Il principio del tempus regit actum e la legittimità del deposito cauzionale per i ripristini stradali: tra potestà regolamentare e tutela del bene pubblico

Il principio del tempus regit actum e la legittimità del deposito cauzionale per i ripristini stradali: tra potestà regolamentare e tutela del bene pubblico

La sentenza n. 2197 dell’8 ottobre 2025 del TAR Sicilia, Sezione I di Palermo, offre una significativa conferma dell’applicabilità del principio tempus regit actum ai procedimenti amministrativi aventi ad oggetto l’autorizzazione alla manomissione del suolo pubblico. La pronuncia riconosce la legittimità dell’imposizione di un deposito cauzionale a carico di soggetti autorizzati a effettuare scavi su strade comunali, anche quando tale obbligo sia stato introdotto con norma regolamentare sopravvenuta rispetto al rilascio dell’autorizzazione originaria. Alla luce della giurisprudenza consolidata, la decisione del TAR affronta questioni di rilievo come la successione delle fonti nel tempo, l’efficacia delle norme regolamentari nei confronti di rapporti concessori in corso, la distinzione tra canone e cauzione, e il bilanciamento tra esigenze di sviluppo infrastrutturale e salvaguardia del patrimonio pubblico. In questa nota si analizzano i principali aspetti giuridici emersi dalla vicenda, con una riflessione sul ruolo dell’amministrazione locale come soggetto attivo nella gestione del territorio e garante dell’interesse collettivo.

La decisione n. 2197 del TAR Sicilia, Sezione I di Palermo, resa l’8 ottobre 2025, si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai ben radicata che attribuisce centralità al principio tempus regit actum nella disciplina del procedimento amministrativo. Essa offre un’interpretazione rigorosa e coerente delle regole che governano l’azione amministrativa, affermando che la pubblica amministrazione, nel concludere un procedimento autorizzatorio, deve applicare le disposizioni normative vigenti al momento dell’adozione dell’atto finale, anche se sopravvenute rispetto alla data di presentazione dell’istanza. Non rileva, pertanto, che l’atto autorizzativo sia stato emesso dopo un lungo tempo rispetto all’istanza iniziale; la legittimità del provvedimento finale va valutata in base alla normativa attuale, non in base a quella esistente al momento della domanda.

Questo principio, oltre a garantire l’effettiva tutela degli interessi pubblici secondo la sensibilità normativa più aggiornata, esclude che il richiedente possa vantare una posizione soggettiva consolidata nei confronti della disciplina previgente. La sua posizione giuridica, sino all’adozione dell’atto definitivo, rimane una mera aspettativa, priva di una tutela rafforzata sotto il profilo dell’affidamento legittimo. La giurisprudenza ha chiarito che ciò vale anche in ipotesi di ritardi nella conclusione del procedimento: il mancato rispetto del termine finale non preclude all’amministrazione il potere di adottare il provvedimento, che dovrà però conformarsi alla normativa sopravvenuta nel frattempo.

La pronuncia in esame si è confrontata con il caso concreto di un operatore economico che aveva ottenuto autorizzazione alla manomissione del suolo pubblico per interventi su sottoservizi e che si è visto richiedere successivamente, a seguito dell’entrata in vigore di un nuovo regolamento comunale, il versamento di un deposito cauzionale a garanzia del corretto ripristino delle sedi stradali. Il ricorrente aveva impugnato tanto il regolamento quanto la comunicazione con cui l’amministrazione lo invitava a integrare la richiesta con la cauzione, lamentando tra l’altro violazione del principio di irretroattività e lesione dell’affidamento.

Il TAR ha respinto il ricorso, richiamando l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui i rapporti concessori, in quanto rapporti giuridici di durata, sono suscettibili di essere regolati da norme sopravvenute, le quali trovano applicazione per disciplinarne le successive vicende. L’adozione di un regolamento comunale, pur successiva alla stipula del rapporto o all’emissione dell’autorizzazione, non integra una modifica unilaterale illegittima né una retroattività vietata, ma costituisce il legittimo esercizio della potestà regolamentare attribuita all’ente locale ai sensi dell’art. 117, comma 6, della Costituzione e dell’art. 13 del TUEL. Il nuovo regolamento disciplina in modo generale e astratto le modalità di utilizzo del territorio comunale e i meccanismi di tutela del patrimonio pubblico, tra cui rientra la richiesta di un deposito cauzionale proporzionato all’estensione degli scavi.

