Confisca e prescrizione del reato: dalla Riforma alle Sezioni Unite n. 13539/2020

Confisca e prescrizione del reato: dalla Riforma alle Sezioni Unite n. 13539/2020

Sommario: 1. Introduzione: prescrizione e riforma – 2. Confische e prescrizione – 3. Sezioni Unite n. 13539/2020 e confisca urbanistica

 

 

1. Introduzione: prescrizione e riforma

La prescrizione è un istituto di natura sostanziale che incide sulla punibilità di fatti penalmente rilevanti. Si tratta, forse, di uno degli istituti più discussi, perché capace di esprimere – più di altri – una visione di politica criminale nel sistema. La ratio della prescrizione, infatti, consiste nell’assegnare allo Stato un termine per la punizione dei reati, cosicché, decorso inutilmente quel termine, l’inerzia dell’Autorità si traduce nella pretesa del cittadino a non essere condannato ovvero a ottenere la cessazione del procedimento penale a suo carico. La natura sostanziale dell’istituto è stata di recente ribadita dalla Corte costituzionale nella sentenza celebre Taricco, nella quale la Corte ha specificato che la disciplina della prescrizione non può essere modificata in modo retroattivo, stante il suo assoggettamento al principio di cui all’art. 25 Cost.

Come si è accennato, la scelta di come regolamentare della prescrizione è fortemente espressiva di una visione politica-criminale. Una disciplina che assegni tempi brevi alla prescrizione del reato è, di norma, indice di una concezione iper-garantista, che vuole sottrarre il cittadino dal pericolo di essere sottoposto a indagini e a procedimenti lunghi e dispendiosi; una disciplina che “allunghi” la prescrizione, invece, assegna priorità all’interesse di punire fatti socialmente pericolosi, eliminando il rischio che un accertamento penale complesso possa essere posto nel nulla dall’improvviso intervento della prescrizione (si pensi a processi intricati che, al limitare della sentenza definitiva, si prescrivano).

Su questa seconda direttrice si è gradualmente assestato il legislatore negli ultimi anni.

In un primo momento, con la riforma Orlando, alla prescrizione del reato è stato posto un argine, attraverso un articolato sistema di sospensioni. La riforma prevedeva che il tempo necessario a prescrivere si sospendesse quando l’imputato fosse stato condannato in primo grado e/o in appello. Questo sistema consentiva, una volta accertata in modo non definitivo la colpevolezza, di evitare che la prescrizione intervenisse in attesa del successivo grado di giudizio. Si voleva affrontare, così, una circostanza tanto frequente quando allarmante: che l’imputato già condannato presentasse appello e, nelle more dell’appello stesso, approfittasse della prescrizione incipiente, “facendola franca”. Allo stesso tempo, la riforma Orlando garantiva all’imputato che fosse stato poi prosciolto di “ricomputare” a suo vantaggio il periodo di sospensione della prescrizione: in questa maniera, la riforma voleva bilanciare, da una parte, l’esigenza dello Stato di accertare e punire i reati e, dall’altra, la presunzione di innocenza e il diritto del cittadino non colpevole di sottrarsi al peso del processo penale.

Nel 2018, la riforma c.d. Spazza-corrotti è intervenuta a ritoccare la prescrizione su due aspetti: in primo luogo, introducendo un’ipotesi ‘allargata” di sospensione del tempo necessario a prescrivere il reato; in secondo luogo, slegando dalla prescrizione l’applicazione delle confische e delle statuizioni civili (ossia, i capi della sentenza che si pronunciano sulle pretese delle c.d. parti civili).

In ordine, quindi, la riforma Spazza-corrotti ha previsto che la prescrizione cessa di decorrere quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata sentenza di condanna, anche solo in primo grado. Sull’altro versante – di cui qui ci si occupa – la riforma consente di disporre la confisca anche nei casi in cui il reato presupposto sia prescritto. A tal scopo, il legislatore è intervenuto modificando l’art. 578-bis c.p.p.

2. Confische e prescrizione

Le confische sono misure di natura ibrida, oggetto di forte dibattito nell’ordinamento e internazionale. In generale, si tratta di sanzioni formalmente non penali, che vengono disposte dal giudice all’esito dell’accertamento della responsabilità dell’imputato. Con la confisca viene sottratto all’imputato il possesso di determinati beni, i quali sono acquisiti al patrimonio della collettività.

