Accesso agli atti. Ammissibilità dell’istanza e contemperamento con interessi contrapposti

Accesso agli atti. Ammissibilità dell’istanza e contemperamento con interessi contrapposti

La disciplina dell’accesso agli atti risponde all’esigenza di assicurare che vengano realizzati i princìpi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Tale concreto perseguimento è agevolato dall’estrinsecarsi della trasparenza della pubblica amministrazione attraverso l’applicazione dell’anzidetta disciplina, che garantisce la circolazione delle informazioni tra pubbliche amministrazioni e cittadino, grazie alla partecipazione democratica dello stesso alle attività della pubblica amministrazione e alla conoscibilità della pubblica funzione, sia nella sua azione, che nella sua organizzazione.

Tale esigenza di ampio respiro deve contemperarsi con altra di carattere individuale: quella di preservare la riservatezza dei controinteressati alla ostensione dei documenti richiesti. Il diritto alla riservatezza dei dati, infatti, è un diritto tanto più tutelato quanto più strettamente personale è la sfera della vita cui i dati afferiscono o, nel caso delle imprese, quanto più la riservatezza del dato è funzionale, in ultima analisi, al mantenimento dell’esistente posizione concorrenziale sul mercato.

Gli artt. 22 e 23 della Legge del 7 agosto 1990, n. 241 (c.d. Legge sul procedimento amministrativo) forniscono le prime coordinate necessarie per muoversi all’interno della disciplina in esame, quali le definizioni (art. 22, co. 1) e l’individuazione dei legittimati passivi alla richiesta di accesso documentale (art. 23). Dalla lettura delle menzionate disposizioni, pertanto, apprendiamo quali sono gli elementi essenziali ai fini della ammissibilità dell’istanza di accesso, primi fra tutti la sussistenza della legittimazione attiva e la motivazione posta a base dell’istanza, ove la prima è strettamente connessa alla seconda. Infatti, può proporre istanza di accesso agli atti qualsiasi soggetto privato (compresi i portatori di interessi diffusi o collettivi, e.g. associazioni, comitati) che abbia un interesse giuridicamente rilevante, posto esplicitamente a fondamento dell’istanza, che consti di tutte le seguenti caratteristiche: deve essere diretto, cioè personale e autonomo; concreto, cioè l’interesse deve essere serio, qualificato e collegato alle ragioni esposte a sostegno dell’istanza; attuale, cioè effettivo, di talché il documento di cui si chiede l’ostensione sia idoneo a spiegare effetti (diretti o indiretti) nei confronti del richiedente.

Con riferimento alle prime due caratteristiche, si specifica che affinché queste possano ritenersi sussistenti (e dunque l’interesse sia diretto e concreto) è necessario che intercorra un nesso di strumentalità fra il documento e la tutela dell’interesse richiamato nell’istanza di accesso, tale per cui il documento costituisca mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante (es. esercizio del diritto di difesa in giudizio), ma non strumento di prova diretta della lesione dell’interesse (cfr., ex multis, Sent. C.d.S., Sez. VI, n. 714 del 10.02.2015). Peraltro, si segnala per inciso che qualora il documento sia necessario per provare la lesione dell’interesse, lo strumento per ottenerne l’ostensione è previsto dall’art. 210 c.p.c. (ordine di esibizione del giudice).

Ulteriore elemento essenziale ai fini della ammissibilità della richiesta di accesso documentale è la sussistenza della legittimazione passiva: le istanze di accesso possono essere indirizzate alle pubbliche amministrazioni – per tali intendendosi, ai sensi dell’art. 22 L. n. 241/1990, tutti i soggetti di diritto pubblico e tutti soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario (e.g. le imprese che svolgono servizi pubblici essenziali) – alle aziende autonome e speciali (tipicamente, le c.d. imprese municipalizzate); agli enti pubblici; ai gestori di pubblici servizi (ad esempio le Poste); alle Autorità di garanzia e di vigilanza. Si sottolinea, pertanto, che anche le imprese la cui attività si manifesti nella gestione di interessi pubblici, così come i gestori di pubblici servizi, possono essere legittimati passivi di istanze di accesso documentale e, dovendo attenersi ai princìpi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, dovranno dotarsi di una adeguata organizzazione interna (cfr. C.d.S., Sent. 23 ottobre 2007, n. 5569 sui procedimenti per la formazione delle determinazioni dei gestori di pubblico servizio).

