Cooperazione giudiziaria ed azione di contrasto alla tratta di esseri umani

Cooperazione giudiziaria ed azione di contrasto alla tratta di esseri umani

Sommario1. Il ruolo della cooperazione giudiziaria nella lotta al crimine transnazionale – 2. La tratta degli esseri umani: evoluzione del fenomeno e della relativa nozione giuridica – 3. Le norme di diritto internazionale e gli strumenti convenzionali di prevenzione e repressione della tratta degli esseri umani – 4. Le strategie e gli strumenti normativi comunitari in tema di tratta di persone – 5. La legislazione italiana sul fenomeno della tratta degli esseri umani – 6. Rilievi conclusivi

1. Il ruolo della cooperazione giudiziaria nella lotta al crimine transnazionale

L’unificazione dei mercati e la globalizzazione della società hanno avuto indubbiamente ripercussioni positive sull’intera civiltà, ma hanno anche, seppur indirettamente, determinato l’assunzione di una dimensione transnazionale della criminalità[1].

Il processo di globalizzazione e la graduale presa di coscienza dell’affievolimento dei confini nazionali favorendo la creazione di reti operative che superano i confini locali e la realizzazione di traffici illeciti e delitti non più esclusivamente su scala nazionale ma sovranazionale[2], ha permesso che, nel corso degli anni, la criminalità organizzata assumesse una dimensione transnazionale[3]. La globalizzazione, infatti, quale fenomeno inizialmente di natura economica[4] sviluppandosi poi anche come «processo in seguito al quale gli Stati nazionali e le loro sovranità vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali, dalle loro chance di potere, dai loro orientamenti, identità e reti»[5] ha, così, progressivamente coinvolto diversi aspetti del substrato socio-politico della società.

Si è andato delineando, dunque, quello che molti studiosi designano come «nuovo ordine mondiale»[6] nel quale la globalizzazione risulta essere, allo stesso tempo, causa e scenario operativo delle organizzazioni criminali transnazionali e cioè di «gruppi criminali, appartenenti anche ad etnie diverse, […] collegati tra loro che intraprendono varie attività illecite nello stesso tempo in più Stati. Il crimine si é così trasformato da fenomeno interno con collegamenti internazionali a fenomeno transnazionale»[7]. Tale preoccupante fenomeno va acquistando tratti sempre più allarmanti[8] anche in ragione del fatto che le attività illecite realizzate, producendo sovente entrate economiche altissime che non solo foraggiano le casse della criminalità organizzata, ma che alimentano anche i circuiti economici puliti, determinano, sempre di più, «una forte penetrazione nel tessuto sociale della criminalità organizzata che, così, non lede solo il bene giuridico dell’ordine pubblico ma, anche, l’ordine economico e soprattutto l’ordine democratico»[9]. Vi è, poi, chi ha opportunamente osservato come la criminalità transnazionale abbia trovato terreno fertile non solo grazie alle moderne tecnologie ed ai sempre più sofisticati mezzi di comunicazione, ma anche nella stessa «crisi dello Stato nazione»[10]. Pertanto, sempre di più «la criminalità ha, nello stesso tempo, trovato nuove opportunità negli spazi creati dai processi di globalizzazione, in relazione alla possibilità di allargare il raggio di azione su un mercato senza confini, sottraendosi, contemporaneamente, alle legislazioni dei singoli Stati»[11]. Ad un progressivo ampliamento del fenomeno della criminalità e degli ambiti in cui questa opera è corrisposta, non di rado, una diffusa impreparazione delle singole Nazioni ad affrontare le nuove dimensioni e le caratteristiche di queste forme di criminalità.  Spesso, infatti, le norme nazionali, le differenze presenti tra le diverse legislazioni, la difficoltà nelle fasi di coordinamento, così come la capacità di dare seguito ad un progetto di diritto penale unitario sovranazionale che fosse realmente “operativo, sono apparsi come seri ostacoli ad un’effettiva e concreta lotta al crimine transnazionale[12].

Nonostante ciò, si é ormai concordi nell’individuare nella cooperazione l’unico vero strumento di lotta e prevenzione della criminalità[13]. Gli Stati membri, nel corso degli anni, hanno preso coscienza non solo della crescente utilità della cooperazione, ma anche della necessità di dare impulso pratico a questa presa di consapevolezza fissando obiettivi da raggiungere sempre più ambiziosi[14].  Così, la sempre più sentita esigenza di combattere efficacemente questa forma “ampliata” di criminalità, che si concretizza in fenomeni criminali quali il terrorismo, la tratta di esseri umani[15] e lo sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, il traffico illecito di stupefacenti, il traffico illecito di armi, il riciclaggio di capitali, la corruzione, la criminalità informatica e la criminalità organizzata di stampo mafioso[16], si è, da alcuni anni, concretizzata nella predisposizione di strumenti normativi di prevenzione e repressione di detti fenomeni, sia a livello nazionale che sovranazionale, nel tentativo di elaborare norme uniformi per gli Stati e di indirizzarli verso l’armonizzazione delle loro legislazioni interne[17]. In questa direzione, sia a livello internazionale che comunitario, si muovono, ad esempio, il Congresso sulla prevenzione del crimine del 1975[18]; la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, aperta alla firma a Vienna il 20 dicembre 1988[19], cui é seguita la creazione, nel 1991, dell’United Nations Drug Control Programme; l’accordo tra l’Italia e la Spagna concluso a Madrid il 23 marzo 1990 per la repressione del traffico illecito via mare, la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, aperta alla firma a Strasburgo l’8 novembre 1990; la Convenzione di Strasburgo, per la lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita del 1990; la direttiva comunitaria 91/308/CEE del 10 giugno 1991; la Dichiarazione firmata a Napoli nel 1994[20] contenente un piano di azione per la lotta alla criminalità transnazionale[21]; il contributo fornito dall’incontro “informale” tenutosi a Palermo nell’aprile del 1997, con il supporto della Commissione e della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone; la nuova direttiva comunitaria 4 dicembre 2001 n. 2001/97; gli Accordi di Schengen (firmati il 14 giugno 1985 e il 19 giugno 1990) per l’eliminazione graduale dei controlli delle frontiere comuni, cui l’Italia ha aderito con gli Accordi di Parigi del 27 novembre 1990; dall’Azione Comune del 21 dicembre 1998[22] in tema di lotta da parte dell’Unione europea[23] alla criminalità transnazionale[24]; il Programma Falcone adottato per il quadriennio 1998-2002 avente ad oggetto la promozione di iniziative di scambio per la formazione dei soggetti responsabili della lotta alla criminalità organizzata; la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro il crimine transnazionale e il traffico di esseri umani, adottata il 3 maggio 2005; la Decisione quadro 2008/841/GAI relativa alla lotta contro la criminalità organizzata; il Programma di Stoccolma per il quadriennio 2010- 2014. Particolare attenzione merita, poi, la Convenzione di Palermo[25] (nei cui confronti l’Unione Europea manifesta una posizione di totale adesione) che, sottoscritta nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite del 12-15 dicembre 2000[26] (all’entusiasmo iniziale in sede di predisposizione della Convenzione é poi seguito un lento e complesso lavoro di ratifica[27]. Sarà, ad esempio, ratificata dal Parlamento Italiano soltanto nel marzo 2006[28]. Così come, nello stesso anno, si è raggiunto il ragguardevole numero di 123 Stati-parte della Convenzione, ad oggi non da tutti ratificata) con la finalità di contrasto al crimine organizzato transnazionale[29] insieme ad alcuni Protocolli addizionali sul traffico di migranti, sulla tratta di persone e sul traffico di armi[30], rappresenta una pietra miliare[31] nella cooperazione internazionale contro la criminalità organizzata transnazionale [32] e pone fine ad un vuoto normativo nella disciplina della materia[33].

2. La tratta degli esseri umani: evoluzione del fenomeno e della relativa nozione giuridica

Uno dei crimini transnazionali oggi più diffuso è indubbiamente la tratta di esseri umani[34] da intendersi, genericamente, come quell’attività criminale consistente nel reclutamento, trasporto e sfruttamento al fine di lucro di esseri umani[35]. Negli ultimi decenni questo fenomeno planetario[36], fortemente connesso con quello ben più ampio delle immigrazioni internazionali, ha subito un costante e significativo incremento, divenendo una sorta di moderna schiavitù, grazie anche allo stretto legame con i flussi migratori alimentati dal desiderio di migrare di larghe fasce della popolazione più povera e più svantaggiata con la speranza di ottenere un’aspettativa di vita migliore negli Stati ritenuti economicamente più avanzati[37]. A ciò deve aggiungersi che le politiche migratorie restrittive adottate, soprattutto negli ultimi anni, da parte di alcuni Stati di destinazione, hanno enormemente favorito lo sviluppo dei canali illegali di immigrazione approntati dalle organizzazioni criminali, che proprio su questa difficoltà di migrare basano il loro illecito profitto[38].

Ciò, ovviamente, vale non solo per il traffico o il contrabbando di migranti privi di titolo per entrare e per risiedere nel Paese di destinazione, ma anche per la tratta vera e propria che prolifera laddove sono più svantaggiate le condizioni economiche delle persone che, data la loro vulnerabilità legata al desiderio di migliorare il proprio status e quello dei loro familiari, spesso cadono nella trappola dei trafficanti nella convinzione di recarsi in un Paese più ricco a svolgere un lavoro dignitoso. Del resto, tra le cause che hanno determinato un forte impulso alla tratta di persone[39] ed il fenomeno più ampio del traffico di esseri umani, nel quale rientra anche il contrabbando di migranti, vi sono sia fattori che spingono le persone a fare ricorso alla tratta (quali la situazione economica di estrema povertà che caratterizza alcuni, le condizioni di vita della maggioranza della popolazione, l’enorme crescita demografica, la presenza di guerre e conflitti etnici o religiosi e l’ineguaglianza sociale, economica e culturale presente in alcuni Paesi[40]) sia fattori che rendono attraenti i Paesi più sviluppati, quali gli alti standard di vita, la possibilità di svolgere alcune professioni considerate nei Paesi di destinazione particolarmente rischiose o per le quali è necessario elevato sforzo fisico o semplicemente considerate troppo umili e troppo poco remunerate[41]. Indubbiamente, ciò che colpisce immediatamente della tratta degli esseri umani è che all’evoluzione che tale fenomeno ha subito nel corso tempo circa le modalità con le quali tende a manifestarsi, corrispondono altre caratteristiche intrinseche ad esso, che rimangono invariate. Non a caso, proprio per sottolineare una certa continuità, la tratta di esseri umani viene definita la “schiavitù del terzo millennio” o “nuova forma di schiavitù”[42], intendendo sottolineare il collegamento di tale fenomeno con la tratta degli schiavi di un tempo[43]. D’altronde, l’idea che un essere umano possa essere posseduto, usato e venduto come una cosa e che, in quanto tale, il proprietario ne possa disporre come meglio crede è antica e pressoché universale[44]. Le differenze rispetto alle antiche forme di schiavitù[45] si sostanziano fondamentalmente nell’enorme offerta di manodopera; nella conseguente economicità della ”compravendita” di esseri umani (che in passato poteva richiedere anche ingenti somme di denaro) da sottoporre a varie forme di sfruttamento; nella durata del rapporto che, oggi, è breve poiché le condizioni sono così terribili, che le vittime non vivono a lungo e possono essere facilmente rimpiazzate[46]; nelle modalità con le quali queste vengono reclutate, in passato venivano arruolate coercitivamente, oggi facendo leva principalmente sui bisogni vitali dell’essere umano (sopravvivenza economica della famiglia, necessità di sottrarsi a persecuzioni politiche) e su manipolazioni psicologiche[47].  Pertanto, nonostante sia largamente riconosciuto che la schiavitù sia stata definitivamente abolita in tutti i Paesi del mondo e se, quindi, formalmente oggi in nessuno di essi è possibile ridurre legalmente in schiavitù un essere umano[48], purtroppo, attraverso nuove forme, rimane di fatto invariata la sostanza dello sfruttamento dell’uomo ai danni di un suo simile e continuano a persistere diverse forme di schiavitù. Sul piano giuridico, invece, ci si deve domandare, in primo luogo, se vi sia una nozione di tratta di esseri umani universalmente riconosciuta.  Se un importante passo in avanti si è avuto con la definizione inserita nel Protocollo per la prevenzione, l’eliminazione e la repressione della tratta degli esseri umani, in particolare di donne e bambini[49], addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Crimine Organizzato Transnazionale[50], deve essere ricordato che in passato il concetto giuridico di tratta di persone è stato fortemente influenzato dal fenomeno della tratta degli schiavi e della riduzione in schiavitù (avvicinandosi ed essendo spesso ad esso assimilato) così come si realizzavano un tempo. Le prime norme (principalmente di diritto interno più che di diritto internazionale) sul tema furono proprio quelle che, sulla base dei diritti riconosciuti dalla Rivoluzione americana e affermati dalla Rivoluzione francese, da una parte riconobbero la schiavitù come disumana e, dall’altra, vietarono la tratta di esseri umani[51]. Sul piano del diritto internazionale, invece, si dovette attendere il Congresso di Vienna del 1815 per trovare una prima affermazione, sia in un trattato che in una dichiarazione, della contrarietà della tratta al diritto delle genti e alla morale internazionale.

Questa fu la premessa per altre iniziative quali il Trattato bilaterale teso a condannare in via di principio la tratta degli schiavi siglato da Francia e Gran Bretagna negli Additional Articles to the Paris Peace Treaty del 30 maggio 1814; il Trattato multilaterale di Londra[52], siglato il 20 dicembre 1841 tra Gran Bretagna, Austria, Francia, Prussia e Russia; l’Atto generale della Conferenza di Berlino del 26 febbraio 1885 che, firmato da quindici Stati, dichiarò la tratta degli schiavi contraria ai principi generali del diritto internazionale e, per questo, vietata ex articolo 9; l’Atto generale della Conferenza di Bruxelles del 2 luglio 1890 tra gli Stati europei e alcuni Paesi come il Congo e lo Zanzibar e diretto a vietare ogni commercio di schiavi[53]; il Trattato di Pace di Saint-Germain del 10 settembre 1919 che, abrogando l’Atto generale di Bruxelles, contemplò nuovi principi e confermò all’articolo 373 il divieto di tratta di persone in tutte le sue forme; la Convenzione sulla Schiavitù[54], siglata a Ginevra il 25 settembre 1926 in seno alla Società delle Nazioni, in seguito all’istituzione, nel 1924, di una commissione con il compito di studiare il fenomeno della tratta e di individuare strumenti efficaci per pervenire all’abolizione progressiva della schiavitù e di qualsiasi altra forma analoga o attenuata di essa. Dopo la Seconda guerra mondiale, il rinnovato bisogno di proteggere i diritti fondamentali portò, da una parte, una consistente normativa di carattere regionale[55], dall’altra, spinse la Comunità internazionale ad adottare dapprima la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 in cui si afferma, all’articolo 4, il divieto di schiavitù e di qualsiasi forma di tratta degli schiavi[56] e poi, ad approvare nel 1956 la Convenzione supplementare per l’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e degli istituti e pratiche analoghe alla schiavitù[57]; il Patto sui Diritti Civili e Politici del 16 dicembre 1966 che, in vigore dal 1976, prevede, all’articolo 8, il divieto assoluto di riduzione in schiavitù e di tratta[58]. Tra le norme internazionali che, secondo la dottrina maggioritaria, devono essere ricondotte tra quelle che vietano la schiavitù in senso proprio vi sono sia quelle che si occupano del lavoro forzato, quali le Convenzioni numero 29 del 1930 e numero 105 del 1957, elaborate dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro in tema di lavoro forzato e di ogni lavoro previsto come misura di coercizione, sia le Convenzioni internazionali che si sono occupate del problema della tratta a fini di prostituzione, quali l’Accordo Internazionale per la Repressione della Tratta delle Bianche, firmato a Parigi nel 1904 ed entrato in vigore l’anno seguente[59] e la Convenzione Internazionale relativa alla Repressione della Tratta delle Bianche del 1910[60] che, pur non fornendo una esplicita definizione di tratta, si sono occupate della protezione delle donne vittime della tratta[61]. Di tale obiettivo, dopo la Prima guerra mondiale, si fece promotrice anche la Società delle Nazioni alla quale fu conferita dagli Stati membri la generale supervisione sull’esecuzione dei trattati e degli accordi in materia di tratta di donne e bambini. Inoltre, a seguito di una nuova conferenza internazionale sul tema della tratta (nella quale emerse con chiarezza la necessità di affiancare all’Accordo del 1904 e alla Convenzione del 1910 un nuovo strumento internazionale che estendesse l’ambito di applicazione dei due precedenti accordi), si arrivò nel 1921 alla Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli[62] con la quale, per la prima volta, si prendeva atto del fatto che le vittime di tratta potessero essere anche minori di sesso maschile e, nel 1933, alla Convenzione internazionale per la repressione della tratta di donne adulte[63] che ampliò il proprio ambito di applicazione includendo, tra gli obblighi a carico degli Stati contraenti, la previsione del reato di tratta transfrontaliera di donne adulte anche nel caso in cui quest’ultime fossero consenzienti.  La creazione delle Nazioni Unite nell’immediato dopoguerra diede nuovo impulso alla lotta alla tratta di esseri umani ed in particolare a quella di donne e bambini a scopo di sfruttamento sessuale. Se, infatti, già nel 1946 il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite istituì una Commissione sulla Condizione delle Donne[64], dopo aver ripreso, con i Protocolli di Lake Success del 1947, il dibattito attorno alla Convenzione Consolidata del 1937, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò il 2 dicembre 1949 la Convenzione per la repressione della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, con l’intento, pur in assenza di una definizione specifica di tratta e di prostituzione forzata, di rafforzare l’impianto normativo previsto dai quattro trattati precedenti[65].

Dal quadro sin qui delineato, risulta evidente come la nozione di tratta di esseri umani, almeno nella prima parte del secolo scorso, essendo stata sostanzialmente legata a quella di schiavitù e a quella di sfruttamento della prostituzione[66], abbia comportato sul piano pratico, che qualsiasi tentativo di contrastare il fenomeno a livello internazionale si sia spesso sostanziato in un tentativo di contrastare la schiavitù e lo sfruttamento della prostituzione, facendo perdere di vista altri elementi significativi per una definizione più completa del fenomeno della tratta[67].Solo dagli anni sessanta in poi si assiste allo sviluppo di un nuovo orientamento sulla tratta che, parallelamente all’ampliamento della nozione di schiavitù (idonea a comprendere una vasta gamma di ipotesi di limitazione della libertà personale e/o di esercizio su di una persona di talune delle prerogative del diritto di proprietà), vede ricomprendere in essa lo spostamento delle persone per finalità di sfruttamento, non limitato allo sfruttamento sessuale, ma esteso ad ogni tipo e modalità[68].

