La canzone di Marinella, storia di un femminicidio irrisolto

La canzone di Marinella, storia di un femminicidio irrisolto

Fabrizio De André, nelle sue ballate più celebri, ha spesso prestato voce a vite reali, a destini smarriti che la società aveva relegato ai margini. Ha saputo addolcirne il dolore senza mai tradirne la verità, offrendo grazia poetica a ciò che grazia non aveva più. Marinella è una di quelle figure che la carta della vita — per usare una metafora cara a Faber — non ha voluto far finire con un lieto fine.

A un primo ascolto, La canzone di Marinella sembra evocare un mondo fiabesco: un “re dall’alto mantello rosso” che s’innamora della ragazza più bella, e una giovane che si abbandona a quell’incanto con la leggerezza con cui un bambino segue un aquilone. Eppure, dietro l’apparente innocenza dei versi, si cela una favola nera. L’immagine “scivolò nel fiume a primavera” non è un vezzo poetico, ma il velo sottile che copre un delitto irrisolto: un femminicidio consegnato alla cronaca e poi affidato alla memoria della musica.

Marinella, infatti, è Maria Boccuzzi, una ragazza calabrese emigrata con la famiglia a Milano agli inizi degli anni ’30. I genitori, contadini stremati dalla miseria, inseguirono nel Nord una sorta di America possibile. Maria, appena quattordicenne, trovò impiego come operaia alla Manifattura Tabacchi di via Moscova. Ed è lì che iniziò la sua prima storia d’amore: un giovane studente, Mario, primo grande inganno del cuore.

Contestata dai genitori, la relazione divenne per Maria il pretesto per fuggire: abbandonò casa, infanzia e sicurezza per inseguire un sentimento fragile. Ma la nuova vita si rivelò un miraggio. Mario scomparve, e Maria — testarda e orgogliosa — preferì non tornare dai suoi per non dar loro ragione.

Sola, senza istruzione e appena quindicenne, si trovò davanti a due strade che la Milano del tempo offriva a una bellezza mediterranea come la sua: spettacolo o prostituzione. Scelse la prima, con onestà e speranza, reinventandosi un nome da palcoscenico: Mary Pirimpò, una filastrocca più che un’arte. Ma l’avanspettacolo di terz’ordine non concesse che un pubblico interessato più alle gambe che ai talenti.

Fra gli spettatori comparve Jimmy, elegante e pieno di promesse: il secondo farabutto, per dirla senza giri di parole. Quando perse interesse, la “cedette” all’amico Carlone, protettore di professione. Maria scivolò così, lentamente e senza ritorno, nel giro della prostituzione, sorretta solo dal proprio orgoglio ferito e dalla vergogna che le impediva di tornare a casa.

Passò da Milano a Torino, divenne una presenza silenziosa nei bordelli di San Salvario, poi una prostituta di strada lungo le rive dell’Olona. La guerra finì, ma per Maria non finì mai la lotta per ricominciare: metteva da parte pochi risparmi, sognando di chiudere con quella vita e tornare alla campagna.

La notte del 28 gennaio segnò l’ultimo capitolo. Maria aveva 33 anni. Trascorse la serata con Jimmy — sempre lui, destino ostinato — e poi uscì con alcune colleghe. L’ultima a vederla viva fu Wanduccia. Il mattino successivo, alcuni operai trovarono il suo corpo sulle sponde dell’Olona: senza documenti, con segni di pestaggio e sei colpi di pistola. Era stata gettata ancora viva nel fiume.

La polizia interrogò protettori, fidanzati, conoscenti. Nessuna prova, nessun colpevole. Il caso fu archiviato come “la solita storia della ragazza che fa la vita”: uno dei modi più crudeli di aggiungere ingiustizia all’ingiustizia.

Eppure, qualche anno prima, un tredicenne curioso aveva letto quella notizia di cronaca nera. Quel ragazzo era Fabrizio De André. Anni dopo, trasformò quella vita spezzata in una ballata destinata all’eternità. Non per cancellare l’orrore, ma per restituirle dignità: Maria ridivenne Marinella, non più merce o vittima, ma principessa di una fiaba dolce e malinconica.

Così una donna uccisa da un amore rosso come il sangue diventò una stella consegnata al cielo. Perché, come suggerisce De André, “le più belle cose vivono troppo poco”: ma alcune, quando passano attraverso la poesia, smettono di morire.


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