Azione revocatoria ordinaria tra Codice e giurisprudenza

Azione revocatoria ordinaria tra Codice e giurisprudenza

Premessa. L’azione revocatoria ordinaria ha lo scopo di conservare il patrimonio del debitore in quanto esso costituisce per il creditore la garanzia generica ex art. 2740 c.c. per il soddisfacimento della propria pretesa [1].

A tal fine l’ordinamento riconosce al creditore il diritto potestativo [2] di intervenire nella sfera giuridica del debitore per impedire che l’attività dello stesso possa pregiudicare le sue ragioni.

Tale finalità è condivisa con l’azione di simulazione di cui agli artt. 1414 c.c. e ss., la quale può essere proposta congiuntamente all’azione revocatoria senza che l’esercizio dell’una precluda la proposizione dell’altra [3].

L’art. 2901 c.c. richiede determinati presupposti il cui onere della prova, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c., grava su colui che agisce in revocatoria [4].

Anzitutto occorre che il debitore abbia compiuto un atto dispositivo idoneo a ledere il proprio patrimonio. Può essere revocato anche un atto avente valore etico e morale, poiché la norma non dà rilievo al fine perseguito dal debitore [5].

Il creditore deve individuare il proprio credito indicando la fattispecie costitutiva a pena di nullità della domanda ai sensi dell’art. 163 n. 3 c.p.c. [6].

L’interesse del creditore a far dichiarare l’atto inefficace va valutato ex ante al momento in cui questo viene compiuto [7], non già al momento dell’effettiva realizzazione del credito [8].

E’ onere del debitore, invece, provare che il patrimonio residuo sia tale da soddisfare la pretesa creditoria [9].

Diritto di credito. Circa la nozione di credito, il Codice non esige la certezza, la liquidità e la concreta esigibilità e neppure che esso sia scaduto, essendo sufficiente la “sola esistenza” del credito [10], secondo una “nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa” [11].

E’ del pari irrilevante, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, che il credito sia sub iudice [12], essendo sufficiente una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata [13].

Ne deriva che il giudizio relativo alla revocatoria non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. rispetto al giudizio circa l’accertamento del credito, in quanto tale accertamento non costituisce indispensabile antecedente logico-giuridico né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati [14].

In breve, è sufficiente una semplice ragione di credito, anche non giudizialmente accertata, poiché la tutela si estende alla mera aspettativa e a una pretesa creditoria anche solo eventuale [15].

Eventus damni. Dall’atto del debitore deve derivare un eventus damni, ossia un pregiudizio per le ragioni creditorie tale per cui il soddisfacimento del credito risulti più incerto o più difficile.

Non è necessaria una deminutio patrimonii né una totale compromissione del patrimonio del debitore, la cui variazione può essere tanto quantitativa quanto qualitativa [16].

Non provoca un eventus damni l’adempimento di un debito scaduto (art. 2901 co. 3 c.c.), poiché esso già incideva sul patrimonio del debitore [17]. La giurisprudenza estende tale esenzione all’atto finalizzato a reperire la liquidità necessaria per l’adempimento del debito scaduto in quanto in tal caso manca il pregiudizio per le ragioni creditorie [18], purché l’atto rappresenti l’unico mezzo per tale scopo [19].

Scientia damni. Occorre, infine, che il debitore fosse consapevole che la sua attività avrebbe indebolito il proprio patrimonio mettendo a rischio l’adempimento del debito (c.d. scientia damni o scientia fraudis).

Tale consapevolezza coincide con la conoscenza dell’eventus damni, non già con la dolosa preordinazione di nuocere il creditore (c.d. animus nocendi), la quale è richiesta solamente se l’atto dispositivo è compiuto prima del sorgere del credito [20].

La prova della scientia damni può essere fornita anche tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e immune da vizi logici e giuridici [21].

I requisiti fin qua descritti sono necessari e sufficienti qualora l’atto sia a titolo gratuito.