Tale estensione, parallela a quella della nozione di schiavitù, è confermata anche dalla creazione, nel 1974, del Gruppo di Lavoro sulla Schiavitù in seguito rinominato Gruppo di lavoro sulle forme contemporanee di schiavitù da parte della Sottocommissione per la prevenzione della discriminazione e la protezione delle minoranze delle Nazioni Unite, ha fatto sì che la tratta possa oggi essere considerata una fattispecie delittuosa complementare   alla tratta di schiavi e più ampia di quest’ultima, quasi in un rapporto di genus ad speciem, volta a reprimere, dopo l’universale abolizione della schiavitù, quei comportamenti definibili di quasi schiavitù[69].

Anche la creazione, nel 1974, del Gruppo di Lavoro sulla Schiavitù in seguito rinominato Gruppo di lavoro sulle forme contemporanee di schiavitù da parte della Sottocommissione per la prevenzione della discriminazione e la protezione delle minoranze delle Nazioni Unite, non fa altro che confermare l’evoluzione della nozione di schiavitù ed assieme a questa, quella di tratta di esseri umani nel senso di estendere i due concetti anticamente legati a fattispecie più ristrette, a casi nei quali l’uno o l’altro dei due elementi possono manifestarsi ma anche coesistere.

Si verifica, così, man mano, anche attraverso nuove Convenzioni come quella sull’eliminazione di qualunque forma di discriminazione contro le donne[70] conclusa nel 1979 sotto l’egida delle Nazioni Unite e quella del 1989 sui diritti del fanciullo, un superamento di identificazione con lo sfruttamento della prostituzione per approdare ad una nozione ampia che valorizza, in generale, la finalità dello sfruttamento della persona e fa della tratta una fattispecie tipica di nuova schiavitù[71] (quale forma moderna di schiavitù, caratterizzata non più solamente dallo scopo dello sfruttamento sessuale, ma dalla più ampia finalità dello sfruttamento di tipo servile, in cui è senz’altro ricompreso quello sessuale).

Nel senso dell’ampliamento della nozione di tratta si muovono, inoltre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 49/166 del 1994; il Parlamento europeo che ha descritto la tratta di esseri umani come «the illegal action of someone who, directly or indirectly, encourages a citizen form a third country to enter or to stay in another country in order to exploit that person by using deceit or any other form of coercion or by abusing that person vulnerable situation or administrative status»[72]; lo Statuto della Corte penale internazionale all’articolo 7 paragrafo 2 lettera c) che, considerando la tratta come una fattispecie della riduzione in schiavitù in senso ampio, viene disgiunta dal riferimento alla prostituzione per sussistere ogni volta questa venga esercitata per finalità di sfruttamento della persona indipendentemente dal sesso e dall’età delle vittime[73]; e nel Protocollo sulla prevenzione, eliminazione e repressione della tratta di esseri umani, specialmente di donne e bambini[74], (addizionale alla Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite sulla Criminalità Organizzata Transnazionale), che ha fornito per la prima volta una definizione precisa ed internazionalmente accettata di tratta degli esseri umani[75]. Infatti, dopo aver precisato nel preambolo che «una efficace lotta alla tratta internazionale delle persone, in particolare di donne e bambini, richiede un approccio internazionale globale nei Paesi di origine, transito e destinazione che includa misure atte a prevenire tale tratta, punire i trafficanti e tutelare le vittime di questa tratta, in particolare proteggendo i loro diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti», all’articolo 3 lett. a) il Protocollo identifica la tratta di persone con «il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi»[76]. Il punto cruciale della definizione di tratta accolta nel Protocollo è rappresentato oltre all’irrilevanza del consenso della vittima previsto dalla lettera b) dell’articolo 3, anche dal concetto di sfruttamento[77] delle persone, vero segno distintivo del fenomeno anche rispetto a fenomeni simili, quali il contrabbando o il traffico di migranti[78] (ovvero lo smuggling, al quale la Conferenza intergovernativa, onde evitare la sovrapposizione e la confusione dei due fenomeni, ha scelto di dedicare un altro Protocollo addizionale)[79].

All’interno del generale fenomeno del traffico di esseri umani[80] si è delineata, negli ultimi anni, la distinzione tra tratta di esseri umani (trafficking) e traffico di migranti (smuggling)[81] che si differenziano l’una dall’altra fondamentalmente per la durata del rapporto che si instaura fra trafficante e trafficato e per il ruolo che quest’ultimo riveste nella relazione con l’organizzazione criminale[82].

Se, infatti, nel caso di tratta di esseri umani le organizzazioni criminali, una volta che la persona trafficata è giunta nel paese di destinazione, instaurano con essa un vero e proprio rapporto di sfruttamento, attraverso diverse modalità di sfruttamento che arrivano, spesso, anche alla riduzione in schiavitù o alla sottomissione totale della persona, come fosse una res da possedere e da cui trarre vantaggio economico; nel caso del contrabbando di migranti, l’attività delle organizzazioni criminali, il cui scopo è trarne un vantaggio economico, si avvicina a quello che potremmo definire favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, poiché prevede solamente l’attraversamento dei confini nazionali e l’ingresso illegale in un Paese terzo di persone che non avrebbero titolo per farlo[83].

Inoltre, rilevano la presenza (trafficking) o l’assenza (smuggling) degli elementi dell’inganno, della coercizione o dell’abuso di potere nella relazione tra il trafficante e la persona trafficata[84]. Infatti, se nel trafficking la persona è tendenzialmente inconsapevole dello sfruttamento al quale verrà sottoposta una volta arrivata nel Paese di destinazione, nello smuggling la relazione tra il migrante e l’organizzazione criminale si instaura proprio su domanda dello stesso che, privo dei requisiti legali, decide, per i più disparati motivi, di rivolgersi ai rappresentanti delle organizzazioni criminali al fine di ottenere la possibilità di trasferirsi in un altro Paese illegalmente.

Così, il migrante clandestino non può essere considerato, diversamente da colui che è oggetto di trafficking, una vittima, ma è soggetto attivo del reato, in quanto agisce volontariamente per ottenere lo specifico risultato dell’ingresso illegale. Per tali ragioni, lo smuggling si configura come un reato contro lo Stato, piuttosto che contro l’individuo che, come detto, in tal caso è partecipe della condotta criminosa. Sebbene dal punto di vista teorico la tratta di esseri umani ed il traffico illecito di migranti appaiano facilmente distinguibili, nella pratica, tuttavia, la distinzione tra le due fattispecie non è sempre così marcata. Può accadere, infatti, che coloro che si rivolgono alle organizzazioni criminali per ottenere l’ingresso clandestino in un altro Paese, non disponendo di denaro sufficiente per pagare il viaggio, siano costretti ad indebitarsi con i trafficanti e a diventare anch’essi (come le persone oggetto di tratta) asserviti all’organizzazione criminale fino a quando il debito non sia stato estinto[85]. Proprio questa considerazione fa assurgere ad elemento fondamentale per la differenziazione tra tratta di esseri umani e traffico di migranti clandestini l’elemento del consenso che, però, durante le vicende del traffico, può mutare ed essere ritirato senza alcun effetto sul trafficante. Si pongono, pertanto, problemi in ordine al momento in cui deve essere manifestato il consenso ai fini della qualificazione della condotta e in merito alla distinzione tra consenso e coercizione[86]. In relazione al primo problema, si tende ad individuare il momento rilevante per la manifestazione del consenso nel momento della partenza ai fini di un ingresso illegale in un Paese straniero. Circa la questione se il consenso sia stato reso spontaneamente o sotto coercizione, le difficoltà legate a situazioni di disagio economico e socio-culturale, aggravate spesso da discriminazioni, guerre e disgregazioni familiari, rende particolarmente difficile trovare una “definizione di coercizione che non sia tanto ampia da dilatare a dismisura il concetto di traffico di esseri umani, tanto da svuotarlo di significato” o che non tenga conto delle forme di coercizione indiretta o, per così dire, ambientale che però arrivano ad annullare la volontà del soggetto[87]. La difficoltà di individuare la fattispecie concreta ha favorito che i fenomeni venissero spesso ricompresi nella medesima fattispecie astratta del traffico di esseri umani. Come si è visto, la definitiva separazione tra le due fattispecie vi è stata, a livello normativo internazionale, con l’elaborazione dei due Protocolli addizionali alla Convenzione di Palermo che dedicati, l’uno alla tratta di esseri umani e l’altro al traffico di migranti, hanno offerto finalmente una definizione precisa dei due fenomeni[88]. Se, infatti, nel Protocollo sulla prevenzione, l’eliminazione e la repressione della tratta di esseri umani, specialmente di donne e bambini si è fornita una definizione di tratta di esseri umani, nel Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, il crimine di smuggling ex articolo 3, si concretizza nel procurare l’ingresso illegale in uno Stato, di una persona che non abbia la nazionalità di quello Stato o che non abbia titolo di risiedere in via permanente, con lo scopo di ottenere, direttamente o indirettamente, vantaggi finanziari o economici[89].

Inoltre, oggi, la differenza fra il traffico di migranti e la tratta di persone, è stata definita anche a livello europeo[90] poiché la Commissione al punto 4.7.1. della Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comune in materia di immigrazione illegale[91] afferma chiaramente che «le espressioni “traffico di persone” (“smuggling”) e “tratta di esseri umani” (“trafficking”) sono spesso utilizzate come sinonimi, sebbene vada operata una netta distinzione sulla base di differenze sostanziali. Tale differenziazione dei due concetti è anche utile in una prospettiva di repressione dei fenomeni. La terminologia e le definizioni sono state chiarite nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e i due Protocolli aggiuntivi relativi al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani, che sono stati firmati a Palermo il 12-15 dicembre 2001. Risulta chiaramente da tali definizioni che il termine “traffico” è riferito all’assistenza fornita ai fini dell’attraversamento delle frontiere in modo clandestino ed all’ingresso illegale nel territorio di un Paese. Il traffico illecito contiene pertanto sempre un elemento transnazionale, mentre ciò non è necessariamente vero nel caso della tratta, il cui elemento determinante è la finalità di sfruttamento. La tratta presuppone l’intenzione di sfruttare una persona, generalmente indipendentemente da come la vittima sia giunta nella località in cui avviene lo sfruttamento. Qualora vi sia anche una dimensione transfrontaliera, l’ingresso nel Paese di destinazione può essere avvenuto in modo legale o illegale. L’immigrazione clandestina può anche ricomprendere delle situazioni relative alla tratta di persone, ma il suo campo d’applicazione è più ampio e riguarda soprattutto l’ingresso illegale ed il soggiorno irregolare dei migranti in generale. Gli immigrati clandestini, nel senso più ampio del termine, non sono pertanto necessariamente vittime della tratta di esseri umani».

Da quanto detto, appare evidente che, per molto tempo, vi sia stata notevole confusione circa la nozione di tratta ed altri fenomeni simili quali la schiavitù, lo sfruttamento sessuale e della prostituzione o traffico di migranti fino a quando, l’adozione del Protocollo sulla tratta, allegato alla Convenzione di Palermo, predisponendo forme di cooperazione interstatale in materia penale al fine di garantirne l’effettività della repressione[92], ne ha chiarito il concetto, evidenziandone la sua notevole evoluzione, nella dottrina e nella prassi, per le specifiche modalità in cui esso si manifesta[93].

3. Le norme di diritto internazionale e gli strumenti convenzionali di prevenzione e repressione della tratta degli esseri umani

Se l’attenzione della comunità internazionale al fenomeno della schiavitù vi era sin dalla fine del XIX secolo[94], è solo all’inizio del secolo scorso, con la conclusione di un primo gruppo di convenzioni internazionali dedicate alla lotta contro la tratta a scopo di sfruttamento sessuale di donne e bambini[95], che vi sono state iniziative specificamente indirizzate alla lotta di tale fenomeno[96].  Da allora, essendo tale fenomeno costantemente cresciuto sia per quanto riguarda il numero delle vittime e del volume di affari, sia per ciò che attiene alla natura e alle ramificazioni delle organizzazioni transnazionali coinvolte in tale traffico illecito, si è resa necessaria la continua elaborazione di nuovi strumenti internazionali capaci di fronteggiarlo efficacemente

Si pensi, ad esempio, alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo[97] approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale dell’Onu che, configurando la tratta di persone come una violazione di diritti umani, impone, all’articolo 4, il divieto di schiavitù e di tratta degli schiavi sotto qualsiasi forma[98]; alla Convenzione Europea per la Protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU) adottata dal Consiglio d’Europa[99] nel 1950 che, pur non affrontando direttamente il problema della tratta di persone, all’articolo 4 dispone il divieto di schiavitù, servitù e di lavoro forzato; alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli[100] e alla Convenzione americana sui diritti umani[101]; al Patto internazionale sui diritti civili e politici che, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966[102], all’articolo 8 sancisce il divieto di schiavitù, servitù, tratta degli schiavi senza, tuttavia, darne una definizione[103]; al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali[104] entrato in vigore il 3 gennaio 1976 che, pur non contenendo disposizioni che riguardano direttamente il tema della tratta degli esseri umani, riconoscendo all’articolo 6 il diritto per ognuno di trovarsi, scegliere o accettare un lavoro in modo totalmente libero, stabilisce alcuni diritti relativi alle giuste ed eque condizioni di lavoro, aspetti che coinvolgono particolarmente le vittime di tratta per sfruttamento lavorativo[105].

 Assieme a queste affermazioni di carattere universale meritano di essere ricordate la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna[106] che, adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea Generale, all’articolo 6[107] obbliga gli Stati a prendere misure e norme necessarie allo scopo di eliminare tutte le forme di tratta di donne e sfruttamento della prostituzione di queste ultime; la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza[108] che, adottata a New York il 20 novembre 1989, all’articolo 35 stabilisce che gli Stati devono dotarsi di tutte le misure atte a prevenire e impedire il rapimento, commercio o tratta di bambini[109]; lo Statuto della Corte Penale Internazionale (o Statuto di Roma)[110] adottato a Roma il 17 Luglio 1998 che, istituendo la Corte Penale Internazionale con sede all’Aja e competente per i crimini di genocidio, crimini di guerra e di aggressione e crimini contro l’umanità, annovera tra questi ultimi, all’articolo 7, i reati di schiavitù e di tratta di esseri umani; la Convenzione numero 182 per la proibizione e l’immediata azione per l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile[111] adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro il 17 giugno 1999 che, pur non riportando una definizione del fenomeno della tratta, elenca all’articolo 3 tra le peggiori forme di lavoro minorile non solo l’uso, il reclutamento e l’offerta di un fanciullo per attività illecite o per la prostituzione, la produzione di materiale pornografico o l’uso in spettacoli pornografici, ma anche tutte le forme di schiavitù e pratiche analoghe, tra cui la vendita e la tratta di minori; la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani adottata a Varsavia nel maggio 2005 e, circa alcuni aspetti specifici del tema della tratta, la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina adottata il 4 aprile 1997 a Oviedo[112] ed il Protocollo aggiuntivo relativo al trapianto di organi e di tessuti di origine umana del 24 gennaio 2002[113] che muovono dal principio secondo cui non può e non deve essere tollerata alcun tipo di mercificazione del corpo umano.  All’evoluzione normativa internazionale fin qui delineata deve essere aggiunto lo strumento internazionale più recente che fornisce specificamente una tutela contro il fenomeno della tratta di esseri umani a partire da una sua compiuta e riconosciuta definizione che, come si è già accennato, è stata finalmente fornita proprio dall’articolo 3[114] di uno dei tre Protocolli addizionali[115] (nello specifico quello per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini) alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale[116] adottata il 15 novembre 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 55/25[117]. A tali norme di hard law si aggiungono, poi, gli strumenti di soft law adottati dagli organi delle Organizzazioni internazionali che, a vario titolo, si interessano alla lotta della tratta di esseri umani e che, pur non essendo giuridicamente vincolanti per gli Stati, promuovono importanti principi e regole che gli Stati stessi possono adottare e inserire nella loro legislazione nazionale.  Vengono in rilievo, ad esempio, le raccomandazioni dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani[118], quelle del rappresentante speciale e coordinatore per la lotta alla tratta di esseri umani presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE)[119] e quelle del Comitato dei Ministri[120] e dell’Assemblea parlamentare[121] del Consiglio d’Europa.

In particolare si pensi ai 17 principi e alle 11 linee guida sui diritti umani e la tratta di persone adottati dall’United Nations High Commissioner for Human Rights adottati nel maggio 2002 che, rivolti agli Stati, alle organizzazioni internazionali e alle ONG, fornisce una definizione del termine traffickers (trafficanti) indicando «reclutatori, trasportatori, coloro che esercitano il controllo su persone vittime di tratta, che trasferiscono e/o mantengono le persone vittime di tratta in situazioni di sfruttamento, che sono coinvolti in tali reati, che traggono profitto direttamente o indirettamente dalla tratta, dalle attività e reati a essa connessi»[122]; alle linee guida per la protezione dei diritti dei minori vittime di tratta nell’Europa sudorientale adottata nel 2003 dall’Unicef e alla successiva guida del 2006, in cui venivano spiegati i contenuti del documento e che conteneva esempi di buone e cattive pratiche al fine di aiutare gli Stati a implementarle[123]. Sul tema, infine, sono intervenute anche le linee guida di Protezione Internazionale in tema di applicazione dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta, adottate dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) il 7 aprile 2006 che stabiliscono i criteri per la concessione della protezione internazionale alle vittime di tratta in base ai requisiti della Convenzione di Ginevra[124], il Programma Globale contro la Tratta di esseri umani, progetto mirato all’elaborazione di un global database sui diversi aspetti della tratta di esseri umani, adottato nel 1999 dall’United Nations Office on Drugs and Crime[125] (UNODC)[126] e l’appello dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati che, in un parere del giugno 2010, aveva esortato le Istituzioni europee a optare per sclete ancora più coraggiose ed efficaci[127].

