Brevi cenni sulla natura del processo canonico di nullità matrimoniale

Brevi cenni sulla natura del processo canonico di nullità matrimoniale

Sommario: Introduzione – 1. Connotazione antropologica del processo matrimoniale canonico – 2. L’istruttoria canonica: momento d’indagine sulle vicende prematrimoniali – 3. L’esigenza di completezza nella formazione canonistica  – 4. Conclusioni

 

Introduzione

Senza pretesa alcuna d’esaustività, ma al solo scopo di consentirne un’agevole divulgazione informativa, il presente scritto si propone di evidenziare l’indole del processo matrimoniale canonico, partendo da un’analisi relativa alla sua valenza antropologica. Sarà richiamato, ancorché sinteticamente, il metodo istruttorio adottato per il conseguimento della certezza morale, sottolineando quanto tale tecnica investigativa – oltre a differenziarsi in modo radicale da quella utilizzata nella prassi processuale civile – richieda, da parte di coloro che operano presso i Tribunali Ecclesiastici di primo grado e presso il Tribunale Apostolico della Rota Romana, una formazione completa e meticolosa su talune discipline, non sempre connesse con la sfera giuridica.

1. Connotazione antropologica del processo matrimoniale canonico

È opportuno rilevare che in nessun luogo giudiziario sarebbe così tanto possibile conoscere i molteplici aspetti dell’animo umano, quanto nel processo canonico di nullità matrimoniale. Dalla complessità infatti del metodo d’indagine adottato, consistente nell’applicazione di criteri d’esame circoscritti al consenso espresso e alla formazione dello stesso in epoca prenuziale, ne discende una naturale comprensione dell’uomo nella sua interezza, facendo talvolta sì che quest’ultimo, rispetto al proprio trascorso coniugale, si ponga in una condizione di accettazione consapevole e propositiva per un futuro vincolo. Trattasi, quindi, di un processo non circoscritto soltanto alla risoluzione del dubbio[1] di causa, ma che va ad estendersi ben oltre, assumendo anche una funzione introspettiva per la parte[2], affinché celebri un eventuale nuovo matrimonio[3] con integrità di consenso. Ben si intuirà, inoltre, quanto in ambito canonico quello dell’istruttoria sia il momento in cui si realizza una vera e propria discovery personologica della parte, essendo poste in luce le vicende e/o le problematiche psichiche più intime, che abbiano in qualche modo inciso sull’elezione del matrimonio sacramento. In questa fase giudiziaria, deputata alla raccolta delle prove poste a sostegno dell’invocata nullità, è il Giudice Istruttore a dover coniugare il rigoroso formalismo giuridico con un approccio di tipo antropologico, che non prescinda mai cioè dal valutare preliminarmente la condizione in cui il soggetto versa, offrendo ad esso una comunicazione empatica e attenta rispetto alla complessità delle vicende di vita portate in giudizio. Nonostante però il pnm[4] si sostanzi inevitabilmente in un’opera di prossimità del Giudice nei confronti delle parti, non bisogna tuttavia lasciarsi erroneamente persuadere dall’opinione ricorrente che vuole a tutti i costi assimilare il taglio antropologico e pastorale del pnm ad una prassi processuale deformalizzata, correndo il rischio di destituirlo del suo naturale e rigoroso senso giuridico. Al contrario, invece, essendo in gioco qui la salus animarum che è la ratio primaria perseguita dalla Chiesa, la prossimità sottintende soprattutto un rigoroso rispetto delle norme processuali, poste dal Legislatore a garanzia e a servizio di un corretto metodo di accertamento di fondatezza del vincolo sacramentale. Un esempio di stretta correlazione tra  profilo giuridico e antropologico è senz’altro quello attinente alla importanza a che ci sia un rigore nel rispetto dei tempi processuali, evitando lungaggini[5] che vadano a detrimento degli interessi di coloro che attendono di regolarizzare la propria posizione dinanzi alla Chiesa; oppure, al contrario, pensiamo alla necessità della parte di veder accolta una propria domanda di supplemento istruttorio per presentare richieste e/o sollevare eccezioni. In questo caso, è onere del Giudice accogliere le relative istanze –  purché non siano poste, da una parte a danno dell’altra, a scopo meramente dilatorio – attraverso una giusta ed equilibrata concessione di ulteriori termini che, nonostante comportino un ampliamento dei tempi processuali, costituiscono tuttavia un’opportunità non solo per il fine probatorio, ma specialmente per le esigenze della persona.

Dunque, l’antropologia processuale canonica si potrebbe considerare come un modo di rendersi prossimi alla parte, ascoltandone le relative necessità, senza mai discostarsi però dall’impianto normativo; infatti, l’antropologia e la pastoralità, in assenza di coordinate giuridiche che ne dirigano la corretta e prudente applicazione, risulterebbero vane e, in alcuni casi, rischiose per quel fine pro rei veritate che, del processo in questione, ne costituisce l’essenza.

