Accordi di ristrutturazione del debito e terzi estranei alla pattuizione

Accordi di ristrutturazione del debito e terzi estranei alla pattuizione

Gli accordi di ristrutturazione del debito rappresentano un efficace strumento, ideato dal legislatore, volto alla risoluzione negoziale della crisi d’impresa.

Questi nascono con il precipuo scopo di consentire all’imprenditore di ridurre – attraverso accordi di natura stragiudiziale – l’esposizione debitoria e comporre con i propri creditori la crisi dell’impresa in modo da determinarne il risanamento.

L’istituto, tuttavia, resta uno dei più controversi tra quelli previsti dal nostro codice, avendo ad oggetto questioni problematiche che ancor oggi permangono, quali l’effetto che gli stessi hanno nei confronti dei creditori estranei alla pattuizione nonché gli strumenti di tutela che l’ordinamento accorda a quest’ultimi.

Cionondimeno, prima di procedere alla disamina degli aspetti testé indicati, appare opportuno delineare i profili essenziali di tali accordi.

L’art. 182 bis Lg. Fall. attribuisce all’imprenditore in stato di crisi, la facoltà di stipulare un accordo con i creditori rappresentanti almeno il 60% del passivo (soglia, quest’ultima, da riferirsi all’ammontare dei crediti e non già al numero dei creditori), avente ad oggetto i rapporti di credito-debito tra loro sussistenti.

Al fine di rispondere a precipue esigenze di chiarezza e trasparenza, tale pattuizione deve, altresì, essere accompagnata da una relazione redatta da un professionista qualificato – designato dal debitore ed in possesso del requisito di indipendenza rispetto ai soggetti interessati all’operazione – che garantisca la genuinità dei dati aziendali indicati dall’imprenditore sulla base dei propri libri e documenti contabili nonchè l’attuabilità dell’accordo (i.e. un’esposizione dei modi e dei tempi di attuazione attraverso le quali viene prevista la composizione della crisi) con particolare riguardo all’idoneità dello stesso ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei alla negoziazione entro precisi termini[1] (co.1).

Sebbene non sia espressamente previsto dalla norma, l’accordo deve rivestire la forma scritta così da consentirne la pubblicazione nel registro delle imprese e, conseguentemente, – ferma l’efficacia immediata delle singole pattuizione tra le parti – acquistare efficacia erga omnes (co. 2).

Analizzando il dato normativo, è possibile notare come il legislatore non abbia fornito alcuna specifica indicazione in ordine al contenuto e alle articolazioni delle prestazioni che possono trovare spazio in detta negoziazione, ciò perché alla base dell’istituto vi è proprio l’intento di esaltare l’autonomia negoziale dei contraenti quale strumento di composizione d’interessi in conflitto. Ne consegue che, in assenza di una qualsivoglia tipizzazione legale, tali accordi potranno assumere tipologie e contenuti diversi a seconda delle scelte operate di volta in volta dai paciscienti e delle loro esigenze.

Se da un lato, questo comporta un potenziamento dei poteri e delle facoltà dei soggetti privati coinvolti nell’operazione stessa, tuttavia l’ordinamento non rinuncia ad un controllo – seppur ridimensionato – di tipo pubblicistico: il debitore, infatti, mediante ricorso depositato al tribunale nel cui circondario si trova la sede principale dell’impresa (art. 9 Lg. Fall.), può domandare l’omologazione dell’accordo, unitamente allo stesso, dovrà, altresì, depositare una relazione aggiornata sullo stato patrimoniale e finanziario dell’azienda nonché tutte le informative, meglio specificate nell’art. 161 Lg. Fall., utili a garantire l’approfondito esercizio della funzione di controllo da parte del giudice, il quale, una volta statuito sulle eventuali opposizioni, procederà all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato (co. 4)[2].

Delineati i caratteri essenziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, una delle problematiche maggiormente discusse da dottrina e giurisprudenza – come già anticipato – è quella afferente le possibili influenze che questa contrattazione potrebbe generare nei confronti dei creditori che non abbiano aderito alla pattuizione.