Da quanto esposto emerge, così, che gli obblighi per gli Stati in materia di tratta degli esseri umani discendono, oltre che da strumenti specificamente dedicati alla prevenzione e repressione di questo fenomeno, anche dalle norme internazionali sulla tutela dei diritti umani e da quelle che garantiscono protezione a chi scappa da persecuzioni. Ciò ha indubbiamente permesso, da una parte, il costante coinvolgimento di Organi di controllo e la possibilità di valutare la condotta degli Stati circa il rispetto degli obblighi previsti dalle norme sulla tutela dei diritti umani e, dall’altra, un diffuso innalzamento della tutela offerta alle vittime della tratta di esseri umani.

4. Le strategie e gli strumenti normativi comunitari in tema di tratta di persone

La libertà di circolazione e soggiorno delle persone all’interno dell’UE costituisce la pietra angolare della cittadinanza dell’Unione, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992. La graduale eliminazione delle frontiere interne degli accordi di Schengen è stata seguita dall’adozione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nell’UE. Parallelamente, però, l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne (su cui poggia l’acquis di Schengen) ha comportato come naturale conseguenza che l’Unione europea acquisisse proprie competenze in materia di gestione e controllo delle frontiere esterne[128] in modo progressivo assieme all’evoluzione delle politiche in materia d’immigrazione e di cooperazione di polizia e giudiziaria[129].

Tale controllo delle frontiere, previsto dal Protocollo sul traffico di migranti che impone agli Stati membri di «rafforzare, nella misura possibile, i controlli alle frontiere necessari per prevenire e individuare il traffico di migranti»[130], presenta, però, il paradosso che quanto più i controlli sono efficaci, tanto più coloro che voglio eluderli si affidano a soggetti “facilitatori” quali i trafficanti[131].  Così anche l’Unione europea ha dovuto mettere in campo numerosi strumenti normativi per contrastare il fenomeno della tratta di persone[132] che, in questi anni, secondo i dati forniti da Europol[133], è in costante aumento in Europa.

Il Parlamento europeo, già sul finire degli anni ottanta del secolo scorso, ha denunciato l’esistenza di questo fenomeno esortando gli Stati membri a rafforzare le proprie normative interne «in grado di contribuire direttamente o indirettamente a perseguire lo sfruttamento della prostituzione e la tratta di esseri umani»[134] ed una prima risposta vi è stata già con il Programma (corredato di incentivi e di scambi tra uffici responsabili all’interno degli Stati membri) volto al contrasto del traffico di esseri umani ed allo sfruttamento sessuale dei minori (Programma STOP)[135] e successivamente, con l’adozione nel 24 febbraio 1997 di un’Azione comune da parte del Consiglio in materia di lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini[136]. Ma è con i Trattati di Maastricht ed Amsterdam ( questo ultimo firmato il 20 novembre 1997 ed entrato in vigore il 1° febbraio 1999) che, promuovendo ad obiettivo dell’Unione quello di fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il contrasto al fenomeno della tratta di esseri umani, esplicitamente menzionato accanto al traffico di Droga all’articolo 29 TUE, inizia ad assumere un ruolo importante nella politica legislativa comunitaria[137]. Del resto, la necessità di arginare e contrastare l’espansione del fenomeno della tratta, ha rappresentato, negli anni, una priorità di natura politica sempre più forte e consapevole, come emerge dalle conclusioni dei Consigli europei di Tampere (ottobre 1999), Laeken (tenutosi il 14 e 15 dicembre 2001)[138], Siviglia (giugno 2002)[139] e Salonicco (giugno 2003)[140].

In particolare, è stato il Consiglio europeo straordinario di Tampere del 15-16 ottobre 1999 a costituire il più forte impulso all’armonizzazione delle legislazioni penali in materia di traffico a fini di sfruttamento, anche nell’ambito di una politica comune dell’UE in materia di asilo ed immigrazione. Nelle conclusioni, infatti, il Consiglio europeo si dichiara determinato ad affrontare alla radice l’immigrazione illegale, soprattutto contrastando coloro che si dedicano alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento economico del migrante. Il Consiglio europeo invita ad adottare norme che prevedono sanzioni ed una normativa a tal fine (punto 28). Inoltre, per quanto riguarda le legislazioni penali nazionali, gli sforzi volti a concordare definizioni, incriminazioni e sanzioni comuni dovrebbero concentrarsi in primo luogo su di un numero limitato di reati di particolare importanza, come, appunto, la tratta di esseri umani e, nel suo ambito, lo sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini (punto 48).

All’impulso del Consiglio Europeo di Tampere è seguita nel tempo una notevole produzione normativa come, ad esempio, il regolamento del Consiglio (CE) n. 2725/2000 che istituisce l’EURODAC per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della Convenzione di Dublino del 1990 sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno Stato membro, la decisione del Consiglio 2000/799/GAI relativa all’istituzione di un’Unità provvisoria di cooperazione giudiziaria per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata e, sul piano degli atti di mero indirizzo, la Risoluzione del 19 maggio 2000 del Parlamento europeo che raccomandava agli Stati membri di potenziare la cooperazione nell’azione di prevenzione, repressione e contrasto alla tratta di esseri umani, anche attraverso l’istituzione di una specifica figura di reato. Il 15 marzo 2001 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una Decisione quadro (in quanto tale vincolante per gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da ottenere) relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Comunità europea del 22 marzo[141] che, volendo «raggiungere l’obiettivo di offrire alle vittime della criminalità, indipendentemente dallo Stato in cui si trovano, un livello elevato di protezione», raccomandava al punto 8 «di avvicinare le norme e le prassi relative alla posizione e ai principali diritti della vittima, tutelando il diritto della vittima a un trattamento che salvaguardi la sua dignità, al diritto di informare e di essere informata, di comprendere ed essere compresa, di essere protetta nelle varie farsi del processo e di “far valere lo svantaggio” di risiedere in uno Stato membro diverso da quello della commissione del reato».

A tale intervento normativo ha fatto seguito la Decisione quadro 2002/629/GAI sulla lotta alla tratta degli esseri umani del 19 luglio 2002[142] che ha rappresentato, fino all’entrata in vigore della Direttiva 2011/36/UE, il principale strumento normativo prodotto dall’Unione europea in materia. Questa, infatti, aveva come fine, non solo l’allineamento delle disposizioni legislative e normative degli Stati membri per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale per combattere la tratta degli esseri umani, ma anche di stabilire un quadro comune per la cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri a proposito di tale tematica[143]. Tuttavia, tale Decisione quadro, nonostante gli importanti progressi compiuti rispetto alla precedente Azione comune del 1997[144], presentava ancora, come è stato registrato da una specifica indagine dell’Unione europea[145], alcune lacune in tema di efficacia delle misure a carattere preventivo e dell’adeguatezza dell’attività di assistenza delle vittime della tratta.

Anche la Conferenza europea svoltasi a Bruxelles dal 18 al 20 settembre 2002 sulla prevenzione e contrasto della tratta di esseri umani (Global Challenge for the 21st Century), voluta dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni nell’ambito del programma europeo STOP II e sostenuta dalla Commissione Europea, Parlamento Europeo e Stati membri dell’Unione, ha rappresentato un altro punto di riferimento poiché, avendo permesso di riunire più di un centinaio di rappresentanti di Stati, organizzazioni internazionali, intergovernative, ONG e istituzioni dell’Unione Europea, ha permesso che fosse adottata all’unanimità [146] la Dichiarazione di Bruxelles sulla prevenzione e contrasto alla tratta di esseri umani[147] che, oltre a mirare ad una più ampia collaborazione tra gli Stati sul tema, ha indicato vari criteri affinché i Paesi, con un approccio orientato al rispetto dei diritti umani, possano attuare migliori ed efficaci misure di prevenzione e contrasto alla tratta di persone e di protezione e assistenza delle relative vittime.

Altri interventi normativi dell’Unione europea in tema di contrasto a tale fenomeno si sono avuti con la Decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, e con la Decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (anche se non specificamente rivolti al fenomeno della tratta, comunque sono applicabili anche a taluni aspetti di esso poiché rientrano tra i principali strumenti di aggressione dei proventi illeciti dei traffici di esseri umani); con la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002 che, aderendo a quanto detto durante il Consiglio Europeo di Tampere che ha sottolineato l’importanza della lotta contro il traffico degli esseri umani confrontando le regole del diritto penale degli Stati membri, definisce il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali; con la proposta di Decisione quadro concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime COM(2009) 136 def.; con la Direttiva 2004/81CE[148] del Consiglio riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti[149]; con la Direttiva 2004/80 sul risarcimento alle vittime di reati con cui si stabilisce un sistema di risarcimento per le vittime di reati intenzionali e violenti indipendentemente dallo Stato di residenza della vittima e dello Stato membro in cui è stato commesso il reato; con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro il traffico di esseri umani, adottata il 3 maggio 2005, aperta il successivo 16 maggio, in occasione del Vertice dei Capi di Stato e di Governo svoltosi a Varsavia, alla firma degli Stati membri nonché degli Stati che hanno partecipato alla sua elaborazione e della Comunità europea; con il Piano elaborato dal Consiglio nel 2005 sulle best practices e sulle le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani con tempistiche e scadenze ben definite[150]; con la Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009 che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare[151]; e con il Programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre del 2009, in cui sono state indicate le priorità dell’Unione nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014[152].

Nel 2005, inoltre, facendo seguito al Programma dell’Aja adottato dal Consiglio europeo nel novembre 2004, la Commissione ed il Consiglio hanno adottato il Piano UE sulle pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani (GUC 311 del 9/12/2005). Si è cercato, dunque, di rafforzare ulteriormente la lotta contro la tratta degli esseri umani finalizzata a qualsiasi tipo di sfruttamento e, contestualmente, di proteggere, assistere e reinserire le vittime. A ciò ha fatto seguito la Decisione 2007/675/CE della Commissione, che istituisce il gruppo consultivo di esperti[153] sulla tratta delle esseri umani il cui incarico è quello di fornire appoggio all’azione della Commissione nel settore della lotta contro la tratta degli esseri umani.

Il Regolamento (CE) numero 2007 del 26 ottobre 2004[154] ha, poi, istituito l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne (Frontex) che, operativa dal primo maggio 2005 e con sede a Varsavia[155], ha il compito di realizzare (insieme con Europol, EASO e Eurojust) lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e di aiutare gli Stati membri ad attuare la normativa europea in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne (terrestre, marittime e aeroporti internazionali)[156]. A tal fine, gli Stati appartenenti all’acquis di Schengen non solo prendono parte, ciascuno con un rappresentante e relativo supplente al consiglio di amministrazione, all’attività dell’Agenzia[157] (che deve assieme ad Europol cooperare in tale settore ciascuno nell’ambito delle proprie competenze) ma, dovendosi munire di «un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone» e dovendo organizzare controlli più efficaci e mirati ai valichi delle frontiere esterne dell’UE in modo da individuare le vittime della tratta degli esseri umani, sono responsabili dell’attuazione della politica comunitaria nel settore delle frontiere esterne dell’Unione Europea.

Inoltre, con l’obiettivo di stabilire norme minime comuni per definire i reati legati alla tratta di persone e le relative pene, il 5 aprile 2011 la Decisione quadro 2002/629/GAI[158], è stata sostituita dalla Direttiva 2011/36/UE[159] (entrata in vigore il 15 aprile 2011, doveva essere recepita dagli Stati membri dell’UE entro il 6 aprile 2013)[160] che, in tema di prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime, ha previsto non solo nuove e più efficaci misure che gli Stati membri devono adottare per affrontare in modo più deciso il fenomeno della tratta di esseri umani, ma ha anche previsto la creazione di un coordinatore dell’UE per la lotta contro la tratta di esseri umani[161].

Deve essere ricordato, poi, che l’Unione Europea, annoverando attraverso il Trattato di Lisbona la tratta di esseri umani tra quei reati di dimensione transnazionale sulla base dell’articolo 83 comma 2 TFUE, ha previsto che attraverso lo strumento della Direttiva possono essere introdotte norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nei settori che sono stati oggetto di misure di armonizzazione nel caso in cui «il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rilevi indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione». Inoltre, al fine di evitare che le eventuali differenze nelle definizioni dei reati potessero incidere negativamente sull’efficacia della cooperazione giudiziaria e della tutela dei cittadini, l’Unione ha compiuto notevoli passi in avanti nel processo di armonizzazione di molti settori del diritto penale[162].

Così, proprio per armonizzare la disciplina sulla tratta di esseri umani è stata adottata[163] la Direttiva 2011/36/UE[164] del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime (che definisce norme minime comuni volte alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia di tratta di esseri umani) e la successiva Comunicazione n. 286 del 19.6.2012[165], con la quale la Commissione cerca di concentrarsi sulle misure concrete necessarie a supportare il processo di recepimento e di attuazione della Direttiva 2011/36/UE.

In particolare, la nuova disciplina, contenendo innanzitutto una definizione di tratta[166] e considerando quindi punibili[167] il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su tali persone, a fini di sfruttamento[168], è stata una risposta concreta alla necessità di inserirsi in un orizzonte globale così come dichiarato nel Libro bianco sulle iniziative per rafforzare la dimensione esterna dell’Unione nelle iniziative contro la tratta di esseri umani approvato dal Consiglio il 30 novembre 2009[169]. La Direttiva, infatti, riaffermando il ruolo prioritario del diritto penale[170], utilizza la definizione di tratta stabilita nel Protocollo addizionale[171] e determina pene massime di almeno 5 anni in difetto di aggravanti[172], e di almeno 10 anni laddove il reato sia stato commesso nei confronti di una vittima particolarmente vulnerabile, compresi i minori; sia stato commesso nel contesto di un’organizzazione criminale; abbia messo in pericolo la vita della vittima intenzionalmente o per colpa grave; sia stato commesso ricorrendo a violenze gravi o abbia causato alla vittima un pregiudizio particolarmente grave.

La direttiva, poi, oltre a prevedere, in riferimento all’evento perfezionativo, l’irrilevanza del trasferimento della vittima da uno Stato all’altro (benché tradizionalmente la tratta presenti proprio una connotazione transnazionale)[173] e a determinare la sfera di punibilità con pene effettive, proporzionate e dissuasive dei reati di istigazione, favoreggiamento e concorso o tentativo nella commissione dei reati di tratta, delinea una compiuta disciplina in tema di tutela della vittima[174].

Nell’azione di contrasto alla tratta di esseri umani, in senso analogo a quanto previsto dall’articolo 9 del Protocollo di Palermo, vengono previsti, assieme all’importante ruolo svolto dal diritto penale, strumenti di diversa natura quali la predisposizione da parte degli Stati membri di politiche di prevenzione attraverso l’organizzazione di campagne di sensibilizzazione e di informazione, anche attraverso internet ed in cooperazione con le competenti organizzazioni della società civile.

A livello europeo, inoltre, sempre nell’ottica di contrastare più efficacemente il fenomeno della tratta di persone e per sostenere l’implementazione della direttiva 2011/36/UE, è stato nominato un coordinatore anti-tratta con compiti di coordinamento e monitoraggio e sono state elaborate la Direttiva 2011/92/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e la Direttiva 2012/29/UE[175], la quale ha istituito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione, sostituendo la decisione quadro 2001/220/GAI[176]. La Direttiva 2012/29, volendo, quindi, «garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali»[177], ha ampliato la nozione di vittima[178] ed ha individuato in modo puntuale i diritti che devono essere garantiti alle vittime di tratta[179].

In tema deve essere ricordata anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa[180] che, vantando una forte capacità istituzionale e una certa tradizione in materia di assistenza efficace agli Stati membri nell’attuazione dei loro impegni nell’ambito della difesa dei diritti umani e pur non potendo in generale, adottare, al pari dell’Unione europea, strumenti giuridicamente vincolanti per gli Stati membri, si è, tuttavia, occupata del problema della tratta di persone fin dai primi anni novanta. Infatti tale Organizzazione ha, nel tempo, messo in campo molte azioni concrete che da una parte si sono concretizzate in una facilitazione per gli Stati membri nella creazione di meccanismi nazionali di riferimento utili per l’identificazione delle vittime garantendo loro tutela e sostegno adeguato[181] e, dall’altra, hanno adottato una serie di dichiarazioni e decisioni[182] quali le Linee Guida Anti-tratta per i propri funzionari sul campo, il Piano di azione dell’OSCE del 2003 per la lotta alla tratta di esseri umani e l’istituzione del Meccanismo OSCE di lotta alla tratta[183]. Tra le altre azioni intraprese dall’Unione Europea deve essere ricordata poi la Strategia Europea 2012-2016[184] che, adottata il 19 giugno 2012 dalla Commissione Europea, enuclea quelle priorità sulle quali intensificare le azioni per il contrasto alla tratta: l’Individuazione, la protezione e l’assistenza alle vittime della tratta creando meccanismi di riferimento nazionali e transnazionali e migliorando e potenziando le attività di identificazione e protezione delle vittime, soprattutto minori, informandole adeguatamente sui loro diritti; l’intensificazione della prevenzione della tratta di esseri umani attraverso campagne e programmi di sensibilizzazione per diminuire la domanda; il rafforzamento dell’azione penale nei confronti di trafficanti attraverso l’istituzione di unità nazionali di contrasto multidisciplinari e migliorando e aumentando la qualità delle indagini e delle attività delle forze dell’ordine competenti; il miglioramento del coordinamento e della cooperazione tra i principali soggetti interessati e la coerenza delle politiche rafforzando la rete di collaborazione europea e le azioni di contrasto alla tratta; l’aumento della conoscenza delle problematiche emergenti relative a tutte le forme di tratta di esseri umani e la capacità di dare una risposta efficace sviluppando un sistema europeo di raccolta dati e aumentando la conoscenza e consapevolezza della gravità e portata del fenomeno, in particolare in riferimento ai gruppi vulnerabili.

