Applicabilità dell’art. 416 bis c.p. nei confronti delle associazioni mafiose e delle “nuove mafie”

Applicabilità dell’art. 416 bis c.p. nei confronti delle associazioni mafiose e delle “nuove mafie”

Cos’è la mafia? La risposta si può trovare nelle parole del dottor Caponnetto, il quale asserì che la mafia è un’associazione; un’associazione segreta, con legami familiari (soprattutto allargati), verticistica ed unitaria nel perseguire i suoi scopi.

Il carattere predominante del fenomeno associativo a stampo mafioso risiede nella forza intimidatoria e, conseguentemente, nel potere di assoggettamento e nell’omertà. L’intimidazione è lo strumento con il quale, i soggetti che fanno parte dell’associazione, raggiungono i propri obbiettivi. L’assoggettamento e l’omertà portano, inevitabilmente, ad una ubbidienza delle vittime ed a un rifiuto di collaborare con le istituzioni pubbliche per paura di future ritorsioni sulla persona stessa o su i suoi beni. Per tali motivi, troppo spesso, le associazioni mafiose risultano così difficili da smantellare.

La fattispecie in esame è, ad oggi, disciplinata dall’art. 416 bis c.p., entrato a far parte del Codice Penale grazie alla Legge n°646 del 13/09/1982.

Tale reato è stato introdotto nel nostro ordinamento, per la profonda necessità di reprimere comportamenti che, alla luce del precedente articolo (il 416), che regola l’associazione per delinquere, molti restavano impuniti in quanto inadeguato a reprimere la struttura mafiosa. Con l’introduzione dell’art. 416 bis, e quindi con una nuova fattispecie delineata dal legislatore, iniziò un vera e propria lotta nei confronti della mafia, che condusse all’arresto ed alla successiva condanna molti esponenti mafiosi.

Tra il 2005 ed il 2008, precisamente con la legge n° 251 del 5/12/2005 e successivamente tramite la legge n°125 del 24/07/2008, le pene previste per coloro che partecipano alla società mafiosa sono state aumentate, elevandole da quel che era, ossia, da tre a sei anni di reclusione, ad una pena da cinque a dieci anni, mentre per coloro che ricoprono un ruolo di direzione e/o di organizzazione dell’associazione sono condannati con la detenzione da quattro a nove anni, a fronte della vecchia sanzione che prevedeva una pena da tre a sei anni. Si cercava quindi di reprimere sempre maggiormente i soggetti che partecipano attivamente all’associazione mafiosa, e coloro che la dirigono. Nel 2015, ci sarà, da parte del legislatore, una nuova stretta sul fenomeno mafioso, mediante la legge n°69 del 27/05/2015, dove verranno inasprite ancor di più le pene, arrivando così alle sanzioni ad oggi presenti all’interno del Codice Penale.

E’ da tenere presente che la repressione del delitto di associazione mafiosa svolge duplici funzioni. Innanzitutto, come già detto, cerca di porre un rimedio al fenomeno in se; ma oltre ciò, (come desumibile da una lettura dell’art. 416 bis comma 3) cerca di tutelare la libertà dei cittadini, garantire una maggiore protezione verso l’ordine economico e nei confronti dell’imparzialità dell’attività amministrativa e statale, favorendo il bene pubblico ed estromettendo il volere delle associazioni mafiose (ed i loro membri) da ogni attività, sia pubblica che privata, insita sul territorio nazionale.

Col trascorrere del tempo, il fenomeno mafioso, originario, prevalentemente, nel sud Italia, si è man mano allargato, e ad oggi, è possibile trovare tracce di associazioni mafiose in tutto il territorio nazionale. Da un punto di vista giuridico, interessante è pure l’inquadramento della mafia fuori dal suo contesto originario, e questo perché muta il modo in cui essa opera e di conseguenza le modalità di perseguibilità del fenomeno mafioso. Ciò che viene a crearsi è un nuovo modo di operare della mafia. 

