1. Il silenzio-assenso nel sistema edilizio siciliano
La sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana affronta con particolare nitidezza un tema che continua a suscitare difficoltà applicative nelle amministrazioni locali: la formazione del titolo edilizio per silenzio-assenso ai sensi della L.R. Sicilia n. 17/1994. Il meccanismo bifasico delineato dalla normativa regionale — istanza completa, decorso del termine di settantacinque giorni, e successiva comunicazione di inizio lavori — attribuisce al richiedente, in assenza di diniego espresso, una posizione giuridica equivalente al rilascio del permesso di costruire.
Il CGA conferma un principio che la giurisprudenza amministrativa sta progressivamente consolidando: la formazione del silenzio-assenso non è condizionata alla conformità sostanziale dell’intervento alla disciplina urbanistica. Tale impostazione, lungi dall’essere un azzardo interpretativo, traduce la ratio dell’istituto: il silenzio-assenso è uno strumento di accelerazione procedimentale, volto a neutralizzare l’inerzia amministrativa, non un meccanismo subordinato alla preventiva verifica tecnicistica da parte del privato.
La conseguenza è netta: una volta che il termine decorre inutilmente, il titolo si forma e la pubblica amministrazione “consuma” il potere di decidere sull’istanza in via originaria.
2. La consumazione del potere dopo la formazione del titolo
Uno dei passaggi più significativi della sentenza riguarda proprio la consumazione del potere amministrativo. Nel caso esaminato, tra la presentazione dell’istanza (2015) e il provvedimento comunale (2020) erano trascorsi anni. L’amministrazione, pur avviando un’istruttoria tardiva, si è determinata con un atto qualificato come “rigetto della domanda originaria”, come se la procedura fosse ancora nella sua fase genetica.
Il CGA respinge in modo perentorio questa impostazione, ricordando che, una volta decorso il termine, l’amministrazione non può più adottare un provvedimento di primo grado. L’inerzia produce un effetto giuridico pieno: il titolo edilizio si è già formato e occupa stabilmente la sfera giuridica del privato.
Il potere primario di decidere sull’istanza è dunque consumato: l’eventuale intervento successivo può avvenire soltanto nella forma dell’autotutela decisoria, con tutti i rigorosi presupposti previsti dall’art. 21-nonies L. 241/1990.
3. L’erronea qualificazione del provvedimento comunale
Il cuore critico dell’intervento del CGA sta nella qualificazione del provvedimento. Il Comune di Lipari, anziché assumere un atto di autotutela, ha adottato un “rigetto definitivo dell’istanza” presentata cinque anni prima. Una scelta che, come rilevato dal Collegio, contrasta con i principi fondamentali di logica giuridica e coerenza dell’azione amministrativa.
L’errore è duplice: – di qualificazione, poiché il provvedimento presupponeva un potere ormai esaurito; – di funzione, perché il Comune ha esercitato un potere che non poteva più esercitare, utilizzando uno schema procedimentale inadatto.
La sentenza ricorda che il nomen iuris non è un dettaglio ornamentale, ma il veicolo attraverso cui si determina la corretta allocazione del potere esercitato e i presupposti della sua legittimità. L’atto adottato come “rigetto” è quindi illegittimo non solo per tardività, ma per difetto assoluto di potere: l’amministrazione ha esercitato un potere che non aveva più, come se il decorso del tempo fosse un elemento irrilevante.
4. I limiti strutturali dell’autotutela ex art. 21-nonies
La decisione del CGA consente di ribadire — con una chiarezza non frequente nella giurisprudenza edilizia siciliana — che, una volta formatosi il silenzio-assenso, l’amministrazione conserva esclusivamente la possibilità di rimuovere il titolo mediante autotutela decisoria.
L’autotutela, tuttavia, non è un potere “libero”: – richiede la dimostrazione di un interesse pubblico concreto e attuale; – impone la valutazione comparativa dell’affidamento ingenerato; – necessita di una motivazione rafforzata, soprattutto quando l’atto ha consolidato effetti nella sfera giuridica del privato; – deve rispettare il termine ragionevole previsto dall’art. 21-nonies.
Nel caso di specie, nessuno di questi requisiti era stato soddisfatto. L’amministrazione ha evocato genericamente una serie di presunte illegittimità dell’intervento, senza mai confrontarsi con la posizione soggettiva già consolidata del richiedente.
La sentenza evidenzia così un malgoverno strutturale dell’autotutela, utilizzata non per correggere tempestivamente un vizio, ma per sopperire — tardivamente — a un’inerzia amministrativa pluriennale.
5. Prospettive evolutive e ricadute sistemiche
La decisione del CGA Sicilia rappresenta un punto fermo nella costruzione di una cultura amministrativa più matura: l’amministrazione non può “scegliere” quando decidere, né utilizzare l’autotutela come scorciatoia per correggere ciò che avrebbe dovuto valutare nel termine previsto.
La sentenza ha importanti ricadute: – rafforza la certezza del diritto, vincolando le amministrazioni locali al rispetto dei termini procedimentali; – impedisce che errori istruttori tardivi vengano corretti con atti di primo grado privi di base legale; – ribadisce che il silenzio-assenso non è una condizione provvisoria, ma un assetto giuridico pieno, stabile e tutelato.
In una stagione in cui la semplificazione amministrativa è spesso evocata ma di rado attuata, questa decisione offre una chiave interpretativa chiara: la semplificazione non consiste nel comprimere i diritti dei privati, ma nel responsabilizzare l’azione amministrativa. Il futuro del procedimento edilizio siciliano — e, più in generale, del sistema amministrativo — passa per il rafforzamento del rapporto di fiducia tra cittadino e pubblica amministrazione. E tale fiducia non può prescindere dal rispetto del silenzio-assenso, cardine di un sistema che vuole essere moderno, prevedibile e orientato alla legalità sostanziale.