Possono distinguersi tre tipi di confische. Con la confisca ordinaria, il giudice ordina, in caso di condanna, la confisca delle cose che servirono per commettere il reato o che ne costituiscono il prezzo o il profitto (art. 240 c.p.). Sussiste, in questa ipotesi, un collegamento diretto fra il bene confiscato e il reato: si pensi all’arma usata per commettere il delitto o al denaro oggetto di rapina o, ancora, al reddito realizzato mettendo a frutto un bene sottratto illecitamente. Tale confisca non ha natura penale, ma preventiva: mira, cioè, a neutralizzare il rischio del compimento di reati futuri, anche assicurando che il colpevole non tragga vantaggio dal fatto commesso (c.d. misura di sicurezza).

Accanto a queste, l’ordinamento prevede la c.d. confisca per equivalente e confisca allargata o per sproporzione. Nel primo caso, oggetto dell’esproprio non è il bene strumentale al compimento del reato, ma una somma pari al prezzo o al profitto conseguito dal reo: per questo, è detta anche confisca per valore. Lo scopo della confisca è perciò quello di evitare che il colpevole si arricchisca a causa del reato, colpendo il suo patrimonio e non il bene in sé, usato per il delitto. Per questi motivi, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha riconosciuto alla sanzione una funzione lato sensu punitiva (con conseguenze in tema di irretroattività, legalità e garanzie processuali). Tipica confisca per equivalente è quella prevista dall’art. 322-ter, in materia di reati contro la p.a. In questi casi, la confisca per valore si presta a garantire, ad esempio, che il pubblico ufficiale corrotto non si assicuri l’utilità ricevuta dal corruttore, traendo vantaggio dal reato.

Altra forma di confisca è quella c.d. allargata. Si tratta di confische collegate soprattutto a reati di criminalità organizzata o a reati tributari: in queste ipotesi, l’ordinamento presume che redditi o somme sproporzionate rispetto all’attività del reo siano frutto di reato, sempreché il colpevole non ne possa giustificare la diversa provenienza (art. 240-bis c.p.). È evidente che questa misura ha natura ed effetto deterrente e afflittivo, nel senso che tende a sottrarre proventi che con alta probabilità sono il risultato di un’attività illecita difficilmente tracciabile. Non avrebbe senso, in questi casi, limitare l’esproprio ai soli beni direttamente strumentali o ai beni finali del reato. Si pensi alle varie operazioni di riciclaggio, intestazione fittizia etc. finalizzati a dissimulare la provenienza illecita dei profitti.

Con riferimento alle confische giudiziali, la novella dell’art. 578-bis c.p.p. stabilisce che “Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322 ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”. Con la disposizione, il legislatore si allinea all’interpretazione della Corte europea dei diritti, secondo cui la confisca può essere applicata anche laddove il reato sia prescritto e, di conseguenza, l’imputato sia assolto, purché ricorrano tre condizioni: in primis, deve essere accertato il fatto materiale, ossia la condotta che integra il reato (prescritto); in secundis, deve sussistere l’elemento soggettivo della colpevolezza del(l’ex) imputato; infine, l’accertamento deve essere il risultato di un “giusto procedimento”, al quale il colpevole abbia potuto partecipare con ogni garanzia (v. Corte EDU, sent. G.I.E.M. e altri c. Italia, in tema di confisca urbanistica, di cui infra).

La norma richiama la confisca per sproporzione (prevista dall’art. 240 bis c.p. e “da altre disposizioni di legge”) e la confisca per valore o per equivalente (art. 322 ter c.p.); in tal modo, l’art. 578-bis cit. svincola l’applicabilità della confisca dalla responsabilità penale. Basta, cioè, che il fatto colpevole si sia sostanzialmente verificato, indipendentemente dalla circostanza che il reato sia estinto per prescrizione. In altre parole, la prescrizione non elimina del tutto le conseguenze del fatto criminoso.

Sennonché, la norma pone due problemi: il primo riguarda la possibilità che il giudice, una volta dichiarata la prescrizione, prosegua il giudizio al solo fine di accertare il fatto ai fini della confisca; il secondo concerne la possibilità di inquadrare la confisca come misura punitiva (ossia come pena), con la conseguente impossibilità di pronunciare condanna, anche ai soli fini dell’esproprio, in quanto la pena è inapplicabile in assenza di reato.

3. Sezioni Unite n. 13539/2020 e confisca urbanistica

Al primo problema hanno risposto le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la recente sentenza di aprile.

La questione affrontata dal giudice di legittimità riguarda la c.d. confisca urbanistica, ossia la confisca disposta dal giudice penale all’esito dell’accertamento del reato di lottizzazione abusiva.