L’art. 416 bis, pone la rilevanza giuridica del riconoscimento dell’associazione mafiosa in un comportamento intimidatorio. Ma non sempre è così. Difatti, in alcune realtà, ci troviamo di fronte alle così dette mafie silenti. Giurisprudenza e dottrina si sono più volte interrogate se, un comportamento senza fine intimidatorio e aggressivo, potesse essere punito come mafioso. In tale contesto, dopo varie pronunce nel corso degli anni (Cassazione penale n°31666 del 03/03/2015; Cassazione penale sezione V del 13/02/2006), più recentemente la giurisprudenza del Tribunale di Reggio Emilia, sezione penale, si è espressa sull’argomento tramite il processo Aemilia. I giudici del processo hanno accolto, benché contro la legittima prassi, l’esistenza di un’associazione mafiosa anche laddove non vi è esplicito uso dell’intimidazione e di un comportamento aggressivo. Hanno motivato ciò specificando che il dato intimidatorio non deve necessariamente nascere da un utilizzo costante della forza, della violenza, ma basta il venire a crearsi di un aura di intimidazione generalizzata quale elemento cardine della struttura associativa per portare a termini i propri obbiettivi. Sembra quindi bastare la rinomanza intimidatoria e criminale dell’associazione nota all’interno di un  contesto sociale.                                     

Tale posizione allargherebbe di non poco i confini della punibilità per il reato di associazione mafiosa, potendo perseguire anche quei fenomeni mafiosi, che più silenziosamente, cercano di introdursi nel contesto sociale quotidiano.

Ma il novero delle “nuove mafie” non si esaurisce alle mafie silenti. Solitamente quando viene fatto riferimento alle associazioni a stampo mafioso si pensa a grandi gruppi di persone. Non sempre però è così. Sono presenti anche realtà criminali con  un numero relativamente esiguo di consociati e che spesso detengono basse dotazioni a livello finanziario se fatto un confronto rispetto alle grandi associazioni delinquenziali. Tali entità di ridotta dimensione prendono il nome di piccole mafie, alle quali tuttavia è stata riconosciuta, dalla giurisprudenza, la loro perseguibilità per il reato di associazione mafiosa, per il fatto che anch’esse provocano un clima di intimidazione nel territorio in cui operano o verso una determinata attività economica. La Giurisprudenza inoltre, ha precisato che lo stato di assoggettamento può essere riscontrato anche tramite il ricorso a pratiche corruttive. 

Anche in questo caso, come in quello delle mafie silenti, si sono susseguite opinioni discordanti sulla meritevole applicazione dell’art. 416 bis. Le tesi contrapposte vedono due opinioni: la prima, è concorde con l’applicabilità dell’art. 416 bis anche alle piccole mafie. Viene qua riconosciuta la flessibilità della norma al fine di contrastare a pieno ogni evoluzione del fenomeno mafioso. Oltre ciò, viene riconosciuta l’adattabilità e l’evoluzione della norma penale in base al periodo storico in cui essa viene ad essere applicata. 

Altra opinione, è quella che lamenta un eccessivo utilizzo della repressione di crimini facendo riferimento all’associazione mafiosa, viene utilizzato l’art. 416 bis addirittura quando (in modo errato secondo autorevoli autori) non vi è il presupposto essenziale del fattore intimidatorio come elemento caratterizzante di questa nuova mafia. Nasce quindi il pericolo che l’elemento intimidatorio venga a confondersi con quello meramente suggestivo, facendo così perdere l’essenza incriminante alla base dell’art. 416 bis. 

Viene invece a configurarsi, per volere legislativo, a seguito della riforma del 2008, il riconoscimento delle così dette Mafie straniere. 

Il riconoscimento operato dal legislatore, e che allarga ancora maggiormente la perseguibilità del fenomeno, è avvenuto mediante l’introduzione del comma 8 all’art. 416 bis c.p., il quale dispone che le pene indicate nei commi precedenti trovano applicazione alle mafie quali ‘ndrangheta, camorra, alle altre associazioni di stampo mafioso a livello locale, ma allo stesso tempo anche alle mafie straniere che tramite la forma associativa perseguono finalità corrispondenti a quelle di cui al comma 1-2-3-5 del medesimo articolo. 

Con il riferimento alle mafie straniere, si vuole indicare associazioni esterne ai confini nazionali, ma i cui soggetti oltre ad avere un apparato sociale nel paese d’origine, operano attivamente (seppur con un numero minore di associati) sul suolo italiano riuscendo ad imporre la propria influenza.                                       

In merito a ciò è possibile fare riferimento alla Triade cinese, alla Mafia russa, e alle narcomafie sudamericane.

Da tutte le fattispecie delineate, a partire dalle origini del fenomeno mafioso in Italia, alle nuove mafie, fino all’introduzione della Mafia straniera, è possibile notare come, il costante intervento legislativo, dottrinale e giurisprudenziale cerchi, costantemente, di porre un argine alle associazioni mafiose operanti sul territorio, dando sempre un maggiore impiego all’art. 416 bis.


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