Oggi, al di là del quadro normativo sopra descritto, contribuiscono, come si è visto, in modo determinante alla repressione della tratta degli esseri umani l’Europol che (quale organizzazione dell’Unione europea costituita per rafforzare e favorire l’attività di indagine a livello comunitario nei confronti delle organizzazioni criminali che operano in due o più Stati membri) fornisce il suo prezioso contributo anche in tema di tratta di esseri umani agevolando lo scambio di informazioni, fornendo supporto alle attività di indagine e realizzando analisi e studi sui principali fenomeni criminali, e l’Eurojust che, costituito con lo scopo di rafforzare il coordinamento delle attività di indagine e processuali delle autorità competenti nei diversi Stati membri dell’Unione, rappresenta un network permanente delle autorità giudiziarie, funzionale alla realizzazione di un’efficace cooperazione in materia giudiziaria per la prevenzione ed il contrasto di gravi crimini organizzati. Del resto, rientrando il reato di tratta di esseri umani «nei rispettivi mandati operativi di Europol e di Eurojust, entrambi da considerare, in prospettiva, come una sorta di garanti dell’effettività dell’azione dell’Unione, rispettivamente, sul piano della cooperazione di polizia e di quella giudiziaria», non deve stupire che «nell’Allegato all’articolo 2 della Convenzione Europol (sostituito ora dall’articolo 4 della Decisione del 6 aprile 2009 e dal relativo allegato) compare, anzi, una delle prime definizioni di rango internazionale del reato de quo, successivamente integrata per effetto di una decisione ad hoc del Consiglio dell’Unione»[185]. Così, il costante coordinamento delle indagini e delle azioni penali tramite l’Interpol, l’Europol e l’Eurojust e l’istituzione di squadre investigative comuni si muovono verso l’obiettivo di rafforzare la cooperazione transfrontaliera e la lotta al fenomeno della tratta di esseri umani attraverso migliori prassi, un dialogo aperto e costante tra le autorità di polizia, giudiziarie e finanziarie degli Stati membri.

5. La legislazione italiana sul fenomeno della tratta degli esseri umani

Come si è visto, il fenomeno della tratta di esseri umani è in continua espansione e l’Italia risulta tra i principali Paesi di destinazione e transito per la tratta di persone per forme di sfruttamento diversificate[186].  La legislazione italiana si è presto conformata agli obblighi internazionali imposti dalle Convenzioni internazionali ed europee (in particolare dai Protocolli di Palermo e dalla decisione quadro UE 2002/629/GAI) attraverso numerosi interventi normativi sul tema quali la Legge 4 agosto 1955, n. 848 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952; la Legge 20 febbraio 1958 n. 75, cosiddetta legge Merlin, sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui in cui è previsto, all’articolo 3, primo capoverso, numeri 6 e 7, la punizione di chi esplica un’attività in associazioni o in organizzazioni nazionali o estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o al suo sfruttamento; nonché l’ipotesi di un trasferimento di una persona da un luogo all’altro del territorio nazionale in relazione all’attività di prostituzione; la Legge 23 novembre 1966 n. 1173 sull’Adesione alla Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione adottata a New York il 21 marzo 1950 e sua esecuzione; la Legge 24 aprile 1967 n. 447 per la Ratifica ed esecuzione della Convenzione Internazionale del lavoro n. 105 concernente l’abolizione del lavoro forzato adottata a Ginevra il 25 giugno 1957; la Legge 25 ottobre 1977 n. 881 per la Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966; la Legge 27 maggio 1991 n. 176 per la Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989; la Legge 6 marzo 1988 n. 40 sulla disciplina dell’immigrazione e per le norme sulla condizione degli stranieri; il Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. 286 del 1998) e, in particolare, il suo articolo 12 che punisce chi pone in essere l’attività di migrazione al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o al suo sfruttamento o l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento e l’articolo 18 sul soggiorno per motivi di protezione sociale delle vittime[187]; il Decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999 n. 394 sul Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286[188]; la legge 3 agosto 1998 n. 269, relativa alla tratta o al commercio di minori al fine di ridurli alla prostituzione che, da una parte, ha introdotto nel codice penale gli articoli 600-bis e 600-septies che puniscono fatti delittuosi compiuti da cittadini italiani all’estero e attribuiscono agli organi inquirenti le facoltà di investigazione relativa e alla criminalità organizzata e, dall’altra, ha modificato il comma 2 dell’articolo 601 per riferirsi alla tratta avente ad oggetto i minori di anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione; il Decreto del Ministro delle Pari Opportunità del 23 novembre 1999 contenente l’Indicazione dei criteri e modalità preordinati alla selezione dei programmi di assistenza e di integrazione sociale disciplinati dall’art. 18 del testo unico   delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero; la Legge 25 maggio 2000, n. 148 sulla Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 182 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all’azione immediata per la loro eliminazione, nonché della Raccomandazione n. 190 sullo stesso argomento, adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro durante la sua ottantasettesima sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999; la Legge 11 marzo 2002, n. 146 per la Ratifica ed esecuzione dei protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti rispettivamente la vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, fatti a New York il 6 settembre 2000; la Legge 20 marzo 2003, n. 77 per la Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996[189].

Di particolare importanza è la legge 11 agosto 2003, n. 228 (misure contro la tratta di persone) che, novellando dall’articolo 600 all’articolo 602 c.p. ormai inadeguati a contrastare il fenomeno della tratta di esseri umani[190], ha rivisto profondamente la disciplina codicistica in tema di delitti contro la personalità individuale e in particolare i delitti contro la libertà individuale. Questo intervento, necessario non solo ad adeguare l’ordinamento italiano alla normativa internazionale, ma anche a risolvere i problemi legati alla sospetta illegittimità costituzionale sotto il profilo del rispetto del principio di determinatezza e tassatività della previgente disciplina caratterizzata da un «modello di descrizione sintetica e di costruzione analogica delle relative nozioni»[191], ha novellato l’articolo 600 c.p. (reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù)[192] la cui formulazione ante riforma era assai lacunosa. Infatti, benché fosse incriminato il fatto di ridurre una persona in schiavitù ovvero in condizione analoga alla schiavitù[193], l’assenza di una definizione legislativa del concetto di schiavitù veniva colmata in via interpretativa rifacendosi all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1926 e, con riferimento alla condizione analoga alla schiavitù, alla Convenzione supplementare di Ginevra del 1956.

 Ciò, tuttavia, ha portato a molte incertezze risolte dalla Cassazione a Sezioni Unite con una interpretazione estensiva che, a prescindere da qualsiasi riferimento codicistico, vedeva la schiavitù e la condizione analoga alla schiavitù in ogni forma di esercizio di un potere simile al diritto di proprietà[194]. La legge n. 228 del 2003, dunque, ha voluto risolvere tale problema prevedendo legislativamente sia cosa debba intendersi per riduzione o mantenimento in stato di schiavitù, sia cosa debba intendersi per riduzione e mantenimento in condizione di servitù.

In particolare, l’articolo 600 c.p., ulteriormente modificato dal d.lgs. n. 24 del 2014 che ha dato attuazione, oltre alla normativa ONU, anche a provvedimenti europei come la decisione quadro UE 2002/629/GAI e, da ultimo, la direttiva 2011/36/UE23[195], prevede che «chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni. La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona»[196]. Così, tale norma, che prevede un reato a forma libera in cui la condotta deve essere reiterata e che, per alcuni tutela lo status libertatis [197] dell’individuo e, per altri, a seguito della novella del 2003, la dignità della persona[198], ha ampliato, a seguito del d.lgs. n. 24 del 2014, il novero delle condotte tassative in cui si può esplicare la riduzione o il mantenimento della vittima in uno stato di soggezione continuativa che, per la giurisprudenza dominante[199], presuppone una posizione di supremazia di un soggetto sull’altro ed una apprezzabile durata nel tempo.

Il d.lgs. numero 24 del 14 ha modificato anche l’articolo 601 c.p. che adesso prevede che sia «punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi. Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età»[200].

Tale norma[201] che disciplina specificamente il fenomeno della tratta di persone, non solo descrive ora le condotte che costituiscono tratta di esseri umani (mentre in precedenza la norma rimandava a tal fine alla normativa internazionale) ma chiarisce anche che il reato in questione possa dirsi integrato anche laddove le condotte siano commesse ai danni di una sola persona.

In tema di tratta di esseri umani vi è, poi, l’art. 602 c.p. che, novellato dalla legge 228 del 2003, dispone che «chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all’articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni. La pena è aumentata da un terzo alla metà se la persona offesa è minore degli anni diciotto ovvero se i fatti di cui al primo comma sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi»[202]. Tale disciplina penalistica è, poi, completata dalla previsione di una protezione e tutela della vittima di tratta che è attuata attraverso un «percorso sociale», contemplato nell’art. 18 del T.U. in materia di immigrazione, sulla falsariga della previsione contenuta nel Protocollo di Palermo.

Inoltre, circa il grave problema della tratta di persone ai fini di sfruttamento lavorativo[203], l’Italia ha mosso un piccolo passo in avanti nel contrasto allo sfruttamento lavorativo con l’adozione dell’art. 603 bis del codice penale “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, grazie all’art. 12 del d. l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge n. 148, 14 settembre 2011 e alla successiva modifica operata il 18 ottobre 2016 dalla Camera dei deputati che ha approvato la legge n. 199 del 29 ottobre 2016 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 3 novembre 2016) relativa a disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo.

Infine, sempre in risposta al fenomeno della tratta di esseri umani l’Ordinamento italiano ha approntato negli ultimi anni al di là della legge n. 228 del 2003 e del d.lgs. n. 24 del 2014, il d.P.R. n. 237/2005, recante il Regolamento di attuazione dell’art. 13 della Legge n. 228/2003 (“Direttive per l’implementazione di interventi rivolti specificamente ad assicurare, in via transitoria, alle vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, adeguate condizioni di alloggio, vitto e assistenza sanitaria, idonee al loro recupero fisico e psichico”); la Legge del 16 marzo 2006 n. 146 di Ratifica ed esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale e dei Protocolli annessi, adottati dall’Assemblea generale il 15 Novembre 2000 ed il 31 maggio 2001[204]; la costruzione di un Piano nazionale Anti-tratta nel 2008 ad opera della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le pari opportunità) diretto ad individuare un terreno condiviso per l’articolazione di un vero e proprio Piano nazionale anti tratta; la Legge del 2 luglio 2010, n. 108 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno”; la l. n. 108/10 di ratifica ed esecuzione della “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani[205]; il d. lgs. 109 del 16 luglio 2012 che ha introdotto nel Testo Unico Immigrazione alcune norme relative alle sanzioni a carico dei datori di lavoro (art. 22 comma 12bis D.lgs. 286/98 che recepisce, così, la direttiva europea 2009/52UE relativa all’impiego di manodopera irregolare) e allo speciale permesso di soggiorno che può essere rilasciato ai lavoratori in presenza di alcune specifiche condizioni (art. 22 comma 12quater D.lgs. 286/98)[206]; l’adozione da parte del Consiglio dei Ministri , il 26 febbraio 2016, di un Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento per il periodo 2016-2018[207]; il Progetto adottato dalla Regione Veneto in tema di intervento in merito alla questione della tratta di esseri umani. Tale Progetto, denominato N.A.V.E, è stato attuato in base al DPCM 16/5/2016, finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità, all’interno del Piano Nazionale Anti tratta ed è in funzione dal primo settembre 2016 fino a dicembre 2017.

Più recentemente, infine, è stato modificato l’art. 603-bis c.p. in tema di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” con la legge n. 199 del 29 ottobre 2016, “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”, ai fini di un contrasto più efficace anche della tratta per sfruttamento lavorativo. Da quanto sopra esposto, si può dunque dire che sia le riforme che hanno interessato la tratta di esseri umani, ed in particolare l’art. 600 c.p., sia la costante attività del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è l’organismo cha ha compiti di indirizzo, coordinamento, monitoraggio e valutazione delle attività politiche e tutti gli aspetti dell’ambito della tratta di persone (funzione attribuita dall’art. 7 del d.lgs. n. 24 del 4 marzo 2014, attuativo della direttiva 2011/36/UE) e che gestisce, inoltre, una banca dati centralizzata, il SIRIT – Sistema informatizzato per la raccolta di informazioni sulla tratta- hanno indubbiamente avuto, pur in presenza di varie difficoltà applicative[208], il merito di allineare maggiormente la disciplina nazionale alle esigenze delle forme moderne e nuove di schiavitù come, del resto, è imposto dagli strumenti internazionali.

6. Rilievi conclusivi

E’ noto ormai che al crimine transnazionale gli Stati hanno cercato di dare una concreta risposta, dapprima prevalentemente sul piano nazionale, poi sul piano internazionale e comunitario. La scelta di far confluire nel diritto internazionale e comunitario gli sforzi diretti alla repressione del fenomeno in questione, ha richiesto un notevole impiego di risorse ed ha, naturalmente, comportato un ampliamento dei tempi per stabilire regole sanzionatorie comuni. Nonostante gli Stati abbiano impiegato anni per giungere ad una definizione condivisa di criminalità organizzata e di tratta di esseri umani con la Convenzione di Palermo, ancora sussistono però forti polemiche tra gli Stati per le difficoltà di adattamento dei vari ordinamenti interni alla comune disciplina internazionale in materia. Difficoltà senza dubbio dovute, alla tanto auspicata armonizzazione delle decisioni penali, quale obiettivo principe della cooperazione giudiziaria.

Ad oggi, inoltre, manca ancora un’autorità che dia esecuzione in maniera uniforme ed adeguata al perseguimento dei reati transnazionali. Basti pensare al fatto che le Agenzie europee nel settore penale hanno una competenza limitata nella trasmissione di informazioni e dati, nella messa in comunicazione di autorità di Paesi differenti, nella ricerca e negli studi di settore, nonché nel supporto logistico delle forze di polizia nazionali.

Circa poi il fenomeno della tratta di esseri umani, questo, come si è visto, rappresenta attualmente una piaga ancora ben presente su scala internazionale, che si è evoluta nel corso degli anni ed ha assunto facce nuove e diverse. Se, infatti, fino a qualche decennio fa erano le donne a essere le principali vittime di tratta per sfruttamento della prostituzione, oggi le vittime sono di qualsiasi genere ed età ed indirizzate a diverse tipologie di sfruttamento. Dunque, benché appaia sicuramente positivo il lavoro svolto dalla Comunità internazionale e dai singoli Stati per cercare di contrastare questo fenomeno, è evidente che sarebbe necessaria una maggior azione incisiva di intervento e prevenzione. Del resto, nonostante gli Stati siano formalmente obbligati a prevedere misure e azioni di contrasto alla tratta, di protezione e di sostegno delle vittime e debbano perseguire penalmente i responsabili, esiste di fatto ancora un enorme gap tra l’aspetto normativo della questione e ciò che invece è e dovrebbe essere materialmente attuato per raggiungere l’obiettivo di contrastare la tratta in modo efficace. Ciò che emerge, allora, è che spesso le azioni d’intervento e contrasto alla tratta intervengono solamente a posteriori, mentre ancora pochi sono gli interventi indirizzati alla prevenzione del fenomeno. Così, da quanto detto, si evince da una parte l’importanza che riveste sul piano internazionale e comunitario la cooperazione giudiziaria in tema di lotta ai nuovi fenomeni di criminalità e, dall’altra, la necessità di pervenire ad una costante e sempre maggiore attenzione da parte delle Istituzioni nazionali ed internazionali nell’adozione di strumenti normativi che, superando le attuali debolezze del sistema di cooperazione giudiziaria, riescano ad essere ulteriori tappe per migliorare il funzionamento degli attuali strumenti messi in campo contro le forme più gravi di criminalità transnazionale. Sarà allora dirimente osservare se all’attenzione crescente al fenomeno della tratta degli esseri umani farà seguito una conseguente evoluzione della normativa in materia, in grado di correlare alla naturale proibizione assoluta di tale fenomeno un impegno sempre maggiore degli Stati con azioni concrete ed efficaci nella prevenzione e nell’eliminazione di questo delitto che, oltre ad essere un proficuo business per le organizzazioni criminali rappresenta, altresì, una intollerabile violazione della dignità degli esseri umani.


