Silenzio PA e contratti privati: no al rito ex art. 117 c.p.a.

Silenzio PA e contratti privati: no al rito ex art. 117 c.p.a.

Consiglio di Stato, Sez. VII, 12 ottobre 2023, n. 8906

«Il ricorso avverso il silenzio inadempimento, proposto ai sensi dell’art. 117 c.p.a., deve intendersi ritualmente esperibile solo se azionato a tutela di posizioni di interesse legittimo, implicanti l’esercizio in via autoritativa di una potestà pubblica, e non se l’inerzia è serbata a fronte di un’istanza avanzata per il riconoscimento di un diritto soggettivo.»

«Il rito speciale avverso il silenzio non ha lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della P.A., bensì quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche.»

«Non è configurabile un obbligo dell’amministrazione a provvedere su un’istanza diretta al rinnovo di un contratto di locazione a contenuto privatistico, giacché ogni scelta dell’amministrazione, sia favorevole sia negativa, si sostanzia nell’esercizio di un potere di diritto privato, senza adozione di alcun atto autoritativo.»

«In mancanza di accettazione della proposta negoziale irrevocabile ex art. 1329 c.c., la stessa perde efficacia senza che, a tal fine, si renda necessario alcun atto da parte della pubblica amministrazione destinataria.»

«Laddove si accedesse alla tesi secondo cui i principi di correttezza e buona amministrazione devono presiedere anche all’attività di diritto privato della pubblica amministrazione, così delineando posizioni giuridiche di interesse legittimo, si determinerebbe una commistione tra diritto soggettivo e interesse legittimo tale da rendere ingestibile il criterio di riparto ex art. 103 Cost., in contrasto con il consolidato orientamento che distingue l’attività autoritativa da quella privatistica.»

Considerazioni. La nota analizza la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 8906 del 2023, la quale si colloca nel solco di un orientamento giurisprudenziale consolidato circa l’inammissibilità del ricorso ex art. 117 c.p.a. in presenza di rapporti di natura privatistica tra amministrazione e privato. Il commento evidenzia come il giudice amministrativo, valorizzando la distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, riaffermi l’impossibilità di configurare l’obbligo a provvedere nei casi in cui la pubblica amministrazione agisca iure privatorum. La decisione conferma la funzione “di filtro” dell’art. 117 c.p.a., rafforzando l’importanza del criterio di riparto costituzionale ex art. 103 Cost. e tutelando la coerenza del sistema giurisdizionale. La nota affronta anche il rischio di una indebita estensione dell’area dell’interesse legittimo al di fuori del perimetro autoritativo, analizzando il bilanciamento tra correttezza amministrativa e autonomia negoziale.

La decisione del Consiglio di Stato, Sez. VII, 12 ottobre 2023, n. 8906, si presta ad una riflessione approfondita sulla tenuta sistematica del riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, nonché sulla funzione e i limiti del rito speciale avverso il silenzio della pubblica amministrazione, disciplinato dall’art. 117 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010).

L’oggetto del giudizio era rappresentato dalla mancata risposta della Regione Campania ad una proposta irrevocabile di rinnovo contrattuale avanzata da un soggetto privato in relazione ad un immobile precedentemente locato dalla stessa amministrazione regionale. Il ricorso, volto a censurare l’illegittimità del silenzio serbato, è stato dichiarato inammissibile per difetto di interesse legittimo, con conferma in appello da parte del Consiglio di Stato.

Il cuore motivazionale della sentenza poggia sull’affermazione che non può configurarsi un obbligo a provvedere ai sensi dell’art. 117 c.p.a. in assenza di esercizio autoritativo della funzione pubblica. Nel caso di specie, l’attività richiesta alla Regione Campania – il rinnovo di un contratto di locazione – non implicava l’attivazione di alcuna potestà amministrativa, trattandosi di atto privatistico rientrante nella gestione patrimoniale iure privatorum della PA.

La sentenza si pone in linea con una giurisprudenza oramai consolidata (Cons. Stato, Sez. IV, n. 4415/2023; Sez. V, n. 4504/2019; Sez. VI, n. 650/2018), secondo cui la tutela avverso il silenzio amministrativo è esperibile solo in presenza di situazioni giuridiche di interesse legittimo collegate ad un dovere di provvedere normativamente imposto e suscettibile di manifestarsi mediante un atto autoritativo.

Il valore sistemico della decisione risiede nella riconsolidazione della funzione selettiva dell’art. 117 c.p.a.: questo strumento processuale non è un rimedio generalizzato avverso l’inerzia della PA, bensì un meccanismo tipico volto a garantire la legalità dell’azione amministrativa pubblicistica. Ne consegue che non ogni silenzio è giuridicamente sindacabile, ma solo quello che incide su posizioni di interesse legittimo correlate all’esercizio di poteri amministrativi.

Laddove, come nel caso di specie, la PA non esercita alcuna funzione autoritativa ma agisce come contraente privato, non si configura alcun obbligo a provvedere né alcuna posizione tutelabile avanti al giudice amministrativo. Il rito speciale diviene quindi uno strumento di “screening” utile a mantenere intatto l’equilibrio costituzionale tra le giurisdizioni.

Particolarmente incisivo è il passaggio in cui il Consiglio di Stato evidenzia il pericolo di una deriva pan-amministrativistica: se si accedesse alla tesi dell’appellante – secondo cui i canoni di correttezza e buona amministrazione presiedono anche all’agire privatistico della PA – si verrebbe a configurare una commistione concettuale tra discrezionalità pubblica e autonomia contrattuale tale da compromettere il criterio di riparto ex art. 103 Cost.

È infatti principio consolidato che la discrezionalità pubblicistica – fonte di interesse legittimo – presuppone l’esercizio di una potestà pubblica, mentre l’autonomia negoziale della PA è retta dal diritto civile, generando diritti soggettivi puri, di competenza del giudice ordinario.

La sentenza in commento, lungi dall’essere un mero rigetto per inammissibilità, rafforza l’impianto dogmatico del processo amministrativo come giudizio sul potere. Il giudice amministrativo è chiamato a sindacare l’esercizio (o l’omissione) di potestà pubbliche, non a sostituirsi al contraente pubblico nelle scelte privatistiche. La separazione tra interesse legittimo e diritto soggettivo, più volte criticata per la sua presunta elusività concettuale, si dimostra invece ancora oggi un criterio fondamentale di organizzazione della giurisdizione, strumentale a tutelare la coerenza e la specialità del diritto amministrativo.


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Riccardo Renzi

Funzionario della Pubblica Amministrazione a Comune di Fermo
Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Notizie Geopolitiche, Scholia e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all'attivo più di 500 pubblicazioni tra scientifiche e di divulgazione, per quanto concerne il diritto collabora con Italia Appalti, Altalex, Jus101, Opinio Juris, Ratio Iuris, Molto Comuni, Italia Ius, Terzultima Fermata e Salvis Juribus.

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