici e risolutivi:
Certezza del Diritto e Prevedibilità: I richiedenti conoscerebbero con esattezza il percorso da compiere, eliminando l’incertezza che oggi alimenta il contenzioso. L’azione amministrativa diventerebbe prevedibile e trasparente.
Efficienza e Risparmio di Risorse: Si abbatterebbero i tempi di gestione delle pratiche, liberando risorse umane ed economiche oggi impiegate in complesse e ripetitive istruttorie destinate a soccombere in giudizio.
Deflazione Strutturale del Contenzioso: Verrebbero meno le principali cause di ricorso. Un eventuale contenzioso dovrebbe mirare a contestare la legittimità della Matrice stessa, un’azione legale ben più complessa e onerosa rispetto all’impugnazione del singolo diniego.
Piena Conformità al Diritto UE: Il modello garantirebbe un’applicazione uniforme e proporzionata dell’art. 14 della Direttiva, realizzando l’effet utile della normativa europea e spostando il focus dalla diffidenza verso il titolo estero alla sua concreta integrazione.
4. Implicazioni e Conclusioni: Verso una Pubblica Amministrazione Europea
Il contenzioso seriale che affligge il riconoscimento dei titoli di sostegno non è una mera anomalia statistica, ma la manifestazione clinica di una patologia amministrativa che incide sul rapporto tra cittadino, Stato e ordinamento europeo. Le sentenze del TAR Lazio qui analizzate, nel loro complesso, non si limitano a sanzionare singoli errori, ma dipingono il ritratto di un’Amministrazione che, posta di fronte alle chiare prescrizioni del diritto unionale e agli approdi nomofilattici della propria giurisdizione superiore, sceglie una via di resistenza passiva. Questa resistenza si manifesta attraverso l’inerzia, l’abuso del formalismo e l’esercizio di una discrezionalità tecnica che sconfina nell’arbitrarietà. Il risultato è la sistematica frustrazione di un diritto – quello alla libera circolazione e al riconoscimento della propria qualifica professionale – e la produzione di un’enorme esternalità negativa in termini di costi legali, spreco di risorse pubbliche e sfiducia dei cittadini verso le istituzioni.
La soluzione qui delineata – un modello di valutazione standardizzata ex ante basato su una “Matrice di Corrispondenza e Misure Compensative” – trascende la dimensione di mero accorgimento tecnico-procedurale per assurgere a proposta di un radicale cambio di paradigma culturale. Si tratta di guidare l’Amministrazione da una cultura del sospetto verso una cultura della fiducia e della verifica. La prassi attuale, come emerge chiaramente dalla vicenda dell’Adeverinta ministeriale nella sentenza n. 10925/2025, parte dal presupposto che il titolo estero sia ab origine deficitario e che l’onere di provare il contrario, superando ogni ostacolo, gravi interamente sul richiedente. Un sistema basato sulla Matrice, al contrario, partirebbe da un presupposto di fiducia, frutto di un’analisi tecnica già svolta, focalizzando l’azione amministrativa non sulla ricerca del cavillo per negare, ma sulla verifica dell’autenticità e sull’applicazione di percorsi integrativi certi e proporzionati.
Questo implica la transizione da una burocrazia dell’ostacolo a una burocrazia di servizio. Il sistematico inadempimento ai doveri di collaborazione e soccorso istruttorio, stigmatizzato dalla giurisprudenza, è il sintomo di un’amministrazione che si percepisce come controparte del cittadino, piuttosto che come un’entità al suo servizio. Il modello proposto, invece, reincarna il principio di leale cooperazione, non solo tra Stati membri (come previsto dall’art. 50 della Direttiva), ma anche nel rapporto verticale tra potere pubblico e privato, in piena coerenza con i principi del giusto procedimento sanciti dalla Legge 241/1990.
Le implicazioni di una tale riforma sono profonde. Sul piano interno, essa comporterebbe un’immediata deflazione del contenzioso, liberando il Ministero e la giustizia amministrativa da un fardello insostenibile e permettendo di allocare le risorse su attività a maggior valore aggiunto. Permetterebbe inoltre di fornire più rapidamente al sistema scolastico nazionale insegnanti qualificati, con benefici diretti per la continuità didattica e la qualità dell’inclusione. Sul piano europeo, l’inerzia attuale espone l’Italia al rischio concreto di una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea per violazione sistematica e persistente della Direttiva 2005/36/CE, con conseguenze non solo economiche, ma anche di reputazione. L’adozione di un modello proattivo e trasparente, al contrario, posizionerebbe l’Italia come un esempio di best practice nell’attuazione del diritto dell’Unione.