Bibliografia
[1] U. SAVONA, Processi di globalizzazione e criminalità organizzata transnazionale, transcrime, working paper n. 29, consultabile sul sito internet: www.jus.unitn.it/transcrime/papers/wp29.html.
[2] S. BEUCCI, M. MASSARI, Globalizzazione e criminalità, Laterza, Roma-Bari, 2003.
[3] Cfr. A. CENTONZE, Criminalità organizzata e reati transnazionali, Giuffrè, Milano, 2008.
[4] E’ stato più volte evidenziato come la globalizzazione abbia avuto notevole incidenza sull’economia mondiale e sul suo progresso. In tema si rinvia a P. ALLDRIDGE, Money laundering and globalization,in Journal of law and society, 35, 4, 2008, pp. 437 – 463. Inevitabilmente, anche la criminalità si è adattata alla nuova realtà economica “globalizzata”. Ad esempio, in tema, A. LAUDATI, I delitti transnazionali. Nuovi modelli di incriminazione e di procedimento all’interno dell’Unione Europea, in DPP, 4, 2006, p. 402, afferma che «è noto che i comportamenti criminali obbediscono alle leggi della economia e che si adeguano alle occasioni di guadagno offerte dalla società secondo la logica del massimo profitto con il minor rischio possibile».
[5] P. MASSARO, Criminalità transnazionale. Problemi e prospettive, Cacucci, Bari, 2003, p. 8 e ss., richiamandosi alla definizione fornita da U. BECK, Che cos’é la globalizzazione, Carocci, Roma, 2001, p. 24 e ss. Fondamentale, altresì, sulla tematica dell’incidenza della globalizzazione sull’ordinamento giuridico penale la lettura di S. BEUCCI, M. MASSARI, Globalizzazione e criminalità, Laterza, Roma-Bari, 2003.
[6] A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 17 e ss.
[7] A. SCIACCHITANO, Importanti passi avanti per superare le divergenze tra il concetto di associazione e quello di conspiracy, in GDir, 1, 13 gennaio 2001, p. 6 e ss.
[8] Per un approfondimento sul tema, in particolare, si rinvia a V. MILITELLO, Le strategie di contrasto della criminalità organizzata transnazionale tra esigenze di politica criminale e tutela dei diritti umani, in AA.VV., L’attività di contrasto alla criminalità organizzata. Lo stato dell’arte, a cura di C. PARANO, A. CENTONZE, Giuffrè, Milano, 2005, p. 245 e ss.
[9] Cfr. per queste ed altre importanti riflessioni sulle conseguenze della globalizzazione sulla criminalità organizzata transnazionale, A. LAUDATI, I delitti transnazionali. Nuovi modelli di incriminazione e di procedimento all’interno dell’Unione Europea, in DPP, 4, 2006, p. 402 e ss. che distingue due direttrici principali di trasformazione delle organizzazioni criminali nel mercato globalizzato: la mimetizzazione delle strutture criminali (con progressiva assunzione delle modalità operative delle imprese criminali) e la progressiva internazionalizzazione delle associazioni criminali che, per effetto della globalizzazione dei mercati e della necessità di spostare persone o merci sul territorio dell’Unione Europea, hanno necessariamente costituito basi operative e gruppi di riferimento in tutti i Paesi dell’Unione Europea, sfruttando spesso le differenze di legislazione o la minore efficienza delle strutture si contrasto.
[10] P. MASSARO, Criminalità transnazionale. Problemi e prospettive, Cacucci, Bari, 2003, p. 13 e ss. concorda sul punto con quanto sostenuto da E. SAVONA, Processi di globalizzazione e criminalità organizzata transnazionale, transcrime, working paper n. 29 consultabile sul sito internet: www.jus.unitn.it/transcrime/papers/wp29.html. Circa il ruolo della globalizzazione nella crisi dello Stato nazionale, le conseguenze in termini di fonti e di passaggio da una logica da verticale ad orizzontale come risultato dell’incidenza dell’intervento normativo sovranazionale, M. R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Il Mulino, Bologna, 2002.
[11] P. MASSARO, Criminalità transnazionale. Problemi e prospettive, Cacucci, Bari, 2003, p. 15 e ss.
[12] G. DE FRANCESCO, Organizzazioni criminali: problematiche de lege ferenda, in StI, 12, 2001, p. 1433 e ss.
[13] M. PISANI, Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, in RIDPP, 1998, p. 703 e ss.; S. RIONDATO, Il coordinamento giudiziario in Italia e in Europa. Normative e modelli a confronto, in DPP, 3, 2006, p. 377 e ss.; G. MELILLO, A. SPATARO, P. L. VIGNA, Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo, Giuffrè, Milano, 2004.
[14] Sulla ricostruzione della storia della cooperazione internazionale, si veda il contributo di E. U. SAVONA, Audizione del prof. Savona sui temi della criminalità organizzata e corruzione in Europa, Relazione presentata alla Commissione per le libertà civili e gli affari interni del Parlamento Europeo, Bruxelles, 18 luglio 1995, in Trasncrime. Working paper n. 1.
[15] Sul tema si rinvia a M. C. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Utet, Torino, 2011, p. 409 e ss.
[16] Sul tema si rinvia a C. SERRAM, M. STRANO, Nuove frontiere della criminalità: la criminalità tecnologica, Giuffrè, Milano, 1997.
[17] Sull’opportunità di un approccio globale al tema delle nuove forme di schiavitù si rinvia a V. MUSACCHIO, Schiavitù e Tratta di Esseri Umani: Analisi del Fenomeno ed Esigenza di una  normativa penale internazionale, in Diritto di famiglia e delle persone, 2002, p. 263 e ss.
[18] Ginevra, 1975, V° Congresso sulla prevenzione del crimine.
[19] Per il Commentario sulla Convenzione, si veda E/CN.7/590.
[20] Dichiarazione politica e Piano di azione globale contro il crimine organizzato transnazionale adottati nella Conferenza ministeriale mondiale sul crimine organizzato transnazionale di Napoli del 1994 (Per i lavori della Conferenza, si veda A/49/748). Come ricorda G. MICHELINI, Il progetto di Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, in QG, 1999, p. 948 «la Conferenza dei ministri richiedeva, infatti, alla Commissione per la prevenzione del crimine e la giustizia penale, di iniziare il processo di esame delle opinioni dei governi nazionali sull’impatto di una o più Convenzioni generali contro il crimine organizzato transnazionale e sugli argomenti da coprire con un simile strumento pattizio». Si veda anche P. MASSARO, Criminalità transnazionale. Problemi e prospettive, Cacucci, Bari, 2003, p. 34 e ss.; Per un approfondimento sull’incontro si consulti M. FRAGOLA, La Conferenza mondiale ministeriale delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale, in CI, 1, 1995, p. 107 e ss.
[21] Dal Testo della Convenzione emerge il comune bisogno di cooperazione, in particolare in riferimento alla armonizzazione dei Testi legislativi circa la criminalità organizzata, alla piena realizzazione di una collaborazione a livello di indagini, di conseguenze sanzionatorie e processuali. Si auspicava, altresì, la creazione di modelli e di principi per una cooperazione internazionale a livello nazionale e globale, la predisposizione di un accordo sulla criminalità organizzata transnazionale e la previsione di misure e strategie per prevenire e combattere il riciclaggio e per controllare l’uso dei beni sequestrati.
[22] Azione Comune 98/733/GAI.
[23] Sul ruolo dell’Unione europea nella predisposizione di norme contro il crimine transnazionale si rinvia a V. MILITELLO, Sugli albori di un diritto penale comune in Europa: il contrasto alla criminalità organizzata, in AA. VV., Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, a cura di V. MILITELLO, L. PAOLI, J. ARNOLD, Freiburg, Milano, 2000; S. MANACORDA, La fattispecie-tipo della “organizzazione criminale” nel diritto dell’Unione Europea, in AA. VV., Nuove strategie per la lotta la crimine organizzato transnazionale, a cura di V. PATALANO, Giappichelli, Torino, 2003, p. 302 e ss.
[24] Nel 1997 c’era stato un Piano di azione contro la criminalità organizzata, seguito da questa Azione comune relativa alla punibilità della partecipazione ad una organizzazione criminale negli Stati membri dell’Unione Europea. Successivamente ricordiamo il ruolo decisivo svolto dalla Posizione Comune del 29 marzo 1999, in GUCE L087, 31 marzo 1999, «che puntava alla promozione di posizioni negoziali concordate ed alla coerenza con l’aquis comunitario in materia», come nota R. BARBERINI, L’entrata in vigore della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale, in QG, 5, 2003, p. 1033 e ss.; R. BARBERINI, Entrata in vigore della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale e il disegno di legge di ratifica, in CP, 11, 2003, p. 3267 e ss.
[25] Il nome deriva dal fatto che venne firmata a Palermo. in realtà la firma fu preceduta da numerose sessioni intermedie nelle quali si é in realtà concretamente svolta la stesura: da febbraio 1998 a Varsavia fino a dicembre 2000 appunto a Palermo, passando per Roma e Buenos Aires, oltre che svariate volte a Vienna. La bibliografia sul tema é estremamente vasta. Per un’analisi approfondita, fondamentale é quantomeno il rinvio a AA. VV., Criminalità transnazionale tra esperienze europee e risposte penali globali, Atti del 3° Convegno internazionale (Lucca, 24-25 maggio 2002), Giuffrè, Milano, 2005; AA. VV., Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato transnazionale, a cura di V. PATALANO, Giappichelli, Torino, 2003; AA. VV., Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, a cura di E. ROSI, IPSOA, Milano, 2007; D. MCCLEAN, Transnational organized crime: a Commentary on the U.N. Convention and its Protocols, OUP, Oxford, 2007; AA. VV., Combating transnational crime. Concepts, activities and responses, Williams-Vlassis, London, 2001; AA. VV., Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale. Forme di manifestazione, prevenzione in Italia, Germania e Spagna, a cura di V. MILITELLO, J. ARNOLD, L. PAOLI, Freiburg, Milano, 2000; AA. VV., Le strategie di contrasto alla criminalità organizzata nella prospettiva del diritto comparato, a cura di R. FORNASARI, CEDAM, Padova, 2002.
[26] Nel corso della 55° Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Ris. 55/25), venivano adottate la Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale ed i Protocolli contro il traffico di migranti e contro la tratta di persone, seguiti da un terzo Protocollo addizionale, contro la produzione illecita ed il traffico di armi da fuoco, adottato con la Ris. 55/255 del 31 maggio 2001.
[27] Sul tema si rinvia a M. BLANDINI, Il Programma Globale delle Nazioni Unite contro la tratta di esseri umani, in Revista electrónica del Departamento de Derecho de la Universidad de La Rioja, 5, 2007, pp. 93-127.
[28] L’articolato della Convenzione di Palermo si può consultare anche nell’appendice normativa di F. FREZZA, N. M. PACE, F. SPIEZIA, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani. Primo commento alla legge di modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo, Giuffrè, Milano, 2002.
[29] Con la Legge 16.03.2006 n°146 è stata ratificata dal Parlamento Italiano la Convenzione dell’ONU che riguarda il crimine organizzato transnazionale che pone fine ad un vuoto normativo nella disciplina della materia. In particolare la nuova Legge definisce quale “reato transnazionale” il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: a) sia commesso in più di uno Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
[30] Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini; Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria; Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale relativo alla produzione illegale e al traffico di armi da fuoco, delle loro parti e componenti e delle loro munizioni. Come chiariscono G. MICHELINI, G. POLIMENI, Il fenomeno del crimine transnazionale e la Convenzione delle Nazione Unite contro il crimine organizzato transnazionale, in AA. VV., Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, a cura di E. ROSI, IPSOA, Milano, 2007, p. 19 «nel corso dei lavori veniva chiarito che la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale avrebbe dovuto costituire uno strumento normativo autonomo ed autosufficiente, mentre i Protocolli addizionali sarebbero stati strumenti opzionali alla Convenzione principale, per coprire aree di intervento che richiedevano specificità e che non potevano essere appropriatamente affrontate nel corpo della Convenzione, secondo l’accordo che ogni strumento normativo doveva affrontare specifiche tematiche e preoccupazioni della comunità internazionale».
[31] Sul tema R. BARBERINI, L’entrata in vigore della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale, in QG, 5, 2003, p. 1031 «é il primo Trattato internazionale multilaterale in materia». Si consulti, altresì, il medesimo articolo per una ricostruzione puntuale delle varie Risoluzioni che hanno preceduto l’emanazione della TOC Convention (49/159 del 23 dicembre 1994, 52/85 del 12 dicembre 1997, 53/111 del 9 dicembre 1998, 54/126 del 17 dicembre 1999, 54/129 del 17 dicembre 1999); in tema si rinvia anche a S. ALEO, Sul problema della definizione della criminalità organizzata alla luce della Convenzione di Palermo, in Rass. penit. crim., 2003, n.1-2, p. 1 e ss.
[32] L’articolo 1 della Convenzione di Palermo afferma espressamente che è «scopo della presente Convenzione è di promuovere la cooperazione per prevenire e combattere il crimine organizzato transnazionale in maniera più efficace». L’obiettivo della Convenzione di «incrementare l’efficacia della cooperazione internazionale in materia di criminalità organizzata transnazionale” é affidato ad un “insieme integrato di misure per sviluppare la cooperazione giudiziaria e di polizia e per elevare la capacità preventiva nei confronti delle organizzazioni criminali transnazionali», Così V. MILITELLO, Le strategie di contrasto della criminalità organizzata transnazionale tra esigenze di politica criminale e tutela dei diritti umani. Paper presentato a L’ Attività di contrasto alla criminalità organizzata: lo stato dell’arte, 2005, pp. 243-274, ivi p. 249.
[33] Le Nazioni Unite hanno cominciato ad occuparsi della criminalità organizzata transnazionale ormai da tempo. Per un lavoro di ricostruzione e classificazione dei documenti delle Nazioni Unite che si sono, anche solo parzialmente, occupati di criminalità internazionale si rinvia a C. BASSIOUNI, E. VETERE, D. VLASSIS, Organized crime. A compilation of U.N. Documents (1975-1998), Transnational Publishers, USA, 1998.
[34] L. SHELLY, Human Trafficking. A global perspective, Cambridge University Press, New York, 2010; S. SCARPA, Trafficking in Human Beings: Modern Slavery, OUP Oxford, Oxford, 2008.
[35] Oltre alla definizione di tratta contenuta nel Protocollo sulla repressione della tratta di esseri umani, specialmente donne e bambini, addizionale alla Convenzione di Palermo è utile qui riportare la definizione di tratta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che la identifica con «the illicit and clandestine movement of persons across national and international borders, largely form developing countries and some countries with economies in transition, with the end goal of forcing women and girl children into sexually or economically oppressive and exploitative situations for the profit of recruiters, traffickers and crime syndicates, as well as other illegal activities related to trafficking, such as forced domestic labour, false marriages, clandestine employment, and false adoption». Si veda il Report of the Special Rapporteur on Violence Against Women, its Causes and Consequences, U.N. ESCOR, Commission on Human Rights, 53d Session, Provisional Agenda Item 9(a), U.N. Doc. E/CN.4/1997/47. Sul tema si rinvia anche alla relazione tenuta al Consiglio Superiore della Magistratura dal Dott. F. SPIEZIA, La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, Roma, 14 ottobre 2008.
[36] Nessun paese, secondo le stime dell’United Nations Office on Drugs and Crime è immune da questa piaga, se si considera che, secondo i suoi rapporti annuali le vittime della tratta provengono da 127 paesi e che lo sfruttamento di queste avviene in 135 Stati. Sono pochissimi, dunque, i paesi che non sono interessati dalla tratta, il cui territorio, cioè, non funge da luogo di partenza, transito o arrivo delle vittime. Cfr. United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), Annual Report 2008, Vienna, 2008, p. 25. Il fenomeno del traffico di esseri umani dunque «costituisce una delle più gravi forme di reato con una dimensione mondiale, coinvolgendo decine di migliaia di persone, in particolare donne e bambini, che ne sono le principali vittime». Così F. SPIEZIA, La tratta di esseri umani: gli strumenti normativi di contrasto sul piano internazionale e le attività di cooperazione giudiziaria, Relazione all’incontro organizzato dal C.S.M., Giugno 2010, reperibile sul sito www.stranieriinitalia.it. Sul tema si veda, altresì, S. FORLATI, (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Jovene, Napoli, 2013.
[37] S. LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, in F. CARCHEDI, G. MOTTURA, E. PUGLIESE (a cura di), Il lavoro servile e le nuove protocollo schiavitù, Franco Angeli, Milano, 2003.
[38] Sui legami tra i flussi migratori e il crimine organizzato si veda, in generale, R. VAYRYNEN, Illegal immigration, human trafficking, and organized crime, in UNU WIDER Working Paper, 2003, consultabile sul sito: https://www.wider.unu.edu/publication/illegal-immigration-human-trafficking-and-organized-crime.
[39] In riferimento alle cause alla base della diffusione sempre maggiore della tratta e per un approfondimento dell’evoluzione del fenomeno si veda, tra gli altri, S. VOLPICELLI, Comprendere e Contrastare la Tratta di Persone, in IOM, International Organization for Migration, 2004, consultabile sul sito internet: https://www.iom.int.
[40] Sulle condizioni economiche di donne e minori in alcune realtà sociali come una delle principali cause della tratta si veda J. CHUANG, Redirecting the Debate over Trafficking in Women: Definitions, Paradigms and Contexts, in Harvard Human Rights Journal, 11, 1998, p. 68 e ss.
[41] Sul tema si rinvia a S. VOLPICELLI, Comprendere e Contrastare la Tratta di Persone, in IOM, International Organization for Migration, 2004, consultabile sul sito internet: https://www.iom.int.
[42] Cfr. P. ARLACCHI, Schiavi: il nuovo traffico di esseri umani, Rizzoli, Milano, 1999; E. CICONTE, P. ROMANI, Le nuove schiavitù, Editori Riuniti, Roma, 2002; M. R. SAULLE, Schiavitù (dir. internaz.), in Enc. Dir., Vol. XLI, Giuffrè, Milano, 1989, p. 641 e ss. Sull’evoluzione della nozione di schiavitù nell’ordinamento internazionale e sulle nuove forme di schiavitù si vedano, tra gli altri, M. DOTTRIDGE, D. WEISSBRODT, Review of the Implementation of and Follow-up to the Convention on Slavery, in GYIL, 42, 1999, p. 242 e ss.; Y. RASSAM, Contemporary Forms of Slavery and the Evolution of the Prohibition of Slavery and the Slave Trade Under Customary International Law, in Virginia Journal of International Law, 39, 1999, pp. 303 e ss.; M. R. SAULLE, Il commercio globalizzato degli schiavi, in Affari Sociali Internazionali, 4, 2002, pp. 49 e ss.; N. LASSEN, Slavery and Slavery Like Practices: United NationsStandards and Implementation, in Nordic Journal of International Law, 1988, p. 197 e ss.; F. LENZERINI, Suppressing Slavery Under Customary International Law, in IYBIL, 10, 2000, pp. 145 – 155.
[43] Cfr. United Nations Report, 1996, dove si legge «Since its inception, the United Nations has always been committed to the abolition or elimination of slavery and related practices in all their forms and in every part of the world… Despite a plethora of [U.N.] recommendations, decisions, and others pronouncements… slavery is not quite yet dead. Quite the reverse: the traffic and sale of human beings are flourishing. International prostitution rings are growing more powerful, and the exploitation of workers in debt servitude is becoming organized and is spreading. New forms of slavery are emerging, and the international community generally lacks the wherewithal to tackle this all too widespread scourge». Si veda anche A. Y. RASSAM, Contemporary Forms of Slavery and the Evolution of the Prohibition of Slavery and the Slave Trade under Customary International Law, in Virginia Journal of International Law, 1999, pp. 308 e ss. che rileva come «practices like sex trafficking and the resulting forced prostitution, debt bondage, exploitation of immigrant domestic workers, and forced labor […] are deemed by the international community to be contemporary forms of slavery». Sul punto anche J. FITZPARICK, Trafficking as a Human Rights Violation: the Complex Intersection of Legal Frameworks for Conceptualizing and Combating Trafficking, in Michigan Journal of International Law, 2003, p. 1144 e ss.
