Concorso esterno nel delitto di cui all’art. 416 bis c.p.: evoluzione giurisprudenziale

Concorso esterno nel delitto di cui all’art. 416 bis c.p.: evoluzione giurisprudenziale

Una delle questioni di maggior interesse teorico e pratico in tema di reati associativi concerne l’applicazione delle disposizioni generali sul concorso di persone, ai sensi degli artt. 110 e ss. c.p.

Prima di approfondire tale argomento è doveroso effettuare alcune precisazioni.

In diritto penale si ha concorso necessario di persone allorché la fattispecie di reato possa essere realizzata esclusivamente da due o più soggetti, dal momento che è la norma di parte speciale a richiedere, per la sua esistenza, una pluralità di soggetti attivi.

Nell’ambito dei c.d. reati necessariamente plurisoggettivi (o a concorso necessario di persone) si opera il seguente distinguo: reati necessariamente plurisoggettivi propri (o normativamente plurisoggettivi), laddove tutti i concorrenti nel fatto di reato sono assoggettati alla sanzione penale prevista dalla legge (si pensi alle fattispecie di rissa o associazione per delinquere), e reati necessariamente plurisoggettivi impropri (o naturalisticamente plurisoggettivi, ma normativamente monosoggettivi), nell’ipotesi in cui uno o solo alcuni dei concorrenti nel fatto di reato sono assoggettati alla sanzione penale prevista dalla legge (si pensi alla corruzione impropria susseguente).

Per converso, si parla di concorso eventuale di persone, nell’ipotesi in cui un reato può essere realizzato indifferentemente da una o più persone. In quest’ultima ipotesi, il concorso di persone rappresenta – ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa – una mera eventualità.

Tra i reati plurisoggettivi, quelli associativi suscitano indubbiamente maggior interesse teorico e sono oggetto di vasta applicazione giurisprudenziale.

Il paradigma è rappresentato dall’art. 416 c.p., rubricato “Associazione per delinquere”, diretto a punire la creazione di un organismo stabilmente destinato alla sistematica commissione di reati.

La condotta tipica consiste nella predisposizione delle condizioni e dei mezzi necessari all’attuazione del programma criminoso concordato dagli affiliati.

La funzione dell’art. 416 c.p. è, pertanto, quella di anticipare la soglia di tutela penale dei beni giuridici singolarmente protetti dalle figure criminose ad una fase prodromica.

In tal senso, si parla di reato-mezzo posto a tutela dell’ordine pubblico, in quanto tendente ad evitare la commissione di ulteriori reati, c.d. reati-scopo, che non occorre si configurino affinché scatti l’incriminazione per il reato associativo.

In questa sede occorre sottolineare che la fattispecie associativa differisce dal concorso di persone nel reato, per la presenza dei seguenti requisiti: -vincolo associativo, tendenzialmente stabile o permanente tra tre o più soggetti, destinato a perdurare nel tempo, anche successivamente alla realizzazione di ciascun delitto programmato; -indeterminatezza del programma criminoso; -esistenza di una struttura stabile, risultante dall’organizzazione di uomini e mezzi, funzionale a realizzare gli obiettivi criminosi oggetto del programma.

Sempre in tema di reati associativi, è opportuno precisare che il legislatore tende a distinguere, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, la partecipazione semplice da quella qualificata al sodalizio criminale. Di regola, si distinguono la figura del fondatore, del promotore, dell’organizzatore e del capo. La stessa giurisprudenza ha chiarito come a rivestire il ruolo di promotore non sia solo chi ha dato inizio all’associazione, ma anche colui che, a fronte di un sodalizio ben strutturato, provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessa attività di gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Cass. Pen., Sez. VI, 12/12/1995, n. 5301).

Come anticipato in apertura ci si è spesso domandati se e a quali condizioni sia configurabile un concorso ex artt. 110 e ss. c.p. in un’associazione criminosa da parte di soggetti estranei alla stessa, con particolare riferimento alla fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p., rubricata “Associazioni di tipo mafioso anche straniere”.

Con riferimento a tale questione, non desta particolare dibattito il concorso esterno di tipo morale (si pensi al caso dell’anziano boss a riposo che convince il giovane nipote a entrare nell’associazione di tipo mafioso di cui ha fatto parte per una vita).

Dottrina maggioritaria e giurisprudenza ritengono configurabile anche il concorso esterno di tipo materiale, laddove naturalmente sussistano determinati requisiti ritenuti essenziali: -contributo necessario o agevolatore per la costituzione, conservazione o rafforzamento dell’associazione; -condotta atipica rispetto alla fattispecie associativa di parte speciale; -dolo di concorso, consistente nella coscienza e volontà di contribuire alla costituzione, conservazione o rafforzamento dell’associazione.

Nonostante tali indicazioni in merito alla configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso, ad oggi non risultano definiti in maniera esplicita dal legislatore i tratti distintivi dell’istituto in commento rispetto all’effettiva partecipazione al sodalizio criminoso.

Sul tema, si sono a lungo contrapposti due orientamenti contrastanti – il primo ostile alla configurabilità del concorso esterno nel delitto di associazione di tipo mafioso, il secondo incline a tale possibilità – che hanno trovato soluzione nel 1994 con l’intervento delle Sezioni Unite “Sentenza Demitry” (Cass. Pen., Sez. Un., 05/10/1994, n. 16). La Suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, ha chiarito che il partecipe (ergo, l’associato) è colui che fornisce un apporto quotidiano, assiduo, in assenza del quale l’associazione non raggiunge i suoi scopi o, comunque, non li raggiunge con la dovuta speditezza. In altri termini, il partecipe è colui che agisce nella “fisiologia”, nella quotidianità dell’associazione.