2. L’istruttoria canonica: momento di indagine sulle vicende prematrimoniali

Superato quindi, per quanto possibile, l’errato luogo comune che fa coincidere il giudizio canonico di nullità matrimoniale con una prassi processuale rilassata, attesa la sua valenza antropologica e pastorale, procediamo adesso ad un breve esame relativo alle modalità d’istruttoria.

Partendo dal presupposto che il pnm è per sua natura pro rei veritate e che, pertanto, è impostato sul criterio del raggiungimento della verità oggettiva, appare evidente  che ad essere preso in considerazione non sarà soltanto un segmento del vissuto matrimoniale, dovendosi analizzare altresì la persona nella sua totalità antropologica, attraverso la valutazione delle vicende biografiche e biografiche cliniche[6] di questa. Al contrario, i processi di separazione e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, imperniati sugli eventi post matrimoniali[7] e volti a mettere in risalto soltanto –  in caso di conflittualità tra ex coniugi – l’elemento dell’addebito di colpevolezza, si differenziano diametralmente da quelli di nullità matrimoniale, poiché quest’ultimi non attengono all’aspetto della responsabilità[8], bensì alla sola consapevole presa di coscienza che la volontà matrimoniale sia stata –  già in epoca antecedente alle nozze –  inficiata da un vizio del consenso di una o di entrambe le parti. Alla luce di ciò, si assiste, in campo canonico, ad un mutamento del focus d’indagine probatoria, che non può non tener conto di tutti i risvolti e di tutte le implicazioni più intime che riguardano la persona; non ci si soffermerà quindi su di una comprensione superficiale dei fatti, ma si indagheranno le questioni più profonde, che hanno portato il coniuge all’esclusione di proprietà o elementi essenziali del matrimonio, oppure che l’abbiano indotto a celebrarlo perché compulsato da condizionamenti interni generati –  volendoci attenere al canone sulla Incapacitas Canonica –  da cause di natura psichica. A titolo esemplificativo, rispettivamente per il primo e secondo caso poc’anzi indicati, si pensi alle ipotesi di simulazione totale o parziale (ex can. 1101, 2 cjc) che richiedono non solo l’accertamento della positiva volontà escludente da parte di uno o di entrambi i coniugi, ma necessitano altresì di un esame attento relativo al contesto sociale, culturale e di appartenenza familiare che abbia influenzato le scelte del nubente; oppure, immaginiamo quanto sia ancora più delicato dover affrontare l’indagine processuale analizzando – con l’aiuto di un Perito – problematiche di natura psichiatrica che, in tempo antecedente alle nozze, siano state determinanti, per ragioni di particolare gravità, sulla capacità critica e/o sulla idoneità ad assumere le obbligazioni matrimoniali da parte del soggetto. Cuore dell’istruttoria saranno, quindi, questioni profondamente connesse all’intimità del singolo e, per tal motivo, si esige che gli operatori del Diritto Canonico si approccino e trattino “[…]le cause con la doverosa profondità richiesta dal ministero di verità e di carità che è proprio della Rota Romana. All’esigenza del rigore procedurale, infatti, le summenzionate allocuzioni, in base ai principi dell’antropologia cristiana, forniscono i criteri di fondo non solo per il vaglio delle perizie psichiatriche e psicologiche, ma anche per la stessa definizione giudiziale delle cause”[9].

3. L’esigenza di  completezza nella formazione canonistica 

Orbene, da quanto sopra affrontato, per il conseguimento della certezza morale non appare sufficiente che l’attività istruttoria segua le sole coordinate offerte dal tecnicismo processualistico, dovendo essa essere nutrita anche dal dato umano, fondato su quell’idea di Caritas che, insieme alla Iustitia, ha sempre costituito un binomio inscindibile nell’Ordinamento Canonico. Potrebbe sembrare, quello poc’anzi esposto, un concetto astratto, risultando difficile nell’applicazione pratica riconoscere alla figura del Giudice, terzo, imparziale e equidistante dalle parti, quel quid di prossimità ad esse; in realtà, giova ricordare che, in virtù di quel peculiare ufficio di cui è investito: “ […]il giudice ecclesiastico non solo dovrà tenere presente che l’esigenza primaria della giustizia è di rispettare le persone, ma, al di là della giustizia, egli dovrà tendere all’equità, e, al di là di questa, alla carità”[10]. Bisogna precisare, tuttavia, che per calare correttamente lo spirito pastorale nella prassi processuale, è necessaria non solo una meticolosa conoscenza del diritto, ma anche una formazione su determinate discipline, che garantisca un sano ed equilibrato rapporto di interlocuzione con i soggetti del processo, onde pervenire più efficacemente alla piena convinzione morale.

Ruolo fondamentale, a tal proposito, assume la formazione canonistica, estesa anche a discipline quali l’Antropologia Cristiana, la Psicologia e la Psichiatria[11], che consentono a quanti prestano il proprio servizio nell’ambito della giurisdizione canonica di possedere almeno una conoscenza minima di queste scienze ed avere una visione globale delle problematiche umane, allo scopo di : “[…]coniugare armoniosamente gli aspetti strettamente formali e tecnico-giuridici del processo con la dimensione pastorale del diritto”[12].