In definitiva, la questione travalica la mera efficienza amministrativa per toccare il cuore del concetto di Stato di diritto (rule of law). I diritti sanciti dai Trattati europei e dalle Direttive non possono restare mere enunciazioni di principio, svuotate di contenuto da prassi amministrative ostruzionistiche. L’azione della pubblica amministrazione è il momento in cui il diritto si fa realtà per il cittadino; se tale azione è viziata, è il diritto stesso a essere negato.
La “Sindrome di Penia” che affligge oggi il Ministero non è una povertà di risorse finanziarie, ma una povertà di visione, di approccio e di funzione. Continuare a gestire migliaia di pratiche e di ricorsi con un metodo fallimentare è l’antitesi della buona amministrazione: è un agire “penny wise and pound foolish“, dove il presunto risparmio di sforzo nell’istruttoria individuale si traduce in un costo sistemico esorbitante.
L’investimento iniziale richiesto per creare e implementare la Matrice di valutazione è l’unica via per uscire da questa auto-inflitta condizione di inefficienza. È la scelta tra un’amministrazione che passivamente subisce la propria patologia e un’amministrazione che attivamente progetta la propria legalità, trasformandosi da bastione nazionale a partner credibile e funzionante dell’architettura amministrativa europea, così da garantire appieno non solo il rispetto del principio di leale collaborazione tra pubblica amministrazione e cittadino, ma anche e soprattutto principio di correttezza e buona fede, così come previsto dal nuovo art. 1, comma 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo.
Note
¹ Il principio del mutuo riconoscimento, come sviluppato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a partire dalla celebre sentenza Cassis de Dijon (Causa 120/78), impone a uno Stato membro di ammettere sul proprio territorio le merci legalmente prodotte in un altro Stato membro. Tale principio è stato poi esteso ai servizi e alle qualifiche professionali, costituendo un meccanismo essenziale per la realizzazione delle libertà fondamentali del mercato interno.
² La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha funzione nomofilattica, ovvero mira a garantire l’uniforme interpretazione della legge e la certezza del diritto, vincolando le sezioni semplici e orientando l’azione della Pubblica Amministrazione. La sua sistematica disapplicazione da parte di un Ministero solleva questioni di legalità sostanziale e di corretto funzionamento del sistema di giustizia amministrativa.
³ L’evoluzione del diritto amministrativo italiano, a partire dalla L. 241/1990, è stata caratterizzata da una progressiva valorizzazione del contraddittorio procedimentale. L’art. 10-bis è una delle massime espressioni di questa tendenza, trasformando il procedimento da un modello autoritativo e unilaterale a un modello “dialogico”, in cui il privato non è più mero destinatario passivo del potere, ma parte attiva del processo decisionale.
Riferimenti Bibliografici
Giurisprudenza
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 dicembre 2022, sentenze nn. 18, 19, 20, 21, 22.
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione IV Bis, 26 maggio 2025, sentenza n. 10083.
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione IV Bis, 3 giugno 2025, sentenza n. 10675.
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III Bis, 4 giugno 2025, sentenza n. 10925.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 20 febbraio 1979, Causa 120/78, Rewe-Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung für Branntwein (c.d. Cassis de Dijon).
Fonti Normative
Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.
Direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, recante modifica della direttiva 2005/36/CE.
Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n. 206, “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”.
Legge 7 agosto 1990, n. 241, “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
Dottrina (esempi)
Chiti, M. P., Diritto Amministrativo Europeo, Giuffrè, Milano, 2022.
Rossi, G., “Il riconoscimento delle qualifiche professionali tra inerzia amministrativa e nomofilachia: una questione di sistema”, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n. 2, 2024.
Verdi, L., “La funzione del contraddittorio endoprocedimentale nell’esercizio della discrezionalità tecnica”, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 5, 2023.
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Marco Bencivenga
PhD in Scienze Giuridiche e Politiche , avvocato, docente. Laureato in Giurisprudenza, in Scienze dell'Educazione, Licenciatura en Derecho, ha conseguito diversi master, corsi di perfezionamento e abilitazioni all'insegnamento. Scrive su diverse riviste scientifiche in materia di Diritto Amministrativo e Storia del Diritto Romano
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