In ultimo, affinché sia ammissibile, l’istanza di accesso agli atti deve avere ad oggetto un determinato documento amministrativo – i.e.ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie” (vd. art. 22, co. 1, lett. d) della L. n. 241/1990) – che, al contempo, rappresenti un atto della p.a., anche se interno o non relativo a uno specifico provvedimento e indipendentemente dalla sua natura pubblicistica o privatistica e, alla data della richiesta, sia detenuto dalla pubblica amministrazione, cioè sia materialmente esistente e nella disponibilità della p.a. (cfr. art. 2 D.P.R. n. 184/2006). A tal ultimo riguardo, si noti che spetta al richiedente l’onere di dimostrare che l’amministrazione effettivamente detenga il documento e che, in caso di incertezza circa l’esistenza dello stesso, l’istanza sarà ammissibile e spetterà eventualmente all’amministrazione rigettarla, motivando l’indisponibilità del documento sulla scorta del fatto che non sia più obbligata a detenerlo o che il documento oggetto di richiesta sia andato perso o distrutto. Il documento di cui si richiede l’ostensione, inoltre, deve concernere l’attività di pubblico interesse. Pertanto, qualora l’istanza sia rivolta a soggetti privati, debbono ritenersi ostensibili solo gli atti funzionalmente inerenti all’attività, svolta da tali soggetti, di cura e gestione del pubblico interesse. Si aggiunga, in ultima analisi, che ai sensi dell’art. 22, comma 4, prima parte, della L. n. 241/1990 “Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo […]“. Pertanto, il documento richiesto deve identificare uno specifico atto già esistente e la domanda non può essere sorretta da un interesse emulativo, riconducibile a mera curiosità (cfr. C.d.S, Sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 189), di talché non può essere vòlta a prendere contezza di atti prodromici, note, appunti, corrispondenza e altri atti preparatori relativi alla fase istruttoria e/o di formazione dell’atto; né è ammissibile, altresì, una domanda di contenuto generico (cfr. art. 24, co. 3, L. n. 241/1990) e/o vòlta ad acquisire informazioni che presuppongono un’attività di elaborazione da parte della p.a. quale, ad esempio, ricerca e catalogazione (cfr. art. 2, co. 2, D.P.R. n. 184/2006, nonché C.d.S., sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4316). Si segnala, infine, che la seconda parte del citato comma 4 prevede una eccezione alla regola di cui sopra: “[…] salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.”. Ciò significa che, in ogni caso, devono essere resi disponibili al richiedente i documenti che contengono i dati propri di quest’ultimo.

Affinché l’istanza di accesso documentale possa essere accolta, è fondamentale che non ricorra alcuna delle ipotesi di esclusione di cui all’art. 24, commi 1 e 3, L. n. 241/1990. In sintesi, il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato; b) nei procedimenti tributari – sul punto, si evidenzia che gli atti relativi ad un accertamento fiscale sono inaccessibili soltanto nella fase di pendenza del procedimento tributario, mentre invece, con l’adozione del provvedimento definitivo di accertamento, non rileva più alcuna esigenza di segretezza, poiché la fase che segue la conclusione del procedimento è deputata solo alla tutela in giudizio delle proprie situazioni giuridiche soggettive, eventualmente ritenute lese dal provvedimento impositivo (cfr., ex plurimis, Sent. C.d.S., Sez. IV, 3 dicembre 2018, n. 6825) – c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. Con riferimento alle appena elencate ipotesi di esclusione (previste al comma 1 del citato art. 24) è la stessa pubblica amministrazione che individua le categorie di documenti da sottrarsi all’accesso. Infine, come già accennato supra, “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.” (comma 3, art. 24 cit.).

