Condotta anticoncorrenziale e differenza tra accordo e pratica concordata

Condotta anticoncorrenziale e differenza tra accordo e pratica concordata

Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 luglio 2021, n. 5372

In via generale, nell’ambito dei generali aspetti di anticoncorrenzialità e della sua concreta significanza , è fatto noto che gli appalti ad oggi risultano essere uno dei settori maggiormente esposti a pratiche dunque lesive della concorrenza e vieppiù di una precipuo dettato normativo antimonopolistico: dunque fattori, quali esemplificativamente – e non esaustivamente –  i fenomeni della criminalità organizzata e di infiltrazioni mafiose, che alterano in maniera patologica la concorrenza, danneggiano le imprese e i cittadini onesti, favoriscono l’accumulazione di capitali, fanno aumentare il costo di beni e servizi.

Al fine di riportare il mercato generale, ed in particolare quello afferente l’esecuzione di opere e servizi pubblici, ad una dimensione di legalità, il legislatore italiano ha predisposto contromisure e regole per contrastare le infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici, passando da strumenti repressivi a strumento di tipo preventivo sino ad arrivare a misure che operano prevalentemente sul piano reputazionale[1].

Muovendosi in questa direzione, il legislatore, dopo le prime frammentarie misure, che puntavano esclusivamente sulla repressione di detti comportamenti, ha tentato di incoraggiare le imprese ad assumere comportamenti etici, analiticamente descritti in codici, protocolli di legalità o modelli di organizzazione. In tal modo, si è cercato di innescare un cambiamento culturale capace di colpire la concezione utilitaristica della cosa pubblica, sempre più mossa dal profitto individuale e non dal bene comune[2].

Dal momento che gli strumenti predisposti per contrastare i fenomeni di infiltrazione mafiosa e, più in generale, le condotte criminose, sono strettamente connessi, l’analisi della disciplina degli strumenti introdotti con il Codice, e nello specifico dall’articolo 80 dello stesso, e dagli testi normativi intervenuti in materia non può che essere unitaria; così, esemplificativamente, la disciplina della causa di esclusione alle gare pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 80 non può prescindere dal richiamo alla  documentazione antimafia, al rating di legalità o alla white list, o, ancora, ai protocolli di legalità e ai compliance programs.

Ecco che, nell’alveo degli aspetti di anticoncorrenzialità e dunque dei fattori a pregiudizio del mercato, in via generale, deve ricordarsi che, a norma dell’art. 101, par. 1, Tfue “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”.

L’art. 2 della legge n. 287 del 1990 contiene analoga disposizione, relativamente all’esplicitazione delle casistiche afferenti alle intese restrittive della libertà di concorrenza che conducono alla nullità ad ogni effetto delle “intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”.

La giurisprudenza ha posto rilevanza sulla diversità esistente tra l’accordo e la pratica concordata: il primo si rileva quando le imprese hanno espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, mentre la seconda si verifica quando si realizza una forma di coordinamento fra imprese che “senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza” (Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2018, n. 3197). È evidente come la figura dell’accordo sia rara nella prassi in quanto “gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti o accordi verbali espressi e ricorrendo, invece, a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto”. Per queste ragioni la giurisprudenza, “consapevole della rarità dell’acquisizione di una prova piena, ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti” (Cons. Stato, sez. VI, n. 3197 del 2018; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).

Circa la specifica posizione della società ricorrente, deve precisarsi sin da ora che nelle fattispecie di intesa anticoncorrenziale, risulta superfluo, al fine dell’”an” della responsabilità, indagare se il singolo partecipante all’intesa abbia avuto un ruolo maggiore o minore, attivo o addirittura meramente passivo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3013 e 18 maggio 2015, n. 2513).

Inoltre, per consolidata giurisprudenza, un’intesa restrittiva della concorrenza integra una fattispecie di pericolo, nel senso che il vulnus al libero gioco della concorrenza può essere di natura soltanto potenziale e non deve necessariamente essersi consumato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032 e 24 ottobre 14, nn. 5274, 5275, 5276, 5277, 5278)[3].

 

 

 

 


[1] Si veda Armao G., Brevi considerazioni su informativa antimafia e rating di legalità ed aziendale nella prevenzione delle infiltrazioni criminali nei contratti pubblici, in Ambientedirito.it, 2016.
[2] In tal senso Mancuso G., Profilo pubblicistico del diritto romano, Catania, 2002, 45 e ss.
Vedasi anche, Martina L.P., Requisiti di moralità ai fini della partecipazione alle gare d’appalto. Tra diritto interno e principi comunitari, in Diritto Civile Professional, 2019, 65 e ss.
[3] Sul punto, vedasi: https://www.sentenzeappalti.it/2021/07/23/gravi-illeciti-professionali-condotta-anticoncorrenziale-differenza-tra-accordo-e-pratica-concordata-art-80-d-lgs-n-50-2016/

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Luigi Piero Martina (Lecce, 1992). Laureato con 110 e lode in Giurisprudenza (con qualifica Summa cum Laude) presso la Pontificia Università Lateranense, con pubblicazione scientifica di Tesi di Laurea a carattere sperimentale. Laureato con il massimo dei voti in Operatore Giuridico di Impresa, del Lavoro e delle Pubbliche Amministrazioni, con pubblicazione scientifica di Tesi di Laurea in materia di contrattualistica pubblica. Laureando in materie economiche e Avvocato Comunitario. Dipendente del Sovrano Militare Ordine di Malta. Ex Segretario e Tesoriere dell’Associazione Internazionale Lateranense della Pontificia Università Lateranense ed ex Consulente Professionale presso la Fondazione “Civitas Lateranensis” . Ex Consulente Professionale presso la Cattedra di Filosofia e Storia delle Istituzioni Europee della Pontificia Università Lateranense. Autore scientifico ed ex Tutor Accademico presso la succitata università. Componente dell'Osservatorio di Studi sulla Dualità di Genere della Pontificia Università Lateranense. Membro del Gruppo Interdisciplinare di Ricerca in Neurobietica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Responsabile Qualità Accademica della Scuola di Alta Formazione e Studi Specializzati per Professionisti.

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