[44]Cfr. P. ARLACCHI, Schiavi. Il Nuovo Traffico di Esseri Umani, Rizzoli, Milano 1999, p. 11, che scrive «la schiavitù contemporanea si manifesta in molte forme, ma nessuna di esse è nuova. Le sue tre principali espressioni – la compravendita e lo sfruttamento lavorativo e sessuale dei bambini e delle donne, il lavoro forzato e l’asservimento per debiti – sono piaghe arcaiche, ben conosciute dall’antichità grecoromana e dalle civiltà asiatiche e africane di migliaia di anni addietro», sottolineando, però che esiste un’importante differenza tra la schiavitù attuale e quella “storica”. Infatti, «non c’era solo l’utilizzo della manodopera asservita in agricoltura, nelle miniere e nella manifattura. Gli schiavi erano usati come mezzo di espressione della grandeur politica, per costruire piramidi, monumenti, cattedrali. Venivano sacrificati nelle cerimonie religiose, fatti combattere in guerra e nei circhi, servivano nelle case dei patrizi e dei nuovi ricchi, remavano nelle navi militari». Arlacchi sottolinea poi che oggi, invece, è il profitto economico a spingere verso l’asservimento di milioni di persone in tutto il mondo. Infatti «nell’ultima parte del XX secolo si è verificato un aumento senza precedenti degli individui ridotti in schiavitù allo scopo di produrre beni e servizi per il mercato».
[45] A tal proposito alcuni autori fanno notare come molti elementi comuni possano far parlare tranquillamente di “nuove forme di schiavitù”.
[46] Cfr. V. MUSACCHIO, Schiavitù e Tratta di Esseri Umani: Analisi del Fenomeno ed Esigenza di una Normativa Penale Internazionale, in Il Diritto di Famiglia e delle Persone, 2003, p. 243 e ss.
[47] Cfr. M. BERARDELLI, Il traffico internazionale di donne e bambini: una riedizione della schiavitù?, in Affari Sociali Internazionali, 1, 2002, p. 147 e ss. che sottolinea come «i crescenti problemi economici dei paesi in via di sviluppo sono correlati all’aumento del traffico di persone» e come «i trafficanti si avvalgono di diverse forme di reclutamento, tra cui il rapimento vero e proprio e l’acquisto diretto presso le famiglie. In molti casi, comunque, la potenziale vittima del traffico sta già cercando una possibilità per emigrare quando viene avvicinata da un conoscente o attratta da un annuncio pubblicitario. Alcune sono portate a credere che verranno reclutate per un lavoro legittimo o per un matrimonio all’estero».
[48] In tema si rinvia a F. LENZERINI, Suppressing Slavery Under Customary International Law, in Italian Yearbook of International Law, X, 2000, pp. 145 e ss. Che sottolinea come, in realtà, pratiche tradizionali di schiavitù siano ancora oggi largamente diffuse sia in Sudan che in Mauritania, paesi entrambi firmatari delle due convenzioni internazionali multilaterali per l’abolizione della schiavitù, tutt’ora in vigore (Convenzione del 1926 sulla Schiavitù, promossa dalla Società delle Nazioni e la Convenzione Supplementare per l’Abolizione delle Schiavitù del 1956 in ambito ONU che integra e completa la precedente).
[49] Ai sensi dell’art. 3 del Protocollo «Trafficking in Persons shall mean the recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the torture or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of a position of vulnerability or of the living or receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation. Exploitation shall include, at a minimum, the exploitation of the prostitution of others or other forms of sexual exploitation, forced labour or services, slavery or practices similar to slavery, servitude or removal of organs».
[50] La Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato Transnazionale, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 15 novembre 2000 con la risoluzione n. 55/25 è stata aperta alla firma alla Conferenza internazionale che si è svolta a Palermo dal 12 al 16 dicembre 2000. Sulla Convenzione di Palermo in generale si veda, tra gli altri, R. BARBERINI, La Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato Transnazionale, in La Comunità Internazionale, 3, 2003, p. 395 e ss.
[51] Il primo Stato ad abolire la schiavitù e la tratta degli schiavi fu la Francia nel 1794, a cui seguirono la Danimarca, la Gran Bretagna, l’Olanda, gli Stati Uniti, la Svezia, gli Stati dell’America centrale ed il Portogallo. In America, tuttavia, si dovette attendere la guerra di secessione, motivata appunto dall’eliminazione della piaga della schiavitù, e l’emanazione, nel 1862, di un apposito decreto da parte del presidente degli Stati Uniti, Abramo Lincoln, per giungere all’abolizione della schiavitù negli Stati del Sud alla fine della guerra, nel 1866.
[52] Col quale si prevedeva la soppressione della tratta di schiavi in Africa ed il diritto di ciascuna Stato contraente di giudicare gli equipaggi delle navi adibite al trasporto degli schiavi indipendentemente dalla nazionalità delle stesse.
[53] Sul tema si rinvia a I. CARACCIOLO, Dalla Tratta di Schiavi alla Tratta di Migranti Clandestini, in U. LEANZA (a cura di), Le Migrazioni: una sfida per il diritto internazionale, comunitario e interno, Atti del IX Congresso della SIDI, Roma, 17-18 giungo 1994, pp. 154-155.
[54] Slavery Convention, in United Nations Treaty Series, vol. 212, p. 17.
[55] Si pensi, ad esempio, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 che, all’art. 4, vieta la schiavitù (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950, in United Nations Treaty Series, 221, pp. 213 e ss.), alla Convenzione americana sui diritti umani di San José de Costa Rica del 22 novembre 1969 che, all’art. 6, sancisce la libertà dalla schiavitù (American Convention on Human Rights, adottata dalla Inter-american Specialized Conference on Human Rights il 22 novembre 1969 a San Josè, Costa Rica ed entrata in vigore il 18 luglio 1978, in Organization of American States Treaty Series, n. 36, 1144, p. 123 ss.) e, infine alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 27 giugno 1981 che proibisce, all’art. 5, ogni forma di sfruttamento e di degradazione dell’uomo e, in particolare, la schiavitù, la tratta degli schiavi, la tortura, le punizioni e i trattamenti crudeli, disumani o degradanti (African Charter on Human and People’s Rights, adottata il 26 giugno 1981, O.A.U. Doc. CAB/LEG/67/3/Rev.5, in International Legal Materials, 1982, 21, p. 58 e ss.).
[56] Cfr. Universal Declaration of Human Rights, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 217° (III), contenuta in Resolutions: official records of the 3rd session of the General Assembly, part. 1, 21 September – 12 December 1948, U.N. Doc. A/810 (1948).
[57] Supplementary Convention on the Abolition of Slavery, the Slave Trade, and Institutions and Practices Similar to Slavery, in United Nations Treaty Series, vol. 226, p. 3. Deve essere precisato, inoltre, che sebbene tra le pratiche proibite elencate nell’art. 1 della Convenzione del 1956 non rientri la tratta, alla stregua dell’ampia definizione di schiavitù adottata essa si presta comunque ad essere considerata, per le sue modalità di realizzazione, una forma di schiavitù. La prassi successiva, inoltre, esplicita l’inclusione della tratta nel divieto di schiavitù che si desumeva solo implicitamente dalla Convenzione del 1956.
[58] International Covenant on Civil and Political Rights, adottato dall’Assemblea Generale con la risoluzione 2200A (XXI) del 1966, in United Nations Treaty Series, vol. 999, p. 171 e ss.
[59] International Agreement for the Suppression of the White Slave Traffic, in League of Nations Treaty Series, vol. 1, pp. 83 e ss.
[60] International Convention for the Suppression of the White Slave Traffic and Final Protocol, in League of Nations Treaty Series, vol. 3, pp. 275 e ss. ed in Rivista di diritto internazionale, 1924, p. 445 e ss.
[61] K. CORRIGAN, Putting the Brakes on the Global Trafficking of Women for the Sex Trade: an Analysis of Existing Regulatory Schemes to Stop the Flow of Traffic, in Fordham International Law Journal, 25, 1, 2001,pp. 151-214; N. V. DEMLEITER, Forced Prostitution: Naming an International Offense, in Fordham International Law Journal, 18,1, 1994, pp. 16 -197; J. CHUANG, Redirecting the Debate over Trafficking in Women: Definitions, Paradigms and Contexts, in Harvard Human Rights Journal, 11, 1998, pp. 74-75.
[62] International Convention for the Suppression of the Traffic in Women and Children, in League of Nations Treaty Series, vol. 9, p. 415.
[63] International Convention for the Suppression of the Traffic of Women of Full Age, in League of Nations Treaty Series, vol. 150, p. 431.
[64] Si veda sul tema il Report of the Sub-Commission on the Status of Women to the Commission on Human Rights, U.N. ESCOR, 2nd Sess., Annex 4, U.N. Doc. E./HR/18/Rev. 1, 1946, pp. 237-238
[65] Cfr. Convention for the Suppression of the Traffic in Persons and of the Exploitation of the Prostitution of Others, aperta alla firma il 21 marzo 1950 ed entrata il vigore il 25 luglio 1951, in United Nations Treaty Series, vol. 96, p. 271. Sulla Convenzione si veda K. SILFVERBERG, Suppression of the Traffick in Persons and the Exploitation of the Prostitution of others, in The Finnish Yearbook of the International Law, 1991, p. 91 e ss.
[66] Oggi dal dettato normativo dell’articolo 3 del Protocollo Addizionale alla Convenzione di Palermo emergono come elementi centrali della tratta di esseri umani: i) la condotta, ii) il metodo, iii) il fine. Il primo elemento riguarda i principali caratteri della condotta: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o accogliere persone. Il secondo elemento considera gli strumenti mediante i quali le vittime sono trasportate: i trafficanti utilizzano la forza, la minaccia d’impiego della stessa o altre forme di coercizione. Ciò suggerisce come non vi sia un libero consenso da parte delle vittime. Il primo e il secondo elemento sono, ad ogni modo, strettamente collegati, in quanto insieme costituiscono l’elemento oggettivo della fattispecie. Infine, il terzo presupposto spiega l’elemento soggettivo della condotta criminosa: il fine di sfruttamento delle vittime. Lo sfruttamento può consistere in una pluralità di attività e non più solo quello della prostituzione. In passato, inoltre, nei strumenti internazionali contro la tratta di esseri umani più risalenti, lo sfruttamento era inteso solo come quello della prostituzione. Cfr. T. OBOKATA, Human Trafficking, in F. ALLUM, S. GILMOUR, Routledge Handbook on Transnational Organized Crime, Routledge Handbook, New York, 2015, pp. 174 e ss.
[67] Sul tema si rinvia allo studio sulla tratta e la prostituzione che le Nazioni Unite commissionarono negli anni cinquanta. Cfr. U.N. Department of International Economic and Social Affairs, Study on Traffic in Persons and Prostitution, U.N. Doc. ST/SOA/SD/8, U.N. Sales n. 59.IV.5 (1959), citato in N. V. DEMLEITER, Forced Prostitution: Naming an International Offense, in Fordham International Law Journal, 18, 1, 1994, pp. 163-197.
[68] La recente giurisprudenza internazionale in merito non è elevata ma dimostra che il legame tra i fenomeni di tratta e di schiavitù rimane comunque molto stretto. Si veda in tal senso la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo nei casi: Siliadin v. France, ECHR 73316/01, 26 July 2005; Rantsev v Cyprus and Russia, ECHR 25965/04, 7 January 2010.
[69] I. CARACCIOLO, Dal diritto penale internazionale al diritto internazionale penale: il rafforzamento delle garanzie giurisdizionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2000, p. 166 e ss.
[70] Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women, adottata dall’ Assemblea Generale con la risoluzione 34/180 del 18 dicembre 1979, in United Nations Treaty Series, vol. 1249 p. 13.
[71] In particolare, la Convenzione del 1979 contiene una disposizione rilevante in tema di tratta degli esseri umani obbligando tutti gli Stati parte ad adottare “all appropriate measures, including legislation, to suppress all forms of traffic in women and exploitation of prostitution of women”. Circa la Convenzione sui diritti del fanciullo, l’art. 35 dispone espressamente che “States parties shall take all appropriate national, bilateral and multilateral measures to prevent the abduction of, the sale of or traffic in children for any purpose or in any form”: viene vietato il traffico, quale che sia la finalità, dando così rilievo alla tratta come illecito a fattispecie aperta, che ricomprende ogni forma di sfruttamento
[72] Parlamento Europeo, Risoluzione A4-0326/95, 18 gennaio 1996, in G.U.C.E., C/32/88, 5 febbraio 1996.
[73] Rome Statute of the International Criminal Court, UN Diplomatic Conference of Plenipotentiaries on the Establishment of an International Criminal Court, sessione 1998 (U.N. Doc. A/CONF.183/9), adottato a Roma nel 1998, reperibile sul sito www.icc-cpi.int.
[74] Protocol To Prevent, Suppress And Punish Trafficking In Persons, Especially Women And Children, Supplementing The United Nations Convention Against Transnational Organized Crime, risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite n° 55/25, annex II, in U.N. Official Records of the General Assembly, 55th sess., Suppl. n° 49 at 60 (UN Doc.A/55/49- Vol 1, 2001). Sui Protocolli aggiuntivi alla Convenzione di Palermo si vedano, tra gli altri, A. GALLAGHER, Human rights and the new UN protocols on trafficking and migrant smuggling: a preliminary analysis, in Human Rights Quarterly, Vol. 23 no. 4, November 2001.
[75] Il Protocollo sulla tratta, composto da 20 articoli, prevede quattro sezioni: nella prima sono disciplinati gli scopi, l’ambito di applicazione, le definizioni del reato e gli obblighi di penalizzazione; nella seconda ci si occupa della protezione delle vittime; la terza è dedicata alle misure di prevenzione e di cooperazione; la quarta contiene le norme sull’entrata in vigore e sui meccanismi di operatività. Cfr. G. SCIACCHITANO, Traffico di esseri umani dopo il Protocollo dell’ONU, in Dike, 6, 2002, pp. 33-40.
[76] Si deve ricordare che in tema l’Argentina propose una definizione di tratta fedele a quella della Convenzione del 1949, nella quale il consenso della vittima a venire sfruttata risultava del tutto ininfluente ai fini del riconoscimento del reato. Gli Stati Uniti, invece, presentarono una definizione più breve, in cui lo sfruttamento veniva definito semplicemente un’attività per la quale “una persona non si offre liberamente” e venivano elencati tassativamente i mezzi tramite i quali si considera escluso il consenso della vittima, quali il rapimento, la minaccia, l’inganno, l’uso della forza, la coercizione. Tra le due definizioni proposte prevalse quella dell’Argentina, anche attraverso l’appoggio della quasi totalità delle ONG coinvolte nella formazione del Protocollo
[77] Anche sul tale concetto Argentina e Stati Uniti manifestarono visioni differenti. Mentre quest’ultima definiva tratta di esseri umani solamente quei comportamenti sfocianti, in un secondo tempo, nella prostituzione e nello sfruttamento sessuale, la proposta dell’Argentina prevedeva una serie di ulteriori modalità di sfruttamento. La soluzione finale costituì un soddisfacente compromesso a metà tra i due orientamenti: si giunse, infatti, non propriamente a una definizione di sfruttamento, ma piuttosto ad un’elencazione di varie fattispecie di sfruttamento, indicato come il fine della tratta, che si rifanno alle cosiddette pratiche analoghe alla schiavitù, lasciando quindi emergere sempre più l’interpretazione della tratta come una fattispecie più ampia di quella di schiavitù che in essa viene spesso inglobata, in un rapporto di genus ad speciem.
[78] Sul tema si rinvia al documento: Tratta di persone a scopo di sfruttamento e traffico di migranti. Rapporto finale di sintesi della ricerca, eseguito da Transcrime per il Ministero della Giustizia ed il Ministero delle Pari Opportunità, in collaborazione con la Direzione Nazionale Antimafia, novembre 2003.
[79] Cfr. Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime, risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite n° 55/25, annex II, in U.N. Official Records of the General Assembly, 55th sess., Suppl. n° 49 at 60 (UN Doc.A/55/49- Vol 1, 2001). Per precisione, è bene ricordare che esiste un terzo Protocollo addizionale alla Convenzione sul Crimine Transnazionale Organizzato che si occupa del traffico di armi.
[80] Sul tema si rinvia a AA. VV., Il traffico internazionale di persone, a cura di G. TINEBRA, A. CENTONZE, Giuffrè, Milano, 2004.
[81] Sul tema si veda F. PASTORE, L’azione internazionale per la lotta al traffico di persone: tendenze e problemi, in F. Pastore (a cura di), L’Italia nel sistema internazionale del traffico di persone. Risultanze investigative, ipotesi interpretative, strategie di risposta, Centro studi di politica internazionale, Commissione per le politiche di integrazione, Dipartimento per gli Affari Sociali, in Working Paper, Roma, 5, 2000; T. De ZULUETA, Relazione sul traffico di esseri umani, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, XIII legislatura, Doc. XXIII, n. 49, approvata dalla Commissione il 5 dicembre 2000, consultabile sul sito www. Camera.it; S. BECCUCCI, Mercati criminali fra arcaismo e modernità, in S. BECCUCCI, M. MASSARI, Globalizzazione e criminalità, Laterza, Roma-Bari, 2003.
[82] Transcrime, Ministero della Giustizia, Tratta di persone a scopo di sfruttamento e traffico di migranti, a cura di E. SAVONA, R. BELLI, F. CURTOL, S. DECARLI, A. DI NICOLA, Roma, 2004 consultabile sul sito internet: http://www.transcrime.it/pubblicazioni/transcrime-reports-n-7-tratta-di-persone-a-scopo-di-sfruttamento-e traffico-di-migranti; L. GOISIS, L’immigrazione clandestina e il delitto di tratta di esseri umani. Smuggling of migrants e trafficking in persons: la disciplina italiana, in Diritto Penale Contemporaneo, 16 novembre 2016. Sulla distinzione tra trafficking e smuggling si rinvia a T. GIUGLINO, La repressione della tratta di persone: aspetti penalistici, processuali e penitenziari, in Rass. penit. Crim., 2007, p. 59 e ss.; A. ANNONI, L’attuazione dell’obbligo internazionale di reprimere la tratta degli esseri umani, in Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano (a cura di E. ROSI), Giuffrè, Milano, 2007, p.417 e ss.
[83] Sul tema si rinvia a E. LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino vittima del traffico di esseri umani, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1, 2005, pp. 1-26.
[84] J. FITZPATRICK, Trafficking as a Human Rights Violation: the Complex Intersection of Legal Frameworks for Conceptualizing and Combating Trafficking, in Michigan Journal of International Law, 24, 4, 2003, pp. 1143 – 1167.
[85] Per un’analisi dei costi che i migranti devono sostenere per il servizio di trasporto si rinvia a M. PETROS, The costs of human smuggling and trafficking, in Global Migration Perspectives, 31, 2005, a cura della Global Commission on International Migration e reperibile sul sito internet www.gcim.org.
[86] Si veda sul tema J. BHABHA, Trafficking, Smuggling, and Human Rights, in Migration Information Source, Marzo 2005 consultabile sul sito internet: http://www.migrationinformation.org/Feature.
[87] I. CARACCIOLO, Dalla Tratta di Schiavi alla Tratta di Migranti Clandestini. Eguaglianze e diversità nella prevenzione e repressione internazionale del traffico di esseri umani, in U. LEANZA, Le migrazioni. Una sfida per il diritto internazionale comunitario e interno, Editoriale Scientifica, Napoli, 2005, p. 174 e ss.
