Contrasto all’usura ed interessi moratori: la soluzione delle Sezioni Unite

Contrasto all’usura ed interessi moratori: la soluzione delle Sezioni Unite

Cass. civ., Sez. Un., sentenza 18 settembre 2020, n. 19597, Pres. Mammone, Rel. Nazzicone

Con ordinanza interlocutoria del 22 ottobre 2019, n. 26946, la prima Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso all’esame delle Sezioni Unite la questione relativa al rapporto tra interessi di mora e disciplina dell’usura.

Si tratta di una tematica che per molto tempo ha visto contendersi il campo tra una tesi restrittiva che negava l’applicazione della normativa antiusura agli interessi moratori, restringendone quindi la portata ai soli interessi corrispettivi, ed una estensiva che, viceversa, riteneva applicabile la suddetta disciplina ad ogni tipologia di interesse prevista dalla legge.

Al riguardo, con la sentenza dello scorso 18 settembre, n. 19597, le Sezioni Unite, accogliendo la predetta tesi estensiva, hanno affermato che la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori svolgendo alcune altre riflessioni dalla rilevante portata sistematica.

Il procedimento nell’ambito del quale le SS.UU. sono intervenute ha preso avvio a seguito di opposizione da parte di A.P., cliente della banca S.C.B. SpA, al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Genova aveva intimato alla stessa il pagamento della somma di 18.500,94€, oltre interessi al 17,57%, dovuti a titolo di rate insolute, capitale residuo, interessi moratori e penale, relativi ad un finanziamento concesso con un contratto di credito al consumo.

Con sentenza del 2 giugno 2008, il Tribunale di Genova aveva accolto in parte l’opposizione e, il 30 luglio 2014, la Corte di Appello di Genova aveva rigettato l’impugnazione presentata dalla S.C.B. SpA; avverso la predetta sentenza aveva proposto ricorso per Cassazione la S.C.B. SpA soccombente in appello.

L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite ha raggruppato i diversi motivi di impugnazione intorno a tre questioni: a) la retroattività o meno della risoluzione del contratto da cui dipende l’obbligo della debitrice di corrispondere la quota di interessi compresa nelle rate insolute; b) l’applicabilità o meno della normativa antiusura agli interessi moratori e la conseguente rilevanza dell’avvenuto superamento del tasso soglia; c) l’inefficacia o meno della clausola contrattuale che stabiliva il tasso degli interessi moratori, in quanto avente carattere vessatorio, se non costituente il frutto di una specifica trattativa.

Nella trattazione che segue, si prenderanno le mosse dai singoli principi di diritto enucleati dalla Corte di Cassazione e si procederà all’analisi delle varie tesi contrapposte di cui la Corte ha composto il contrasto.

1) “La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”.

Il primo quesito risolto dalle SS.UU. riguarda la già richiamata questione dell’applicabilità della disciplina legislativa in materia di usura agli interessi di mora.

Sul punto, sono state registrate due diverse impostazioni ermeneutiche.

Stando ad un primo orientamento restrittivo, che ha trovato una vasta eco sia in giurisprudenza, sia in dottrina che nelle pronunce dell’ABF, diversi sarebbero gli argomenti a sostegno dell’applicabilità della normativa antiusura ai soli interessi corrispettivi e non anche agli interessi moratori.

Vi è, innanzitutto, un argomento di ordine letterale: l’art. 1815 co. 2 c.c. si riferisce agli interessi di cui all’art. 644 co. 1 c.p., modificato dalla L. 108/1996, che, a sua volta, incrimina chi si fa “dare o promettere” interessi usurari “in corrispettivo di una prestazione di denaro”; parimenti, alla stessa conclusione dovrebbe pervenirsi con riferimento alla lettera della norma di interpretazione autentica della L. 108 cit., il D.L. 394/2000 (conv. L. 24/2001) che pone l’inciso “a qualunque titolo” dopo le parole “promessi o convenuti”, non immediatamente dopo il termine “interessi”, dovendosi quindi riferire ai costi accessori del credito convenuti dalle parti “a titolo” di commissioni, remunerazioni o spese; il D.L. 185/2008 (conv. L. 2/2009) poi, nel dettare disposizioni sulla commissione di massimo scoperto (storica) all’art. 2-bis co. 2 ha affermato che, ai fini delle norme penali e civili sull’usura, rilevano solo gli interessi, le commissioni e le provvigioni che derivano da una qualunque clausola che prevede una remunerazione a favore della banca, dipendente dalla durata effettiva di utilizzo del credito, con palese riferimento agli interessi moratori.