Partecipatio fraudis. Se l’atto è a titolo oneroso, occorre dimostrare che anche il terzo fosse consapevole dell’eventus damni (c.d. partecipatio fraudis). Anche in questo caso l’animus nocendi deve essere provato solo se l’atto è stato compiuto prima del sorgere del credito.

Sotto il profilo soggettivo, dunque, la posizione del terzo è analoga a quella del debitore [22].

Anche la partecipatio fraudis può essere provata tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato [23].

Prescrizione. E’ previsto un termine prescrittivo di cinque anni dalla data dell’atto (art. 2903 c.c.) ovvero, qualora esso sia soggetto a pubblicità, dalla data in cui la relativa formalità è stata eseguita [24].

In forza del combinato disposto con l’art. 2935 c.c., il termine ex art. 2903 c.c. decorre dal giorno in cui è stata data pubblicità dell’atto a terzi, poiché solo da tale momento il diritto potestativo all’azione revocatoria può essere fatto valere e l’inerzia del titolare assume effetto estintivo [25].

Conseguenze. La sentenza di accoglimento ha natura costitutiva in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente [26].

Tale pronuncia non ha effetto restitutorio, giacché il bene non ritorna nel patrimonio del debitore [27], e non determina l’eliminazione dell’atto impugnato. Quest’ultimo, infatti, è inefficace solo nei confronti del creditore che ha agito in giudizio.

Il creditore deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza per poter promuovere azioni esecutive o conservative nei confronti dei terzi acquirenti [28], anche se è prevista la possibilità di iniziare l’azione esecutiva senza dover attendere la sentenza ex art. 2901 c.c., purché ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 2929-bis c.c.


[1] Cass. n. 1404/2016, 19129/2015 e n. 1144/2015.
[2] Cass. n. 3379/2007.
[3] Cass. n. 15077/2018.
[4] Cass. n. 16221/2019, n. 19207/2018 e n. 9461/2016.
[5] Cass. n. 24757/2008 e n. 17418/2007.
[6] Cass. n. 10396/2016.
[7] Cass. n. 3538/2019.
[8] Cass. n. 13172/2017.
[9] Cass. n. 16221/2019, n. 19207/2018 e n. 9461/2016.
[10] Cass. n. 11755/2018, n. 23208/2016 e n. 5619/2016.
[11] Cass. n. 7357/2019, n. 14649/2016 e n. 5619/2016.
[12] Cass. n. 7357/2019, n. 5618/2017 e Sez. Un. n. 9440/2004.
[13] Cass. n. 11755/2018 e n. 23208/2016.
[14] Cass. n. 3369/2019 e n. 2673/2016.
[15] Cass. n. 3369/2019, n. 17257/2013 e n. 1893/2012.
[16] Cass. n. 16221/2019, n. 30188/2018 e n. 19207/2018.
[17] Cass. n. 21081/2016.
[18] Cass. n. 17766/2016 e n. 7747/2016.
[19] Cass. n. 9816/2018.
[20] Cass. n. 27546/2014.
[21] Cass. n. 5658/2018, n. 18315/2015 e n. 27546/2014.
[22] Cass. n. 16221/2019, n. 24182/2018 e n. 23326/2018
[23] Cass. n. 16221/2019 e n. 24182/2018.
[24] Cass. n. 5889/2016 e Sez. Un. n. 24822/2015.
[25] Cass. n. 11758/2018 e n. 5889/2016.
[26] Cass. Sez. Un. n. 30416/2018.
[27] Cass. n. 16793/2015, n. 3676/2011 e n. 1804/2000.
[28] Cass. n. 17311/2016.

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Luca Barletta

Istruttore Direttivo Amministrativo. Abilitato all'esercizio della professione forense. Master di II livello in "Scienze amministrative e innovazione nella P.A." presso l'Università degli Studi di Macerata. Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza presso la L.U.I.S.S. G. Carli con tesi in Diritto del Lavoro dal titolo "Il licenziamento disciplinare dopo il Jobs Act".

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