[88] G. MICHELINI, I protocolli delle Nazioni Unite contro la tratta di persone e contro il traffico di migranti: breve guida ragionata, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1, 2002, pp. 37- 48.
[89] Secondo l’articolo 3 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria il: a) «traffico di migranti» indica il procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente; b) «ingresso illegale» indica il varcare i confini senza soddisfare i requisiti necessari per l’ingresso legale nello Stato d’accoglienza; c) «documento di viaggio o di identità fraudolento» indica qualsiasi documento di viaggio o di identità: i) che è stato contraffatto o modificato materialmente da qualunque persona diversa dalla persona o autorità legalmente autorizzata a produrre o rilasciare il documento di viaggio o di identità per conto dello Stato; o ii) che è stato rilasciato o ottenuto in modo irregolare, tramite falsa dichiarazione, corruzione o costrizione o in qualsiasi altro modo illegale; o iii) che è utilizzato da una persona diversa dal legittimo titolare; d) «nave» indica qualsiasi tipo di veicolo acquatico, compresi i veicoli senza pescaggio e gli idrovolanti, utilizzati o suscettibili di essere utilizzati come mezzi di trasporto sull’acqua, eccetto navi da guerra, navi da guerra ausiliarie o altre navi appartenenti a o gestite da un Governo fintantoché utilizzate per un servizio pubblico non commerciale.
[90] Per l’analisi dei vari provvedimenti comunitari adottati in materia si rinvia a S. SCARPA, L’Unione europea e la lotta alla nuova tratta di esseri umani, in Affari Sociali Internazionali, 1, 2005, p. 51 e ss.
[91] Cfr. Comunicazione COM (2000) 854 della Commissione europea sulla lotta alla tratta degli esseri umani e la lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile, consultabile sul sito internet www.europa.eu.int. Si veda anche il Rapporto della Commissione Europea sui progressi nella lotta alla tratta di esseri umani – Bruxelles, 04 Dicembre 2018.
[92] Sul tema si rinvia a D. MANZIONE, La lotta alla tratta di essere umani, in Legisl. pen., 2, 2003, pp. 327-328; P. DEGANI, Traffico di persone, sfruttamento sessuale, diritti umani. Interpretazioni, monitoraggio e politiche di contrasto nell’azione della comunità internazionale, Cedam, Padova, 2003.
[93] E. ROSI, La tratta di esseri umani e il traffico di migranti. Strumenti internazionali, in Cassazione penale, 2001, p. 1986 e ss.; E. ROSI, Le misure internazionali contro le forme di criminalità connesse al fenomeno migratorio, in Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti, 2002, pp. 178 e ss.
[94] Le prime prese di coscienza, al riguardo, si ricollegano ai movimenti per l’abolizione della schiavitù che trassero alimento nelle dichiarazioni dei diritti individuali delle rivoluzioni americana e francese. Sulla loro scia le potenze europee affermarono, così, solennemente il divieto della schiavitù e della tratta in una serie di conferenze internazionali quali il Congresso di Vienna del 1815, la Conferenza di Berlino del 1888 e quella di Bruxelles del 1880. Nel primo dopoguerra, inoltre, si giunse alla conclusione della Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926 sull’abolizione della schiavitù in ogni sua forma e dovunque essa fosse possibile (completata e modificata poi dalla Convenzione di Ginevra del 7 settembre 1956 ).
[95] Accordo internazionale per la soppressione della tratta delle bianche del 18 maggio 1904, LNTS, volume 1, numero 11; Convenzione internazionale per la soppressione della tratta delle bianche del 4 maggio 1910, LNTS, volume 3, numero 8; Convenzione internazionale per la repressione della tratta di donne e minori del 30 settembre 1921, LNTS, volume 9, numero 269; Convenzione internazionale per la repressione della tratta di donne adulte dell’11 ottobre 1933, LNTS, volume 150, numero 3476; Convenzione per la repressione della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui del 2 dicembre 1949, UNTS, volume 96, numero 1342.
[96] Cfr. M. C. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Utet, Torino, 2011.
[97] Universal Declaration of Human Rights, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 217 A (III), 10 dicembre 1948.
[98] L’Articolo in questione afferma che «nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma».
[99] Organizzazione internazionale, istituita il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra che ha sede a Strasburgo e che ha tra suoi principali obiettivi la promozione e il rispetto della democrazia, dei diritti umani e dell’identità europea, la risoluzione di problemi di tipo sociale in Europa. Sul tema si rinvia a G. Ferranti, La cooperazione giudiziaria in materia penale nelle convenzioni del Consiglio d’Europa e nel diritto dell’Unione Europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2008.
[100] Adottata il 4 novembre 1950, CETS, numero 5.
[101] Adottata il 27 giugno 1981, OAU, documento CAB/LEG/67/3 rev. 5 (1981).
[102] Patto Internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 16 dicembre 1966, New York (entrato in vigore il 23 marzo 1976), UNTS, volume 999, numero 14668.
[103] L’articolo 8 afferma espressamente che «nessuno può esser tenuto in stato di schiavitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi sono proibite sotto qualsiasi forma. Nessuno può essere tenuto in stato di servitù».
[104] Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 16 dicembre 1966, New York, entrato in vigore il 3 gennaio 1976.
[105] Nell’articolo 6 c1 si afferma che «il diritto al lavoro implica il diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato».
[106] Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 34/180, 13 dicembre 1979, entrata in vigore il 3 settembre 1981.
[107] L’articolo 6 afferma che «gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni legislative, per reprimere tutte le forme di tratta delle donne e sfruttamento della prostituzione».
[108] Convention on the Rights of the Child, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 44/25 adottata il 20 novembre 1989, entrata in vigore 2 settembre 1990.
[109] L’articolo 35 stabilisce che «gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma».
[110] Rome Statute of the International Criminal Court, 17 luglio 1998, entrato in vigore il 1° luglio 2002.
[111] Convention concerning the Prohibition and Immediate Action for the Elimination of the Worst Forms of Child Labour, General Conference of the International Labour Organization (ILO).
[112] Convention for the Protection of Human Rights and Dignity of the Human Being with regard to the Application of Biology and Medicine, done April 4, 1997; entered into force December 1, 1999.
[113] Additional Protocol to the Convention on Human Rights and Biomedicine concerning Transplantation of Organs and Tissues of Human Origin, done January 24, 2002; entered into force May 1, 2006.
[114] L’articolo 3 del Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini afferma che la «a) “tratta di persone” indica il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi; b) il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento di cui alla lettera a) del presente articolo è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi usati di cui alla lettera a) è stato utilizzato; c) il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere un bambino ai fini di sfruttamento sono considerati «tratta di persone» anche se non comportano l’utilizzo di nessuno dei mezzi di cui alla lettera a) del presente articolo; d) “bambino” indica qualsiasi persona al di sotto di 18 anni».
[115] Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini; Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria; Protocollo contro la fabbricazione e il traffico illeciti di armi da fuoco.
[116] United Nations Convention Against Transnational Organized Crime, done November 15, 2000, entered into force September 29, 2003, (Organized Crime Convention).
[117] La Convenzione, con lo scopo di prevenire e reprimere il crimine transnazionale e, in particolare, quei reati, messi in atto da gruppi criminali organizzati, che ledono e offendono i diritti umani fondamentali, segna la definitiva presa di coscienza della Comunità Internazionale in merito al problema della criminalità transnazionale.
[118] Recommended Principles and Guidelines on Human Rights and Human Trafficking, annesso al Report of the United Nations High Commissioner for Human Rights to the Economic and Social Council del 20 maggio 2002, doc. E./2002/68/Add. 1.
[119] Si veda il recente Report by OSCE Special Representative and Co-ordinator for Combating Trafficking in Human Beings, Following her visit to the Republic of Moldova, 31 ottobre- 3 novembre 2011, del 23 aprile 2012, OSCE, doc. SEC. GAL/147/12.
[120] Si rinvia alla Raccomandazione R (91) 11 sullo sfruttamento sessuale, la pornografia, la prostituzione e la tratta di minori e giovani adulti, adottata il 9 settembre 1991 e la Raccomandazione R (2000) 11 sull’azione contro la tratta di esseri umani a scopo di prostituzione, adottata il 19 maggio 2000.
[121] Si veda la Raccomandazione 1325 (1997) sulla tratta di donne e la prostituzione forzata negli Stati membri del Consiglio d’Europa adottata il 23 aprile 1997; la Raccomandazione 1545 (2002) sulla campagna contro la tratta delle donne adottata il 21 gennaio 2002; la Raccomandazione 1610 (2003) sulle migrazioni connesse con la trattadi donne e la prostituzione adottata il 25 giugno 2003; la Risoluzione numero 1702 (2010) sull’azione contro la tratta di esseri umani adottata il 26 gennaio 2010 in cui l’Assemblea parlamentare esorta gli Stati membri a ratificare la Convenzione di Varsavia.
[122] Nota 5, linea guida 2 dello strumento internazionale.
[123] Linee guida per la protezione dei diritti dei minori, Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, Settembre 2006.
[124] Convenzione sullo status dei rifugiati, adottata dalla Conferenza dei plenipotenziari sullo status dei rifugiati e degli apolidi convocata dalle Nazioni Unite il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.
[125] In collaborazione con l’United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute (UNICRI) di Torino, con l’International Organization for Migration (IOM), l’United Nations Children’s Fund (UNICEF), l’United Nations Development Programme (UNDP), e con Organizzazioni non Governative come, ad esempio, Save the Children.
[126] Sul tema si rinvia a M. Blandini, Il Programma Globale delle Nazioni Unite contro la tratta di esseri umani, in REDUR 5, dicembre 2007, pp. 93-127.
[127]Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Comments on the proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on preventing and combating trafficking in human beings, and protecting victims, (Com (2010) 95, marzo 2010) consultabile online all’indirizzo: www.unhcr.org/refworld/docid/4c0fa7092.html.
[128] Da considerarsi come «un controllo posto in essere al confine in risposta all’intenzione di attraversarlo da parte di un soggetto». In tal senso si veda la Direttiva del Consiglio 2004/82/EC del 29 aprile 2004 sull’obbligo dei vettori di comunicare i dati dei passeggeri.
[129] D. VITIELLO, La cooperazione operativa tra Frontex e I paesi terzi nel contrasto all’immigrazione irregolare, in F. Cherubini, Le migrazioni in Europa, Bordeaux, Roma, 2015.
[130] Protocollo sul traffico di migranti, Articolo 11.
[131] Tale dilemma è stato anche riconosciuto dalle Nazioni Unite: «quando le persone sono costrette a fuggire, l’efficacia dei controlli alle frontiere non ha alcun tipo di effetto deterrente oltre a quello di rendere il viaggio più complicato e aumentare la domanda dei servizi dei trafficanti, al fine di eludere i controlli anche a rischio della propria vita». Cosi International Framework for Action to Implement the Trafficking in Persons Protocol, UNODC, 2009, p. 43.
[132] La tratta di esseri umani viene espressamente proibita della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea all’articolo 5.
[133] Europol, Crime Assessment – Trafficking of Human Beings into the European Union del 2001. In tale documento si evidenzia che i paesi più a rischi risultano essere: Austria, Belgio, Francia, Germania,Grecia, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Svezia. Si individuano, inoltre, alcune rotte più utilizzate dalle organizzazioni criminal: la rotta baltica; la rotta est europea; la rotta balcanica; la rotta africana.
[134] Parlamento europeo, Risoluzione sullo sfruttamento della prostituzione e la tratta di esseri umani, A2-52/89 del 14 aprile 1989 in GUCE, C 120 del 16 maggio 1989.
[135] Per quanto riguarda le azioni svolte dall’Unione europea al fine di migliorare la cooperazione tra gli Stati, si possono ricordare i vari programmi comunitari, a partire dal 1996 con il programma Stop che è stato avviato per un periodo quadriennale e con un bilancio preventivo di 6,5 milioni di euro in valuta attuale. Nei cinque anni di attuazione il programma ha cofinanziato 85 progetti ed è giunto a conclusione il 31 dicembre 2000. La Commissione europea ha poi prolungato il Programma per un periodo di altri due anni, in cui Stop II ha erogato finanziamenti per 4 milioni di euro. Il Programma Agis, varato nel 2003, si proponeva, invece,di favorire la cooperazione nei settori della giustizia e affari interni, attraverso la nascita di progetti transnazionali, che coinvolgano almeno tre Stati membri, oppure due Stati membri, ed un paese candidato all’allargamento. Infine, molto significativa è l’esperienza del Programma quadriennale Daphne, giunto a tre edizioni, volto al fornire un sostegno alle organizzazioni che lottano contro qualsiasi forma di violenza nei confronti delle donne e dei minori, favorendo l’assistenza alle vittime ed il loro reinserimento nella società.
[136] Azione comune del 24 febbraio 1997 adottata dal Consiglio sulla base dell’art. K.3 del trattato sull’Unione europea per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini”, 97/154/GAI, in G.U.C.E., n. L.63 del 4 marzo 1997 p.2 e ss.Questa azione comune, peraltro, non ha avuto una grande efficacia, dato che non ha indicato agli Stati membri le soglie minime per la fissazione di sanzioni penali. L’azione comune in questione è stata, comunque, abrogata per la parte relativa alle disposizioni sulla tratta degli esseri umani dalla successiva Decisione quadro 2002/629/GAI (Decisione quadro 2002/629/GAI, in G.U.C.E., L 203 del 1° agosto 2002) e per quella relativa allo sfruttamento sessuale dei minori, dalla Decisione quadro 2004/68/GAI (Decisione quadro 2004/68/GAI, in G.U.C.E., L 13 del 20 gennaio 2004).
[137] Per un’efficace azione di contrasto alla tratta di esseri umani, annoverata in questo articolo tra i fatti criminosi che devono essere prevenuti e repressi per garantire ai cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è divenuto impellente, anche grazie al vertiginoso aumento nell’area europea degli episodi di riduzione in schiavitù, un processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia. Il divieto di tratta degli esseri umani è stato, inoltre, inserito anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza nel 2000 (art. 5, par. 3). La Carta, pur non avendo valore vincolante era stata inserita, come noto, nel Trattato costituzionale dell’Unione europea, firmato a Roma nel 2004 da 25 Stati, il cui fallimento ha portato all’adozione del Trattato di Lisbona.
[138] Le conclusioni del Consiglio Europeo di Laeken (2001) hanno riaffermato l’impegno a seguire le linee politiche e gli obiettivi di Tampere. Tra le varie raccomandazioni il Consiglio ha sottolineato il bisogno di armonizzare le legislazioni sulla tratta degli esseri umani. In occasione di tale Consiglio è stata ribadita l’importanza dell’integrazione della politica dei flussi migratori nella politica estera dell’Unione europea.
[139] Nel Consiglio europeo tenutosi a Siviglia (giugno 2002), gli orientamenti del Consiglio europeo di Laeken sono stati confermati. In particolare si è puntualizzato e richiesto che le misure adottate debbano rispettare un giusto equilibrio tra una politica d’integrazione degli immigranti che soggiornano legalmente – e dunque anche una politica di asilo che rispetti le convenzioni internazionali, (in particolare la convenzione di Ginevra del 195 1) – e una lotta risoluta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani.
[140] Le conclusioni del Consiglio Europeo di Salonicco (giugno 2003) hanno ribadito la necessità di un dialogo e di azioni dell’Unione Europea nei confronti dei Paesi terzi nel settore della migrazione ed in particolare nella «lotta alla tratta di esseri umani, compresa l’adozione di misure legislative e di altro tipo».
[141] Decisione Quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale.
[142] Decisione quadro del Consiglio del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta di esseri umani, 2002/629/Gai in GUCE, L. 203 del primo agosto 2002. Atti collegati: Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 2 maggio 2006 sulla base dell’articolo 10 della Decisione quadro del Consiglio del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani (COM 2006 -187 def.); Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 18 ottobre 2005 – Lotta contro la tratta degli esseri umani: un approccio integrato e proposte per un piano d’azione (COM 2005 – 514 def.- non pubblicata nella Gazzetta Ufficiale). Il testo definitivo della Decisione Quadro risulta, comunque, modificato rispetto alla proposta originale della Commissione (Com. 2000- 854, in GUCE, C. 62E del 27 febbraio 2001, pp. 324 e ss.).
[143] Decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio, 19 luglio 2002, sulla lotta alla tratta degli esseri umani, entrata in vigore il 1° agosto 2002.
[144] Azione comune del 24 febbraio 1997 adottata dal Consiglio sulla base dell’articolo K.3 del Trattato sull’Unione europea per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini, 97/154/ GAI, in GUCE, L 63 del 4 marzo 1997. Essa si limitava a dichiarazioni di principio, affermand, inoltre, la necessità di iniziative legislative, da parte degli Stati membri, dirette a eliminare le divergenze tra i diversi Ordinamneti nazionali e di rafforzare la cooperazione giudiziaria per un più efficace contrasto alla tratta.
[145] Documento di lavoro della Commissione, Valutazione e monitoraggio dell’attuazione del piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta degli esseri umani, Bruxelles, 17 ottobre 2008, COM 2008- 657 redatto sulla base di una indagine svolta dall’Unione Europea mediante l’invio di un questionario agli Stati membri con lo scopo di verificare l’effettività delle legislazioni nazionali e, dunque, l’eventuale necessità di adottare ulteriori interventi normativi di armonizzazione.
[146] European Conference on Preventing and Combating Trafficking in Human Beings, Brussels Declaration on Preventing and Combating Trafficking in Human Beings, 2002.
[147] European Union, Brussels Declaration on Preventing and Combating Trafficking in Human Beings, 29 November 2002, 14981/02, available at: http://www.refworld.org/docid/4693ac222.html.
[148] Direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato [Direttiva 2004/80].
[149] Direttiva 2004/81/CE del Consiglio, 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti; entrata in vigore il 6 agosto 2004. Alle persone trafficate, poiché spesso non vogliono rivelare la loro condizione alle autorità competenti per diversi motivi, tra cui la sfiducia nei confronti delle istituzioni a causa di passate esperienze negative fatte nel paese di origine o in quelle di destinazione, perché hanno timore di ritorsioni da parte dei trafficanti contro di se e/o i familiari rimasti in Patria oppure perché hanno paura di essere arrestate e rimpatriate in quanto immigrate irregolari, la nuova disciplina garantisce un periodo di riflessione o permesso di soggiorno di almeno sei mesi. La Direttiva introduce, così, un titolo di soggiorno destinato alle vittime della tratta di esseri umani o, se uno Stato membro decide di estendere il campo di applicazione della direttiva, ai cittadini di paesi terzi che sono stati vittime del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’intento di tale Direttiva, inoltre, è stato quello di integrare le iniziative tese a lottare contro questo fenomeno, quali la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, che definisce il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegale e la Decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio, del 19 luglio 2002, sulla lotta contro la tratta degli esseri umani.