Una diversa tesi estensiva si è posta in linea critica rispetto tale assunto sulla scorta di altrettante argomentazioni di ordine letterale derivanti dalla lettura delle medesime disposizioni normative. Stando a tale impostazione, accolta anche recentemente dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. 17 ottobre 2019, n. 26286; Cass. 13 settembre 2019, n. 22890; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27442; Cass. 6 marzo 2017, n. 5598; Cass. 4 aprile 2003, n. 5324), gli artt. 1815 co. 2 c.c., 644 co. 4 c.p., 2 co. 4 L. 108/1996, 1 co. 1 L. 394/2000 conv. in L. 24/2001 non distinguerebbero tra tipi di interesse, anzi parlando di pattuizione “a qualsiasi titolo” non sembrano assolutamente volersi riferire ai soli interessi corrispettivi; l’apertura apportata dal D.L. 185/2008, art. 2 co. 2-bis, in materia di commissione di massimo scoperto dovrebbe poi indurre a ritenere che tra le voci confluenti nel tasso effettivo globale medio (TEGM) vi sarebbero anche gli interessi moratori.

Altro argomento sul quale si appuntano le due diverse tesi in esame è di tipo storico: la tesi estensiva mette in luce che nei lavori preparatori alla L. 24/2001 si afferma che con “usurarietà dell’interesse” si intendeva fare riferimento ad ogni tipo di interesse, ma i sostenitori della opposta tesi affermano che i lavori preparatori non hanno valore normativo, ma, al massimo di tenue indirizzo ermeneutico.

L’impostazione restrittiva fa leva poi su un ulteriore argomento relativo alla funzione degli interessi ed afferma che gli interessi corrispettivi si distinguono giuridicamente dagli interessi moratori, avendo i primi la funzione di remunerare il concedente, ad esempio una banca, dell’utilizzo del proprio denaro che fa il cliente; diversamente, gli interessi moratori hanno una funzione risarcitoria: di essi si occupa specificamente l’art. 1224 c.c. che afferma che gli interessi di mora sono dovuti dal giorno della mora e rappresentano risarcimento del danno conseguente al ritardo a alla mancata restituzione del denaro al concedente.

A diversa conclusione giungono i fautori della tesi estensiva che parlano di una sostanziale omogeneità di funzione degli interessi corrispettivi e moratori: in entrambi i casi si tratterebbe di una remunerazione a fronte dell’utilizzo da parte di un soggetto di denaro altrui, con la differenza che, mentre l’interesse corrispettivo remunera il denaro di cui concedente non ha goduto per sua volontà, gli interessi moratori ripagano il creditore per non aver goduto del proprio denaro involontariamente, a causa cioè dell’inadempimento del debitore.

Accanto a tale argomento ve ne sarebbe un altro simile di ordine storico: secondo i sostenitori della tesi estensiva, a sostegno della omogeneità di funzione tra interessi corrispettivi e moratori, la differenza tra i due sarebbe sorta storicamente solo al fine di aggirare il divieto canonistico di pattuire interessi e la duplicazione normativa tra le due tipologie di interesse, rispettivamente previsti agli artt. 1284 e 1224, dipende solamente dalla unificazione dei codici civile e del commercio.

Al contrario, la tesi restrittiva non dà rilievo ad alcuna argomentazione storica, rilevando come il dato normativo positivo preveda esplicitamente due diverse tipologie di interesse.

Altro tema riguarda poi la ratio della disciplina antiusura e, in particolare della L. 108/1996. La tesi che nega l’applicabilità della suddetta normativa anche agli interessi moratori sostiene che il fondamento di tale disciplina si rinviene nella volontà del legislatore di garantire il corretto funzionamento del mercato attraverso la repressione di condotte devianti, nell’interesse di ogni operatore, al fine di tutelare la stabilità del sistema.

In parte simili sono le conclusioni cui perviene la tesi estensiva. Anche in questo caso si sostiene che la ratio della normativa antiusura si rinviene non tanto nella necessità di calmierare o livellare il mercato del credito mantenendo “basso” il costo del denaro. Invero, la necessità avvertita dal legislatore sarebbe quella di assicurare il corretto svolgimento delle attività economiche: tali sforzi legislativi, si afferma, sarebbero vanificati ove si escludessero dall’ambito di applicazione normativo gli interessi di mora.

Ulteriormente, i fautori della tesi valorizzano la previsione di cui all’art. 1284 co. 4 c.c.: secondo la norma in parole, se “le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”: essendo, invero, sovente il tasso della disciplina speciale, di cui al D. Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 superiore al tasso-soglia usurario, allora, ai fini dell’usura, non possono rilevare gli interessi moratori convenzionali, perchè, altrimenti, la norma ammetterebbe una “usura legale”.