Si ha lottizzazione abusiva quando si procede al frazionamento di un terreno destinato all’edificazione, in assenza o in difformità dalle previsioni urbanistiche (legge urbanistica, piani generali di governo del territorio, piani regolatori, titoli abilitativi edilizi). In queste ipotesi, troverebbe applicazione l’art. 578-bis c.p.p., nel senso che, in caso di prescrizione del reato, il giudice ha il potere di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite (art. 44, DPR n. 380/2001, c.d. T.U. edilizia). L’art. 578-bis cit. si riferisce, infatti, ai casi particolari di confisca previsti da “altre disposizioni di legge”, fra le quali rientrerebbe l’art. 44 cit.

L’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite chiedeva, tuttavia, se, in caso di prescrizione, il giudice possa proseguire il giudizio al solo fine di accertare la sussistenza del fatto, al fine di decidere sulla confisca, ovvero se, una volta intervenuta la prescrizione, il giudice debba pronunciare l’estinzione del reato e cessare ogni altra attività.

Un simile dubbio sorge dalla formulazione dell’art. 578-bis c.p.p., il quale prevede che “il giudice di appello o la corte di cassazione” decide sull’impugnazione ai fini della confisca. Da ciò si evince che vi sia già stata almeno una sentenza di primo grado che ha accertato l’avvenuta lottizzazione. D’altra parte, però, la ratio della riforma imporrebbe di pronunciarsi sulla confisca nonostante la prescrizione.

Secondo la Suprema Corte, né l’interpretazione costituzionale, né quella della CEDU possono escludere che anche il giudice di primo grado abbia il potere di procedere all’accertamento ai fini della confisca, in presenza di reati prescritti. Non osterebbero infatti né gli artt. 25 e 27 Cost., né l’art. 7 CEDU. La risposta al quesito va cercata, invece, nell’art. 129 c.p.p. La norma prevede, infatti, l’obbligo di immediata declaratoria delle “cause di non punibilità” in ogni stato e grado del giudizio: il giudice, dunque, deve immediatamente disporre il proscioglimento dell’imputato o dell’indagato, laddove intervenga una causa di non punibilità, quale è la prescrizione.

Secondo la Corte, questa norma risponde a due esigenze: una di favore nei confronti dell’imputato, il quale ha interesse di vedere cessata ogni attività di indagine o processuale nei propri confronti, laddove emerga che non è più perseguibile penalmente; un’altra di economia processuale, che impone la cessazione immediata di attività procedimentali dispendiose divenute inutili, a seguito della prescrizione. In questa ricostruzione, la continuazione del giudizio anche ai soli fini della confisca contrasta con la logica della norma.

In seconda battuta, il riferimento a “ogni stato e grado” del giudizio denota che la declaratoria deve essere immediata e incondizionata.

Da un punto di vista sistematico, poi, la Corte richiama l’art. 578-bis cit., che, nel fare riferimento a ogni caso di confisca previsto da “disposizioni di legge”, introduce un principio in forza del quale solo il giudice di appello e quello di legittimità possono pronunciarsi sul reato prescritto ai fini esclusivi della confisca: perciò la statuizione sulla confisca presuppone che vi sia già stato un accertamento di colpevolezza. Di converso, va escluso che il giudice di primo grado possa compiere accertamenti quando sia intervenuta la prescrizione nel corso delle indagini, o dell’udienza preliminare o del dibattimento (cioè prima o a prescindere da una pronuncia sulla responsabilità).

Occorre poi esaminare il secondo comma dell’art. 129 c.p.p. Secondo la norma, il giudice non pronuncia l’immediato proscioglimento per intervenuta prescrizione quando vi sia evidenza che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l’imputato non lo ha commesso ovvero che il fatto non sia previsto dalla legge come reato. In altre parole, se vi è evidenza, il giudice deve preferire la formula di assoluzione piena, invece del proscioglimento per prescrizione, perché la prima risulta più favorevole all’imputato/indagato (si pensi anche solo alle implicazioni sociali di una assoluzione “perché il fatto non sussiste” rispetto a un proscioglimento per prescrizione o per amnistia). Ebbene, sarebbe illogico pensare che il giudice debba derogare in meglio all’obbligo di cui al primo comma solo quando non sono necessari ulteriori accertamenti, mentre possa derogare sempre in peggio a tale obbligo, per accertare fatti che portino all’applicazione della confisca.

Da qui, il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, secondo le quali «la confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 può essere disposta anche in presenza di un causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.1 c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento» (S.U. sent. 13539/2020).


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Simone Risoli

Gennaio 1991, Avvocato, laureato nel 2015 presso l'Università degli Studi di Milano, già tirocinante presso le sezioni civili e penali del Tribunale di Milano e la Prima Corte di Assise, cultore della materia presso il Dipartimento Beccaria dell'Università degli studi di Milano, già collaboratore presso la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

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