Brevi cenni sugli accordi di reintegrazione della legittima

Brevi cenni sugli accordi di reintegrazione della legittima

All’interno del nostro ordinamento, ai sensi dell’art. 457 c.c., sono previste due diverse tipologie di successione: per legge o per testamento.

Il legislatore, oltre a prevedere queste due distinzioni, ha altresì previsto il c.d. sistema di tutela della quota di legittima, ossia della quota che la legge riserva ai soggetti legittimari individuati all’art. 536 c.c. per il caso di successione testamentaria. Tali quote, rispetto alla volontà del testatore, si pongono come limiti alla sua libertà di testare: egli potrà validamente disporre della sola quota disponibile del proprio patrimonio; nel caso in cui egli disponesse altresì della parte non disponibile, così ledendo le quote riservate ai legittimari, spetterebbe a questi ultimi il diritto di agire in riduzione.

Ai legittimari la legge riserva una quota del patrimonio del defunto, differente a seconda delle singole fattispecie: è possibile, ad esempio, che il de cuius deceda senza coniuge e con due figli, ai quali la legge riserva due terzi del patrimonio da dividere in parti uguali tra loro ex art. 537 c.c.; se il de cuius lascia un coniuge ed un figlio, invece, la quota riservata a ciascuno dei due legittimari è di un terzo; qualora il de cuius lasci un coniuge e due figli, la quota a questi ultimi riservata è pari alla metà del patrimonio, mentre al coniuge è riservata la quota di un quarto.

Quando le quote riservate dalla legge ai legittimari non sono rispettate dal testatore nel proprio testamento, il legittimario leso ha il diritto di agire in riduzione per il riconoscimento della lesione.

In dottrina molti autori si sono domandati se, oltre al rimedio dell’azione di riduzione, sia possibile comporre la lite tra i legittimari beneficiati e quello leso o pretermesso, o ancora se sia possibile evitare totalmente qualsiasi lite tra loro, per via stragiudiziale. A tale domanda, salvo qualche voce contraria, la dottrina ha dato risposta affermativa: ritiene ammissibile che la legittima venga reintegrata anche in forma stragiudiziale, mediante un accordo tra i legittimari e i soggetti beneficiati dal testatore (eredi o legatari). Anche la legislazione tributaria (unica normativa italiana che fa riferimento agli accordi) avalla tale dottrina, ammettendo la validità e la tassabilità di eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, ai sensi dell’art. 43 D.lgs. 346/1990.

L’accordo di reintegrazione della legittima può essere definito come il negozio giuridico che sostituisce la sentenza di accoglimento della domanda di riduzione, assumendone la medesima natura e svolgendo la medesima funzione di sentenza (dichiarazione di inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive e delle donazioni eccedenti la disponibile; azione di accertamento costitutivo volto ad accertare l’esistenza della lesione di legittima). Pertanto, l’atto di riconoscimento di legittima può esser definito come il negozio giuridico per mezzo del quale i soggetti interessati riconoscono la inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre. Al pari dell’efficacia della sentenza di cui sopra, l’accordo non è volto a riconoscere la nullità delle disposizioni lesive, bensì a renderle inoperanti nei confronti del legittimario reso: trattasi di una inefficacia relativa e sopravvenuta delle disposizioni lesive, cui non consegue alcun ritrasferimento dei beni al patrimonio del defunto, bensì opera in modo tale da far sì che il trasferimento posto in essere dal defunto con le disposizioni de quibus si consideri non avvenuto rispetto al legittimario leso. Egli, infatti, acquista i beni forza della vocazione necessaria, che, per effetto dell’atto di riconoscimento, produce effetti in suo favore.

L’accordo, inoltre, può definirsi negozio personale, poiché produce effetti solo tra le parti dell’accordo medesimo (i destinatari delle disposizioni lesive, quali eredi, legatari o donatari, ed il legittimario leso o pretermesso), e negozio ad effetti retroattivi reali, poiché i suoi effetti retroagiscono al momento della apertura della successione, tanto per le parti, quanto anche per i terzi.

Alla luce di quanto finora detto, è possibile sostenere che, una volta riconosciuta da parte del beneficiario la lesività della disposizione fatta a suo favore, ne consegua l’inefficacia di diritto della disposizione lesiva con la ulteriore conseguente operatività della delazione necessaria a favore del legittimario leso.

In altre parole, nel momento stesso in cui il beneficiario della disposizione testamentaria lesiva riconosce la lesione di legittima, il legittimario pretermesso diventa partecipe della comunione ereditaria ex tunc.

Il legislatore non ha né descritto, né disciplinato tali accordi e la dottrina, nel corso degli anni, ha sviluppato diverse ricostruzioni dell’istituto in esame, basandosi sugli strumenti negoziali che l’ordinamento offre alle parti. In particolare, è possibile parlare di negozio transattivo, di negozio oneroso di tacitazione dei diritti successori e, infine, di negozio avente i medesimi effetti della pronuncia giudiziale di riduzione.

Il negozio transattivo ha alla base la posizione dell’erede e quella del legittimario, i quali si trovano su due piani contrapposti: tra loro non vi è accordo, alternativamente, o sulla qualità del legittimario, o sulla quantificazione della quota di legittima a quest’ultimo spettante. Al fine di prevenire una lite tra loro, o al fine di porvi fine, qualora già insorta, le parti pongono in essere reciproche concessioni concludendo un accordo transattivo ex art. 1965 e ss. c.c. L’elemento caratterizzante questa soluzione è la necessaria presenza delle reciproche concessioni, che si sostanziano: da una parte, il legittimario leso o pretermesso rinuncia ad ogni pretesa verso il beneficiario della disposizione lesiva; dall’altra, l’erede trasferisce al legittimario alcuni beni (a nulla rilevando la distinzione tra ereditari e propri) a titolo di reciproca concessione, il cui valore non deve in ogni caso esser superiore all’asserito valore della lesione di legittima lamentata.

Il negozio oneroso di tacitazione dei diritti successori si configura quando l’accordo che è stato raggiunto dalle parti contempli la rinuncia ad ogni pretesa a fronte dell’integrale riconoscimento dei diritti successori asseriti dal legittimario. In questo caso, venendo meno le reciproche concessioni non si ha più un negozio transattivo, bensì un atto traslativo (la cui efficacia è retroattiva ed inter vivos) con il quale il soggetto riconoscente trasferisce i beni al legittimario. Anche in questo caso i beni potranno essere, senza alcuna distinzione, ereditari o propri del soggetto riconoscente.

Il negozio avente i medesimi effetti della pronuncia giudiziale di riduzione, differentemente, si configura come un accordo che le parti pongono in essere al fine di ottenere il medesimo risultato cui il legittimario potrebbe pervenire a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, ossia: i) ottenere l’accertamento della qualità di legittimario; ii) ottenere il riconoscimento e la quantificazione dell’entità della lesione; iii) ottenere la pronuncia di inefficacia relativa delle disposizioni testamentarie lesive nella misura necessaria ad ottenere l’integrazione della quota ad egli riservata dalla legge.


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Alberto Ricasoli Firidolfi

Dottore in Giurisprudenza

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