Di diverso avviso sono i sostenitori della opposta tesi estensiva secondo cui tale norma non sarebbe dirimente in quanto avrebbe una diversa funzione sanzionatorio/deflattiva a carico del debitore inadempiente, per i casi in cui l’inadempimento perseveri dopo la proposizione della domanda giudiziale e non discende dalla semplice mora.

Infine, come si avrà modo di approfondire anche in seguito, le due tesi ritengono entrambe di trarre fondamento dalla circostanza che i varii decreti ministeriali con cui si determina il tasso-soglia usurario (TSU) non abbiano mai inserito gli interessi moratori in tale rilevazione.

Tuttavia, mentre i sostenitori della tesi restrittiva, in maniera piana, sostengono che tale mancata rilevazione avvalori il fatto che gli interessi moratori sono estranei alla disciplina dell’usura, la tesi avversa ritiene di poter affermare che ciò non ha alcun rilievo ermeneutico, dato che la disciplina secondaria non è costituisce un vincolo alle interpretazioni giurisprudenziali delle norme.

Ne consegue che, mentre i sostenitori della tesi estensiva escludono in radice la cogenza del c.d. principio di simmetria, la tesi restrittiva afferma l’applicabilità di questo principio, già previsto in materia di commissione di massimo scoperto, anche in tema di interessi di mora.

Ebbene, è nel solco di questo contrasto che si collocano i principi enucleati dalle Sezioni Unite sopra riportati.

La Corte rinnega innanzitutto la portata dirimente dell’argomento letterale: nessuna delle tue tesi si ritiene essere avvalorata dagli argomenti che fanno leva sulla littera legis in quanto in nessuno dei due casi vi sono indici univoci. Parimenti, l’argomento storico non è attendibile alla luce del fatto che il legislatore muta nel tempo ed in nessun caso un legislatore successivo è tenuto a porsi in continuità con le scelte del passato. Anche l’argomento relativo alla omogeneità o meno della funzione degli interessi deve essere respinto alla luce del fatto che questo è meramente descrittivo e non ordinante. Infine, la questione della mancata rilevazione del tasso di mora nel TEGM da parte dei decreti ministeriali costituisce un evento solamente accidentale privo di valenza ermeneutica.

La Corte di Cassazione afferma quindi che, in definitiva, il criterio-guida è costituito dalla ratio del divieto di usura e dalle finalità che con esso il legislatore ha voluto perseguire.

I supremi Giudici riconoscono che entrambe le tesi sopra esposte riferiscono di una finalità di tutela del soggetto finanziato.

Se questa è la ratio della normativa di contrasto all’usura messa in luce dalle Sezioni Unite, i Giudici si preoccupano di affermare che la suddetta disciplina, che consente al giudice un accertamento condotto in relazione al tasso-soglia, è molto diversa da quella offerta dall’art. 1384 c.c. e dalla possibilità per il giudice di rilevare la eccessività della clausola penale pattuita e la sua riconduzione ad equità anche d’ufficio: sul punto, si sottolinea la maggiore incisività della disciplina antiusura che, rapportandosi con cifre e tassi legalmente determinati, non consente a ciascun giudice di fare una propria valutazione su una eventuale sproporzione avuto riguardo anche alla causa in concreto del contratto.

L’esigenza primaria seguita dal legislatore è quindi quella di “non lasciare il debitore alla mercè del finanziatore”, cui segue l’esigenza di repressione della criminalità economica, di direzione del mercato creditizio e di stabilità del sistema bancario ed è alla luce di ciò che si spiega anche la severità palesata dalla disciplina del contratto di mutuo all’art. 1815 co. 2 c.c.

Dal rilievo secondo cui la disciplina antiusura ha la finalità di tutela esposta, stando alla soluzione delle Sezioni Unite, ne consegue che la disciplina antiusura non può non applicarsi anche agli interessi moratori.

2) “La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perchè “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto“.

3) “Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista.

Tale affermata riconduzione, si legge al paragrafo n. 7) della sentenza, richiede la soluzione di plurime questioni, relativa innanzitutto alla modalità di determinazione di un TSU che tenga conto anche degli interessi moratori.

Come è noto, il TSU è il valore che si ottiene sommando al TEGM, determinato periodicamente dalla Banca d’Italia, il suo stesso 25% più quattro punti percentuali. La questione problematica riguarda il fatto che la Banca d’Italia, nella propria rilevazione periodica del TEG medio, non inserisce gli interessi moratori.