Ci si chiede, in particolare, in che modo l’istituto in esame, che – come vedremo – produce delle esternalità negative nei confronti dei creditori estranei all’accordo, possa conciliarsi con il principio di relatività del contratto sancito dall’art. 1372 c.c., a mente del quale l’attività contrattuale vincola esclusivamente i soggetti che, esprimendo il loro consenso, partecipano all’accordo, dovendo lo stesso atteggiarsi nei confronti dei terzi come res inter alios acta, incapace di nuocere all’esterno[3].

L’art. 182 bis, co. 1, Lg. Fall., in un primo momento, sembra non solo aderire a tale principio ma anzi rafforzarlo, prevedendo espressamente “l’integrale pagamento dei creditori estranei”, ma stabilendo per lo stesso, in maniera del tutto innovativa, una moratoria di 120 giorni decorrenti dalla omologazione per i crediti già scaduti a tale data e dalle rispettive scadenze per quelli non ancora scaduti. Ora, la dilazione del termine di pagamento è il primo effetto negativo che la pattuizione produce nei confronti del creditore, il quale non vedrà soddisfatto immediatamente il proprio credito ma dovrà attendere un termine più o meno ampio (ma comunque non inferiore ai 120 giorni) per riottenere quanto a lui dovuto.

Proseguendo la lettura della norma, una seconda esternalità svantaggiosa è rintracciabile al co. 3, che inibisce, nei 60 giorni successivi alla data di pubblicazione dell’accordo (inteso quale termine sufficiente al fine di completare la procedura di omologazione), ai creditori aderenti e non, aventi titolo e causa anteriore a tale data, sia l’avvio che la prosecuzione di azioni esecutive (immobiliari, mobiliari, presso terzi) e cautelari (sequestri, provvedimenti ex art. 700 c.p.c) sul patrimonio del debitore che l’acquisizione di titoli di prelazione, a meno che non siano stati precedentemente concordati. Tale divieto può, altresì, essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo, attraverso la presentazione al tribunale competente di specifica documentazione (co. 6).

La funzione di tale blocco è strettamente connessa alla necessità di consentire al giudice l’esame della istanza di omologazione, dell’accordo, della documentazione e della relazione del professionista ad esso correlata, senza che possano verificarsi medio tempore modifiche nella situazione patrimoniale del debitore, derivanti da azioni cautelari o esecutive[4].

Si tratta, dunque, di una temporanea cristallizzazione del patrimonio al fine di assicurare una assoluta corrispondenza tra la situazione patrimoniale descritta nell’accordo (sulla base della quale i creditori aderenti hanno espresso il loro consenso ed il professionista redatto la sua relazione) e quella reale ma che, comunque, inibisce al creditore estraneo alla pattuizione la possibilità di esigere il pagamento mediante un decreto ingiuntivo o azionare strumenti di protezione – quali il  sequestro conservativo – a tutela del patrimonio dell’imprenditore[5].

Ma non è tutto.

Dal momento che la funzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti è quello di garantire la continuità aziendale, il legislatore consente all’imprenditore in crisi “che abbia presentato una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182 bis, co. 6” di accedere a nuove forme di finanziamento prededucibili ai sensi dell’art. 111 Lg. Fall. per affrontare il fabbisogno finanziario dell’impresa (artt. 182 quinquies e quater Lg. Fall.). Queste risorse (ex multis, mutuo, apertura di credito, anticipazione bancaria, ingresso di nuovi soci, etc.) avranno il precipuo scopo non solo di consentire la prosecuzione di tutte quelle operazioni funzionali alla prosecuzione dell’attività aziendale ma altresì garantire una migliore di soddisfazione dei creditori.

Il meccanismo della prededuzione se, da un lato, rappresenta un incentivo per chi accetta di finanziare un soggetto in condizioni economiche non particolarmente floride (consentendo il soddisfacimento del credito prededucibile attraverso una corsia preferenziale, con precedenza persino sui creditori privilegiati), dall’altro lato porta con sè una delle conseguenze più sfavorevoli per i creditori estranei: una volta erogata nuova finanza, infatti, il debitore può essere autorizzato dal Tribunale al pagamento di crediti anche anteriori per prestazioni di beni o servizi ed, in tal caso, i pagamenti effettuati non saranno soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67 co. 3 lett. e (art. 185 quinquies co. 6).