4.  Conclusioni

In conclusione, la natura antropologica e pastorale, in ambito processuale, conferisce un valore supremo alla persona più che al fatto naturale in sé, contenendo e decifrando minuziosamente tutti gli aspetti psicologici e personologici, fino a inquadrare globalmente la verità per cui è causa. Un procedimento, dunque, che muove dalla persona al fatto, non già il contrario.

Pertanto, la funzione del processo di nullità matrimoniale non è propriamente quella di giudicare, ma di investigare e per questo: “[…]al giudice è richiesta una maturità umana che si esprime nella serenità di giudizio e nel distacco da vedute personali. Fa parte anche della maturità umana la capacità di calarsi nella mentalità e nelle legittime aspirazioni della comunità in cui si svolge il servizio”[13], perché gli ideali di Caritas e lustitia non siano collocati nell’ambito di una concezione astratta del diritto, ma siano l’espressione concreta di un sistema giuridico prossimo alle vicende umane.

 

 

 

 

 


[1] La formula del dubbio, che definisce i termini della controversia, contiene il capo o i capi di nullità rispetto ai quali si svolgerà l’istruttoria. Tale formula, in corso di causa, potrebbe essere suscettibile di modifiche, e ciò alla luce di nuove emergenze probatorie.
[2] Utilizzeremo il termine parte, al singolare, ma un eventuale vizio del consenso può riguardare entrambi i coniugi.
[3] A tal proposito, dopo una pronuncia affermativa di nullità, la rimozione del vetitum, ossia del divieto di passare a nuove nozze – inconsulto Tribunali o inconsulto Ordinario, a seconda della determinazione in sentenza – è un processo che accerta se la parte sia adesso idonea a celebrare sacramentalmente nuove nozze e se, quindi, abbia maturato la consapevolezza sufficiente  per un matrimonio valido o, nel caso di decisione affermativa per incapacità, tale processo verifica se siano superate eventuali problematiche di ordine psichico che possano ostare a una valida celebrazione.
[4] Utilizzeremo, in corso di trattazione, la forma abbreviata, che sta per processo di nullitá matrimoniale.
[5] Lungaggini, ad esempio, da parte del Giudice nel pronunciare un decreto; da parte del Difensore del Vincolo nello scrivere le Animadversiones o, da parte dell’Avvocato, relative al compimento degli atti che diano impulso alle fasi successive del processo (Istanze, Restrictus finale, Osservazioni et similia).
[6] Nei tre diversi casi di incapacità – ex can. 1095 nn. 1,2,3 cjc –  è fondamentale analizzare anche eventuali problematiche di ordine psichico precedenti alle nozze, risultando importante, a tal proposito, inquadrare la biografia clinica del soggetto, per verificare se, nel suo vissuto, si siano registrate problematiche di natura psichica con caratteri di antecedenza e gravità tali da determinare la nullità del consenso.
[7] Anche nel pnm si analizzano le circostanze successive al matrimonio, ma l’indagine instruttoria muove e si concentra principalmente sulle vicende prematrimoniali.
[8] Si fa riferimento, in questo caso, a come il pnm dovrebbe essere; nell’applicazione pratica, infatti, bisogna riconoscere che – ad eccezione dei processi in cui la domanda di nullità viene presentata congiuntamente da entrambe le parti –  nel Foro Canonico vengono trasfuse, troppo spesso, le dinamiche conflittuali sorte in Foro Civile, pur non avendo tali problematicità talvolta attinenza al petitum e alla causa petendi.
[9] PAPA BENEDICTUS XVI, Alloc. La solenne inaugurazione, 29 ian. 2009, ad Rotae Romanae Tribunal.
[10] S. IOANNES PAULUS PAPA II, All. Come ben sapete, rientrano nella vocazione della Chiesa, 17 feb. 1979, ad Rotae Romanae Tribunal.
[11] Quelle su menzionate sono discipline che vengono affrontate durante il corso triennale tenuto presso lo Studio Rotale, che ha la funzione di formare i futuri Avvocati Rotali, nonché  Giudici, Difensori del Vincolo e Promotori di Giustizia.
[12] Relazione tenuta da S.E. Mons Arellano Cedillo, Decano della Rota Romana, in occasione dell’apertura dello Studio Rotale, nel novembre 2021. 
[13] PAPA FRANCISCUS, Alloc. La dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale, 24 ian. 2014, ad Rotae Romanae Tribunal.

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Avv. Federica Marciano di Scala (Avvocato della Rota Romana - Avvocato Civilista). Nata Napoli il 23.07.1989, si laurea in Giurisprudenza e, intrapresi gli studi presso una delle Pontificie Universitá di Roma, consegue anche la licenza e il dottorato in Diritto Canonico. Abilitata all’esercizio della professione forense, è iscritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Superato il relativo esame di abilitazione, è altresì Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Patrocina in foro civile ed ecclesiastico.

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