Cionondimeno, affermano le Sezioni Unite, la suddetta mancata indicazione non preclude l’inclusione della disciplina antiusura agli interessi moratori.

Al riguardo, le Sezioni Unite prendono una posizione molto netta: il principio di simmetria è un principio cogente che deve trovare applicazione anche con riferimento agli interessi moratori. Tuttavia, per superare la problematica della mancata indicazione di questi nel TEGM, la Corte afferma che i decreti ministeriali che determinano il tasso-soglia superato il quale il contratto si intende usurario con la conseguente applicazione delle sanzioni civili e penali sono comunque applicabili ove ne contengano la rilevazione statistica.

La Corte riferisce che il rispetto del principio di simmetria è, infatti, una vera e propria esigenza fatta propria dalle SS.UU. con la sentenza 16303/2018 in materia di CMS e che tale esigenza “ben può essere soddisfatta mediante il ricorso ai criteri oggettivi e statistici contenuti nella rilevazione ministeriale, ove essa indichi i tassi medi degli interessi moratori praticati dagli operatori professionali”; nel consegue quindi che “le rilevazioni della Banca d’Italia sulla maggiorazione media, prevista nei contratti del mercato a titolo di interesse moratorio, possono fondare la fissazione di un c.d. tasso-soglia limite” che comprenda anche l’interesse moratorio.

Ove poi i decreti non rechino l’indicazione della maggiorazione media degli interessi moratori, ai fini del rispetto del principio di simmetria rimane, quale termine di confronto, il TEGM rilevato.

4) “Si applica l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti”.

La conseguenza della conclusione secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alla disciplina volta al contrasto dell’usura è la piena applicabilità dell’art. 1815 co. 2 c.c. ma, afferma la Corte, in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro.

In particolare, il Collegio ha voluto fornire una interpretazione specifica della norma richiamata in virtù della quale, pur sanzionando la pattuizione di interessi usurari, non discenda la completa gratuità del contratto.

Invero, la S.C. ritiene di dover interpretare l’art. 1815 co. 2 c.c. nei termini che seguono: “ove l’interesse corrispettivo sia lecito e il solo calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; ma resta l’applicazione dell’art. 1224 comma 1 c.c., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti”.

In altri termini, stante il superamento del TSU dei soli interessi moratori, il contratto di mutuo non diviene automaticamente gratuito, ma la sanzione della non debenza riguarderà solo gli interessi illeciti (perché usurari), mentre gli altri continueranno ad essere dovuti e ciò perché la nullità della clausola sugli interessi moratori usurari non porta con sé anche la nullità degli interessi corrispettivi: pertanto, se gli interessi corrispettivi sono stati lecitamente pattuiti, non vi sono ragioni di ostacolo alla debenza degli interessi moratori in minor misura, ex art. 1224 c.c.

La Corte afferma che tale conclusione è avallata anche dalla normativa eurounitaria, nonché dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia UE dacchè l’esigenza di assicurare la coerenza e non contraddittorietà dell’ordinamento nazionale con il diritto UE “come vive dalle interpretazioni rese ad opera della CGUE che più volte è stata adita in via pregiudiziale con riguardo alle direttive in materia di consumatori”.

5) “Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento”.

6) “Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f) e art. 36, comma 1 codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.”.

7)”L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto”.

Sotto il profilo del regime processuale, la Corte afferma che l’interesse ad agire del finanziato sussiste anche in corso di rapporto e non solo al momento della pattuizione o in caso di risoluzione.

Tuttavia, ove si verifichi la risoluzione per inadempimento del debitore, la regola generale in materia di risoluzione del contratto impone che questa operi soltanto per il futuro (1458 c.c.) e che quindi, se sono dovuti interessi al momento della risoluzione, questi dovranno essere corrisposti anche dopo la risoluzione. Da ciò ne consegue che, se in tal sede venga sollevata la questione circa l’usurarietà degli interessi moratori dovuti, il superamento del tasso-soglia deve essere vagliato raffrontando il tasso de quo con gli interessi in concreto applicati dopo l’inadempimento.

Le Sezioni Unite, quindi, enunciano la regola in materia di ripartizione dell’onere probatorio a carico delle parti nelle controversie sulla debenza e misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c.

Il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del TEGM nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, la banca dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto: fra di essi, la pattuizione negoziata della clausola con il soggetto sebbene avente la veste di consumatore, la diversa misura degli interessi applicati o altro.

Ove, infine, il finanziato rientri nella nozione di consumatore si applicherà la disciplina prevista dal Codice del Consumo e, in special modo, quella prevista in materia di clausole vessatorie.


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