Il deposito cauzionale così previsto non contrasta con l’art. 23 della Costituzione, poiché la sua previsione trova fondamento normativo nell’art. 27, comma 9, del Codice della strada, che espressamente consente all’autorità competente di richiederlo per il rilascio delle autorizzazioni. Inoltre, non si tratta di una prestazione patrimoniale imposta, ma di un onere collegato all’esercizio di una facoltà concessa su richiesta del privato, dunque liberamente assunta. Anche sotto il profilo sostanziale, la misura si dimostra ragionevole e proporzionata, in quanto finalizzata a garantire la corretta esecuzione dei lavori e la sicurezza della circolazione, evitando danni al suolo pubblico che, se non riparati a regola d’arte, si tradurrebbero in un onere economico per la collettività.

Importante è anche la precisazione circa la natura e la funzione del deposito cauzionale, che non va confuso con il canone di occupazione del suolo pubblico. Quest’ultimo rappresenta una controprestazione economica per l’uso esclusivo di beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, ed è giustificato dal vantaggio economico tratto dall’operatore autorizzato. Il deposito, invece, ha funzione di garanzia: serve a tutelare l’amministrazione dal rischio di dover sostenere, con fondi pubblici, i costi di ripristino del suolo in caso di inadempimento o imperfetta esecuzione dei lavori. Si tratta, pertanto, di due istituti ontologicamente distinti, con presupposti e finalità diverse.

Non meno significativa è la riflessione sul regime delle norme regolamentari. La giurisprudenza ha chiarito che un regolamento amministrativo, in quanto atto generale e astratto, è impugnabile solo qualora produca effetti diretti, immediati e attuali nei confronti di soggetti determinati. In difetto di tali presupposti, l’impugnazione dev’essere differita al momento dell’adozione dell’atto applicativo, che concretizza la lesione dell’interesse legittimo. Nel caso in esame, la domanda è stata integrata in vigenza del nuovo regolamento, e la richiesta di cauzione è stata formulata come conseguenza diretta della sua applicazione: correttamente, dunque, il ricorso è stato rivolto nei confronti del provvedimento applicativo.

La vicenda consente anche una riflessione più ampia sul ruolo degli enti locali nella regolazione del territorio e nel governo delle infrastrutture. La possibilità di introdurre strumenti cautelativi, come la cauzione, non va letta come un’inutile complicazione burocratica, ma come un presidio di responsabilità pubblica, capace di prevenire il degrado urbano e la spesa pubblica impropria. Non appare irragionevole, né discriminatorio, che anche gli operatori delle telecomunicazioni, pur beneficiando di normative di favore, siano soggetti a obblighi volti a tutelare il bene comune, specie quando agiscono come utenti di infrastrutture pubbliche. Il riferimento all’art. 54 del Codice delle comunicazioni elettroniche va interpretato in chiave sistematica e non può condurre all’esonero generalizzato da obblighi di garanzia, soprattutto laddove questi rispondano a criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

In conclusione, la sentenza del TAR Sicilia si pone in linea con una concezione dinamica del diritto amministrativo, capace di contemperare l’interesse privato all’efficienza e prevedibilità dell’azione pubblica con l’interesse collettivo alla tutela del territorio e al buon andamento della pubblica amministrazione. Il deposito cauzionale, previsto da regolamento comunale, risulta uno strumento coerente con questa visione: legittimo, fondato su norma primaria, proporzionato nelle finalità e nei contenuti, nonché necessario per assicurare la sostenibilità finanziaria delle attività di manutenzione pubblica. La sua imposizione, anche se successiva alla domanda iniziale, non viola principi costituzionali, ma rappresenta l’attuazione concreta del principio tempus regit actum in una materia dove l’interesse pubblico alla sicurezza e all’efficienza della rete stradale non può tollerare negligenze o affidamenti privi di fondi.


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Riccardo Renzi

Funzionario della Pubblica Amministrazione a Comune di Fermo
Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Notizie Geopolitiche, Scholia e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all'attivo più di 500 pubblicazioni tra scientifiche e di divulgazione, per quanto concerne il diritto collabora con Italia Appalti, Altalex, Jus101, Opinio Juris, Ratio Iuris, Molto Comuni, Italia Ius, Terzultima Fermata e Salvis Juribus.

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