Il concorrente, invece, è colui che non vuole far parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a far parte della stessa, ma si rivolge allo stesso sia per colmare eventuali vuoti temporanei in un determinato ruolo, sia, soprattutto, nel momento in cui la “fisiologia” dell’associazione entra in fibrillazione, attraversando una fase “patologica” che, per essere superata, richiede il contributo/apporto temporaneo, limitato anche ad un unico intervento, di un esterno. In altri termini, il concorrente è il soggetto che occupa uno spazio proprio nei momenti di emergenza della vita associativa.

L’anno successivo la Suprema Corte è intervenuta sul tema, chiarendo che, ai fini della configurabilità del concorso esterno nel delitto associativo, il concorrente non deve agire con dolo specifico proprio del partecipe, ossia con la consapevolezza di far parte dell’associazione e la volontà di voler contribuire a tenerla in vita e farle raggiungere gli obiettivi prefissati, bensì con dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell’associazione (Cass. Pen., Sez. Un., 14/12/1995, n. 30).

Parte della giurisprudenza, tuttavia, si è dimostrata avversa rispetto alla configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa. Nello specifico, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha riproposto la tesi negazionista, affermando che l’ausilio apportato all’associazione nella fase di fibrillazione integri, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la condotta del “far parte” del sodalizio criminoso (Cass. Pen., Sez. VI, 21/09/2000, n. 3299).

Sono intervenute nuovamente le Sezioni Unite (sentenza Carnevale) che, nel confermare l’orientamento precedente, hanno introdotto alcuni tratti distintivi della fattispecie in commento.

E’ stato stabilito che il ruolo del partecipe è caratterizzato dall’affectio societatis, mentre il concorrente esterno è colui che, anche al di fuori delle ipotesi di fibrillazione dell’associazione, fornisce un contributo necessario al suo mantenimento o rafforzamento, sorretto da dolo diretto e specifico (Cass. Pen., Sez. Un., 30/10/2002, n. 22327). Con tale ultimo intervento, da un lato si è ampliato lo spazio di operatività della figura al di là delle fasi di crisi dell’associazione, dall’altro se ne sono ristretti i confini sul versante oggettivo e soggettivo, delineando una “para-partecipazione” priva dell’affectio societatis, sia pur manifestata per facta concludentia.

Sul tema, un punto di approdo è rinvenibile nella “sentenza Mannino”, con la quale le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno stabilito che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trova in un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in attuazione del quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’associazione per consentire il raggiungimento delle finalità criminose; mentre assume il ruolo di concorrente esterno il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e, pertanto, privo dell’affectio societatis, fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia comunque diretto a realizzare, anche parzialmente, il programma criminoso della medesima (Cass. Pen., Sez. Un., 12/07/2005, n. 33748). Sotto il profilo soggettivo, le Sezioni Unite si sono allineate a quanto precedente affermato con la sentenza Carnevale, evidenziando la necessità del dolo diretto e specifico anche in capo al concorrente esterno.

Anche la Corte Costituzionale ha recentemente avallato tale orientamento giurisprudenziale in tema di concorso esterno in associazione mafiosa, osservando che “la differenza tra partecipante intraneus all’associazione mafiosa e il concorrente esterno risiede, pertanto, nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur offrendo un apporto causalmente rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento e, sotto il profilo soggettivo, è privo dell’affectio societatis, laddove, per converso, l’intraneus è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo e del programma criminoso in modo stabile e permamente” (Corte Cost., sent., 26/03/2015, n. 48).

Si segnala, inoltre, che con la sentenza della V Sezione Penale del 09/03/2012, la Cassazione è tornata nuovamente sul tema confermando quanto già precedentemente affermato con la “pronuncia Mannino”, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

In particolare, la Corte ha ribadito la natura permanente del reato in questione, che si ravvisa nella “condotta di chi favorisca un accordo … di cui sa e vuole che produca effetti di conservazione e/o di rafforzamento per il sodalizio mafioso”, soffermandosi soprattutto sull’elemento psicologico ed affermando che “ai fini della configurabilità del concorso esterno, occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo il soggetto, nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio”.

Da ultimo, occorre evidenziare che la giurisprudenza si è recentemente pronunciata – ribadendo quanto già affermato precedentemente dalle Sezioni Unite –  in tema di prova dell’efficacia causale del contributo apportato dall’extraneus, “Ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la verifica ex post del contributo causale riconducibile alla condotta atipica del concorrente esterno deve essere apprezzata in relazione alle finalità tipiche dell’associazione, prescindendo dalle condizioni di eventuale fibrillazione o crisi strutturale che rendono ineludibile l’intervento esterno per la prosecuzione della attività” (Cass. Pen., Sez. I, 07.12.2022, n. 49744).

In conclusione, si può affermare che – sebbene la giurisprudenza nel corso degli anni sia approdata ad un orientamento consolidato in tema di configurabilità del concorso esterno nei reati associativi, fornendo indicazioni granitiche sotto diversi profili – sarebbe utile un intervento legislativo volto a delineare con ancor più chiarezza i confini di detto istituto, in maniera tale da agevolare tutti gli interpreti del diritto.


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