Dalla esenzione da revoca e dalla prededuzione, dunque, nasce la più gravosa tra le esternalità negativa per i creditori non aderenti, i quali, in caso di esito negativo dell’accordo e successivo fallimento dell’imprenditore, si ritroveranno con un patrimonio da aggredire più piccolo (senza che sia possibile ricorrere allo strumento perequativo della revocatoria) e con un ordine di priorità legali sovvertito rispetto alla situazione originaria[6].

La produzione di questi effetti sfavorevoli viene, in qualche modo, controbilanciata dall’intervento dell’autorità giudiziaria in sede di omologa e dalla possibilità, riconosciuta ai creditori non aderenti all’accordo ed ogni altro interessato – laddove vi sia un interesse giuridicamente ed economicamente rilevante e non mere ragioni di diniego dell’omologazione – di proporre opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese.

Ad integrare la disciplina prevista in materia, è recentemente intervenuto l’art. 182 septies Lg. Fall. (D.Lg. 83/2015, conv. Lg. 132/2015), il quale – in espressa deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. – consente all’imprenditore che ha contratto debiti verso banche e intermediari finanziari “in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo”, di domandare con ricorso ex art. 182 bis co.1 Lg. Fall. che “gli effetti dell’accordo stesso vengano estesi anche ai creditori, appartenenti alla medesima categoria, che non vi abbiano spontaneamente aderito” (co. 2)[7].

Ed aggiunge, “quando tra l’impresa debitrice e una o più banche o intermediari finanziari viene stipulata una moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari, … omissis … la convenzione moratoria – sempre in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. – produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti” (co. 5), causando il differimento dell’esigibilità del credito dei soggetti non aderenti. “In nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di moratoria, può essere imposta ai creditori non aderenti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti” (co. 7).

Tuttavia, affinchè i predetti commi siano applicabili sono necessarie determinate condizioni: primum, che tutti i creditori, appartenenti alla medesima categoria ed aventi posizione giuridica e interessi economici omogenei, siano stati informati dell’avvio delle trattative e che siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede (evitando, così, che si abusi di un simile strumento a danno di chi non abbi aderito all’accordo non perché contrario a quanto pattuito ma perché impossibilitato a partecipare per fatto a lui non imputabile); deinde, è necessario che i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il 75% dei crediti della categoria.

La peculiarità della norma è di per sé evidente: essa rappresenta una chiara deroga alla regola generala sancita dal nostro ordinamento secondo cui nessuno può subire interferenze non volute nella propria sfera giuridico-economica, poiché, in virtù del principio della relatività del contratto, questo vincola esclusivamente i soggetti che, esprimendo il  loro consenso, partecipano all’accordo (art. 1372), consentendo modificazioni migliorative della sfera giuridica del terzo, ove lo stesso abbia la facoltà di rifiutare (art. 1411).

A tutela delle banche e degli intermediari estranei, l’ordinamento accorda loro la possibilità di proporre opposizione, chiedendo che la convenzione non produca effetti nei loro confronti, entro 30 giorni dalla comunicazione[8] della convenzione e della relazione. Una volta verificata la sussistenza delle condizioni richieste per l’omologazione degli accordi previste dall’art. 182 septies, co. 4, terzo periodo, il tribunale deciderà sulle opposizioni con decreto motivato, reclamabile entro 15 giorni presso la competente corte d’appello (art. 182 septies, co. 6).


[1] Recita l’art. 182 bis: “(… omissis …) entro 120 giorni dall’omologazione in caso di crediti già scaduti a quella data; entro 120 giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione”.

[2] Decreto a sua volta reclamabile davanti alla corte d’appello ai sensi dell’art. 183, entro 15 giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

[3] L’ordinamento, infatti, non ammette modificazioni peggiorative della sfera giuridica del terzo (consentendo, di contro, effetti favorevoli nei riguardi di un soggetto non aderente, salvo la facoltà di quest’ultimo di rifiutare).

[4] B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis Lg. Fall.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Il Caso, 2011, 21.

[5] B. Inzitari, op. cit.

[6] D. Restuccia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra autonomia privata e controllo nell’interesse dei terzi, in Il diritto degli affari, 2011, 124.

[7] Restando salvi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari (art. 182 septies, co. 1).

[8] Da effettuarsi a mezzo posta elettronica certificata o raccomandata.


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