È bene ad ogni modo rammentare che, ai sensi dell’art. 24, co. 7, primo alinea, L. n. 241/1990, “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici“, di talché ci sono ipotesi in cui è necessario un contemperamento fra contrapposte esigenze. Le direttrici di tale bilanciamento si rinvengono nel diritto positivo. Così, per quanto concerne il bilanciamento tra il diritto di accesso agli atti e il diritto alla riservatezza, si osserva che l’opera di contemperamento de qua non è demandata alle singole pubbliche amministrazioni destinatarie dell’istanza, bensì è stata compiuta direttamente dal legislatore. Invero, il combinato disposto dell’art. 24, comma 7, della L. n. 241/1990 e dell’art. 60 del D. Lgs. n. 196/2003 stabilisce che laddove l’ostensione del documento comporti la rivelazione di dati genetici, dati relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, il documento è ostensibile solo se l’interesse giuridicamente rilevante di colui che presenta l’istanza di accesso è di rango almeno pari a quello cui afferiscono i suddetti dati del controinteressato. In casi come questi, pertanto, l’interesse posto a fondamento della domanda di accesso agli atti deve consistere in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e l’ostensione del documento deve essere concessa per quanto strettamente indispensabile alla tutela dell’interesse richiamato. In altre parole, è imposta l’applicazione del c.d. principio di minimizzazione, sicché il documento reso disponibile al richiedente dovrà contenere solo dati adeguati, pertinenti e limitati alle finalità per cui sono stati richiesti. Si segnala, peraltro, come il menzionato combinato disposto sia in armonia con quanto previsto dall’art. 6, co. 1, lett. f) del Reg. UE 2016/679, a mente del quale “il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui […] è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti o le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare de l’interessato è un minore“. Al riguardo, è bene precisare, infine, che laddove il documento contenga dati personali che sono già stati resi manifestamente pubblici dal controinteressato, l’istanza di accesso sarà ammissibile (vd. art. 9, co. 2, lett. e) del Reg. UE 2016/679).

Analogamente, laddove il controinteressato all’ostensione del documento sia un soggetto giuridico (che, eventualmente, può essere al contempo anche legittimato passivo all’istanza, come nel caso di un’impresa che svolga attività di pubblico interesse), il bilanciamento dei contrapposti interessi è stato operato a monte dal legislatore, in considerazione del fatto che la riservatezza delle imprese e dei loro segreti commerciali costituisce espressione dei valori della concorrenza e del mercato. Così, l’art. 13, co. 5  del D. Lgs. del 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice dei contratti pubblici) prevede che sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione di: a) informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali (si usa, pertanto, già in fase di offerta, segnalare alla Stazione Appaltante quali parti del documento non possono essere rese ostensibili laddove il secondo in graduatoria presenti istanza di accesso agli atti); b) eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento; c) pareri legali acquisiti per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici (rientrano in tali ipotesi i pareri legali richiesti al fine di definire una – anche solo eventuale – strategia e/o una tesi difensiva, non anche i pareri legali riferiti ad un iter procedimentale e quindi collegati con il provvedimento finale (d’altronde, l’art. 7, co. 2, D.P.R. 184/2006 fissa la regola per cui l’accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti in esso richiamati e appartenenti allo stesso procedimento); d) delle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.

Peraltro, sempre nell’ambito di appalti, il legislatore ha previsto ulteriori elementi di contemperamento fra l’interesse dell’aggiudicatario e quello dei terzi interessati. Stabilisce, infatti, il comma 6 del citato art. 13 che “in relazione all’ipotesi di cui al comma 5, lettere a) e b), è comunque consentito l’accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso“. Pertanto, laddove l’offerta sia espressiva di un particolare know how, il sistema normativo prevede che legittimato attivo a proporre istanza di accesso agli atti sia solo il concorrente che abbia legittimamente partecipato alla selezione e che la motivazione dell’istanza si rinvenga solo in esigenze di tutela giurisdizionale, sempreché sussista un effettivo interesse a censurare l’offerta di cui si richiede l’ostensione.

In ultima analisi, un’ipotesi di positivo contemperamento fra interessi contrapposti è data dall’art. 54-bis  del D. Lgs. n. 165/2001 ss.mm.ii., rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”, al cui interno troviamo bilanciati da un lato la riservatezza del segnalante e la tutela della fonte dell’informazione e, dell’altro, esigenze di giustizia e il diritto di difesa del soggetto la cui condotta è stata oggetto di segnalazione. Ai sensi della richiamata disposizione, infatti, di regola non sono ostensibili le segnalazioni di condotte illecite (c.d. whistleblowing), tuttavia, le medesime segnalazioni non possono essere sottratte all’accesso “nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave“.


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