[150] European Council, EU plan on best practices, standards and procedures for combating and preventing trafficking in human beings (2005/C 311/01.
[151] Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare; entrata in vigore il 30 giugno 2009.
[152] E. ZANETTI, L’approccio integrato dell’UE nella lotta alla tratta di esseri umani, in T. RAFARACI (a cura di), La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, Giuffrè, Milano, 2011, p. 343 e ss.
[153] Il gruppo è costituito da 21 membri scelti fra: le amministrazioni degli Stati membri (massimo 11 membri); le organizzazioni intergovernative, internazionali e non governative attive a livello europeo nel campo della tratta degli esseri umani (massimo 5 membri); le parti sociali e le associazioni di datori di lavoro (massimo 4 membri); Europol (1 membro); persone con esperienza di attività di ricerca accademica per conto di Università o istituti pubblici o privati negli Stati membri (massimo 2 membri). membri del gruppo sono nominati dalla Commissione, ad eccezione del membro dell’ Europol. Il mandato ha la durata di tre anni e può essere rinnovato.
[154] Regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio, del 26 ottobre 2004, che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea.
[155] Decisione 2005/358/CE del Consiglio, del 26 aprile 2005, relative alla designazione della sede dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea.
[156] I compiti principali di questa agenzia sono: – coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne; – mettere a punto un modello comune di valutazione integrata dei rischi; – assistere gli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine; seguire l’evoluzione delle ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne; – aiutare gli Stati membri, ad esempio mediante l’invio di esperti competenti per il controllo della sorveglianza delle frontiere, o la messa a disposizione di attrezzature tecniche; – coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di trasferimento dei cittadini di paesi terzi che risiedono illegalmente.
[157] L’agenzia è un organismo della Comunità dotato di personalità giuridica ed è rappresentata dal suo direttore esecutivo. Ha un consiglio di amministrazione che nomina il direttore esecutivo, e ogni anno adotta un programma di lavoro e stabilisce la struttura organizzativa e la politica relativa al personale dell’Agenzia. Il consiglio di amministrazione è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro e di due rappresentanti della Commissione. Il mandato è di quattro anni, rinnovabile per un secondo termine. Sulla struttura di Frontex, V. A. CANEPA, The Regulatory Role of Frontex: Risk Analysis, Border Management and Exchange of Data, in L. AMMANNATI (ed.), Networks. In Search of a Model for European and Global Regulation, Giappichelli, Torino, 2012, p. 127 e ss.
[158] 2002/629/GAI: Decisione quadro del Consiglio, del 19 luglio 2002, sulla lotta alla tratta degli esseri umani [Decisione Quadro 2002/629].
[159] Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI [Direttiva 2011/36].Tale Atto richiama, inoltre, la Direttiva 2004/81/CE e la Direttiva 2009/52/CE.
[160] Recepita dall’Italia con d.lgs. 24/2014 del 4 marzo 2014.
[161] Sul tema si rinvia a S. FORLATI, La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Jovene, Napoli, 2013.
[162] Cfr. A. BERNARDI, Europeizzazione del diritto penale e progetto di Costituzione europea, in Riv. Dir. pen. Proc., 2004.
[163] L’azione per la produzione di questo strumento normativo benché sia iniziata sotto la vigenza del Trattato di Amsterdam è continuata anche in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha, come si è detto, abolito la struttura a Pilastri e ha stabilito l’utilizzo dei meccanismi decisionali e giurisdizionali propri del primo Pilastro anche per le materie prima rientranti nel terzo Pilastro come la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Sul tema si rinvia a G. GRASSO, Il Trattato di Lisbona e le nuove competenze penali dell’Unione Europea, in Studi in onore di Mario Romano, Jovane, Napoli, 2011 p. 2307 e ss.; C. SOTIS, Il Trattato di Lisbona e le competenze penali dell’Unione Europea, in Cass. Pen., 2010, pp. 1426 e ss.; C. GRANDI, Riserva di legge e legalità penale europea, Giuffrè, Milano, 2010.
[164] In G.U., L 101 del 15.4.2011. Questa nuova direttiva sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI sulla lotta contro la tratta di esseri umani ed adotta una definizione più ampia di tale fenomeno, includendovi altre forme di sfruttamento.
[165] COM (2012)286 – EU Strategy towards the Eradication of Trafficking in Human Beings 2012–2016.
[166] L’articolo 2, riprendendo la definizione contenuta all’articolo 3 del Protocollo addizionale della Convenzione di Palermo, afferma che deve intendersi come tratta «il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su queste persone, con la minaccia dell’uso o con l’uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l’offerta o l’accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra, a fini di sfruttamento».
[167] Ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2011/36/UE, risultano, inoltre, punibili quei comportamenti tesi all’istigazione alla tratta di esseri umani, al favoreggiamento, al concorso ed al tentativo. La Direttiva 2011/36/UE stabilisce inoltre per il reato di tratta di esseri umani la pena della reclusione per un periodo di almeno cinque anni; tale sanzione viene, invece, raddoppiata in presenza di circostanze aggravanti (Reato commesso nei confronti di un minore). È, inoltre, previsto che gli Stati si impegnino ad adottare necessarie misure affinché, ni casi più lievi, possano essere comminate sanzioni pecuniarie penali o meno, nonché l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria ovvero, nei confronti delle persone giuridiche, lo scioglimento. Al fine di migliorare l’azione penale nei confronti dei responsabili del delitto in esame, è prevista la possibilità che gli Stati membri perseguano i rispettivi cittadini per reati commessi in altri Paesi dell’UE. A tale possibilità si aggiunge il potere di ricorrere agli strumenti investigativi utilizzati contro la criminalità organizzata, come, ad esempio, le intercettazioni telefoniche. Gli Stati membri sono, inoltre,chiamati ad adoperarsi affinché le vittime, soprattutto se minori, ricevano una protezione adeguata nel corso delle indagini e dei procedimenti penali, garantendo loro la consulenza e l’assistenza legale (gratuite se necessario) nonché un programma di protezione dei testimoni (G. Marchetti, I recenti passi avanti compiuti dall’Unione europea nella direzione di un’armonizzazione dei sistemi penali: aspetti positivi, profili problematici e prospettive di riforma, Centro Studi sul Federalismo, Moncalieri, 2012, p. 16 e ss.).
[168] Per sfruttamento si intende: lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale; il lavoro o i servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi.
[169] Cfr. G. MARCHETTI, I recenti passi avanti compiuti dall’Unione europea nella direzione di un’armonizzazione dei sistemi penali: aspetti positivi, profili problematici e prospettive di riforma, Centro Studi sul Federalismo, Moncalieri, 2012, p. 15 e ss.
[170] Sul tema si rinvia a F. SALERNO, Evoluzione e determinatezza del divieto di tratta nel diritto penale internazionale ed italiano, in Studi in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, Jovane, Napoli, 2004, p. 2131 e ss.
[171] Protocollo sulla tratta di esseri umani, articolo 3.
[172] La Decisone Quadro 2002/629 invece non prevedeva alcuna soglia.
[173] Tale scelta è stata sollecitata dal fatto che molte vittime di tratta oggi sono cittadini europei che i trafficanti obbligano a spostarsi all’interno del loro Paese o in un altro Paese Membro. Sul tema si veda la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, La strategia dell’Ue per l’eradicazione della tratta degli esseri umani ( 2012- 2016) , 19 giugno 2012, in eur-lex. Europa. Eu.
[174] In tema si rinvia a V. DEL TUFO, La tutela della vittima in una prospettiva europea, in Dir. Pen. Porc., 1999, p. 889 e ss.; V. DEL TUFO, La vittima di fronte al reato nell’orizzonte europeo, in Punire, Mediare, Riconciliare. Dalla giustizia penale internazionale all’elaborazione dei conflitti individuali (a cura di G. FIANDACA, C. VISCONTI), Giappichelli, Torino, 2009, pp. 107 e ss.; G. M. ARMONE, La protezione delle vittime dei reati nella prospettiva dell’Unione europea, in Diritto penale europeo e ordinamento italiano, Giuffrè, Milano, 2006, p. 99 e ss.; G. M. ARMONE, La protezione delle vittime dei reati nello spazio giudiziario europeo: prospettive e paradossi all’indomani del Trattato di Lisbona, in Foro. it, 2011, p. 204 e ss.; M. VENTUROLI, La tutela delle vittime nelle fonti europee, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012, disponibile all’indirizzo internet: www.penalecontemporaneo.it.
[175] Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012 , che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI [Direttiva 2012/629].
[176] Decisione Quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla protezione della vittima nel procedimento penale [Decisione Quadro 2001/220].
[177] Direttiva 2012/629, articolo 1.
[178] Se prima doveva intendersi quale «persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro» (Decisione Quadro 2001/220, art. 1) adesso deve essere intesa come «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato», che «un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona» (Direttiva 2012/629, art. 2).
[179] Il diritto di comprendere e di essere compresi (art. 3); il diritto di ottenere informazioni fin dal primo contatto con un’autorità competente (art. 4); i diritti al momento della denuncia (art. 5); il diritto di ottenere informazioni sul proprio caso (art. 6); il diritto all’interpretazione e alla traduzione (art. 7); il diritto di accesso all’assistenza alle vittime (art. 8); il diritto di essere sentiti (art. 10); i diritti in caso di decisione di non esercitare l’azione penale (art. 11); il diritto a garanzie nel contesto dei servizi di giustizia riparativa (art. 12); il diritto al patrocinio a spese dello Stato (art. 13); il diritto al rimborso delle spese (art. 14); il diritto alla restituzione dei beni (art. 15); il diritto di ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale (art. 16); il diritto alla protezione (art. 18); il diritto all’assenza di contatti fra la vittima e l’autore del reato (art. 19); il diritto delle vittime alla protezione durante le indagini penali (art. 20); il diritto alla protezione della vita privata (art. 21); il diritto alla protezione delle vittime con esigenze specifiche di protezione (art. 23); il diritto dei minori di beneficiare di protezione durante il procedimento penale (art. 24).
[180] L’OSCE nasce ufficialmente nel 1995 come evoluzione della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE).
[181] Organization for Security and Co-operation in Europe, Trafficking in Human Beings: Implications for the OSCE, Review Conference, September 1999, ODIHR Background Paper and Action Plan 2000 for Activities to Combat Trafficking in Human Beings, OSCE-ODIHR, Warsaw, 1999.
[182] Tra queste si ricorda, ad esempio, la Decisione No. 426 sul Traffico di esseri umani, PC.DEC/426, adottata dal Consiglio Permanente alla 347° seduta plenaria il 12 luglio 2001.
[183] Cfr. Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Consiglio Permanente, Decisione No. 557 Piano di Azione OSCE per la lotta alla tratta di esseri umani, PC.DEC/557 del 24 luglio 2003.
[184] European Union: European Commission, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of Regions. The EU Strategy towards the Eradication of Trafficking in Human Beings 2012-2016, 19 June 2012, Com (2012) 296 final.
[185] E. ZANETTI, L’approccio integrato dell’UE nella lotta alla tratta di esseri umani, in T. RAFARACI (a cura di), La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 344 e 345.
[186] Sul tema si rinvia a L. GOISIS, L’immigrazione clandestina e il delitto di tratta di esseri umani. Smuggling of migrants e trafficking in persons: la disciplina italiana, in Diritto Penale Contemporaneo, 18 novembre 2016.
[187] L’art. 18 prevede la possibilità di rilascio di uno speciale permesso di soggiorno allo straniero sottoposto a violenza o a grave sfruttamento, quando vi sia pericolo per la sua incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione criminale o delle dichiarazioni rese in un procedimento penale. Il permesso di soggiorno per protezione sociale (oggi per motivi umanitari) può essere rilasciato sia in seguito ad una denuncia della vittima (c.d. percorso giudiziario, su proposta o previo parere del Procuratore della Repubblica ) sia in assenza di questa (c.d. percorso sociale). Quest’ultima possibilità, di un “percorso sociale”, costituisce l’aspetto più significativo e peculiare della norma, perché lascia libera la persona sfruttata di non esporsi al rischio di ritorsione a seguito di denuncia. Inoltre, Al fine di dare maggior chiarezza e applicazione a quanto disposto dell’art. 18, il Ministero dell’Interno ha emanato molte circolari esplicative: circolare del 23 dicembre 1999; circolare del 4 agosto 2000; circolare del 2 gennaio 2006; circolare del 28 maggio 2007; circolare del 4 agosto 2007; circolare del 31 agosto 2007.
[188] D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 18 agosto 1998 – Supplemento Ordinario n. 139.
[189] In tema si rinvia a M. C. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Utet, Torino, 2011.
[190] Il codice penale del 1930 conteneva quattro norme applicabili al tema di cui ci occupiamo. Si tratta: a) dell’articolo 600, che prevede e sanziona la riduzione in schiavitù o in una condizione analoga; b) dell’articolo 601, che prevede e sanziona la tratta e il commercio di schiavi; c) dell’articolo 602, che prevede e sanziona, anche in funzione residuale, l’acquisto e la detenzione di schiavi; d) l’articolo 604, che prevede l’applicabilità delle precedenti norme quando il fatto è commesso all’estero ovvero in danno del cittadino italiano.
[191] Cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, I delitti contro la persona, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 117; Cfr. altresì in senso analogo, C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta di esseri umani nell’ordinamento italiano, in S. FORLATI, (a cura di), La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Jovane, Napoli, 2013, p. 69 e ss.
[192] Sul tema si rinvia a G. ALPA, R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte speciale. Tomo II, Nel Diritto Editore, Roma, 2015, p. 631 e ss.
[193] Per quanto riguarda la interpretazione dell’espressione “condizione analoga alla schiavitù” che figura all’articolo 600, vale la pena di ricordare che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 96 del 1991) il riferimento va fatto alla Convenzione di Ginevra del 1956 ed, in particolare, all’elenco di cui all’articolo 1 di questa fonte comprendente: la servitù per debiti, il servaggio o servitù della gleba; nonché le istituzioni e pratiche sociali che consentano: 1) la vendita di una donna nubile come sposa; 2) la vendita di una donna maritata; c) la vendita di un minore di anni diciotto in vista dello sfruttamento del suo lavoro o della sua persona. La Cassazione (sentenza del 16 dicembre 1998), infatti, ha riconosciuto l’applicabilità dell’articolo 600 del codice penale allo sfruttamento di immigrati clandestini.
[194] Cfr. sulla sospetta violazione del principio di precisione con riferimento a tale disposizione, esempio di fattispecie ad analogia espressa, L. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, Giuffrè, Milano, 2015, pp. 69-70; Sul punto altresì ampiamente G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, I delitti contro la persona, Il Mulino, Bologna, 2013, pp. 118-119.
[195] sul punto F. VIGANO’, sub art. 600 c.p., in G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G. GATTA, Codice penale commentato, IPSOA, Milano, 2015, p. 180. Cfr., altresì, C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta di esseri umani nell’ordinamento italiano, in S. FORLATI, La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, Jovane, Napoli, 2013, p. 75 e ss.
[196] Prima della novella di cui alla legge n. 108/2010, la norma proseguiva prevedendo un aumento di pena da un terzo alla metà se i fatti fossero stati commessi ai danni di minore degli anni diciotto o fossero diretti allo sfruttamento della prostituzione o finalizzati a sottoporre la persona offesa al prelievo di organi.
[197] Cfr. B. ROMANO, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Giuffrè, Milano, 2004; T. BRASIELLO, Personalità individuale (delitti contro la), in NDI, 1965, p. 1093 e ss.
[198] G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, I delitti contro la persona, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 120.
[199] Cfr. tra le più recenti Cass. pen., 13.6.2014, Mazzotti e a., CED 260230. Cfr. per un’ampia rassegna giurisprudenziale F. VIGANO’, sub art. 600 c.p., in G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G. GATTA, Codice penale commentato, IPSOA, Milano, 2015, p. 189.
[200] G. ALPA, R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte speciale. Tomo II, Nel Diritto Editore, Roma, 2015, p. 562 e ss.; F. SALERNO, Evoluzione e determinatezza del divieto di tratta nel diritto penale internazionale ed italiano, in AA. VV., Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, Editoriale Scientifica, Napoli, 2004, p. 2107 e ss.
[201] Che prevede la fattispecie del reclutare, introdurre nel territorio dello Stato, trasferire anche al di fuori di esso, trasportare, cedere l’autorità sulla persona, ospitare una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600 e quella di chi realizza le medesime condotte sopradescritte avvalendosi di particolari modalità quali l’inganno, la violenza, la minaccia, l’abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi.
[202] G. ALPA, R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte speciale. Tomo II, Nel Diritto Editore, Roma, 2015, p. 564.
[203] F. CARCHEDI, F. DOLENTE, T. BIANCHINI, A. MARSDEN, La tratta di persone a scopo di grave sfruttamento lavorativo, in F. CARCHEDI, I. ORFANO (a cura di), Vol.1: Le evoluzioni del fenomeno e gli ambiti di sfruttamento, Collana On the Road- sezione Osservatorio Tratta, Franco Angeli, Milano, 2007.
[204] Legge 16 marzo 2006, n. 146, Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 dell’11 aprile 2006 – Supplemento ordinario n. 91.
[205] Legge 2 luglio 2010, n. 108, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 163 del 15 luglio 2010.
[206] D.lgs. 16 luglio 2012, n. 109, Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.172 del 25 luglio 2012.
[207] Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento 2016-2018, Adottato dal Consiglio dei Ministri, 26 febbraio 2016. Consultabile all’indirizzo online: http://www.pariopportunita.gov.it/media/2687/piano-nazionale-di-azione-contro-la-tratta-e-il-grave-sfruttamento-2016-2018.pdf.
[208] Si veda sul tema il Report: La tutela delle vittime della tratta e del grave sfruttamento: il punto della situazione oggi in Italia dell’Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, del 2015 liberamente consultabile su: http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2015/04/Lookout_doc.conclusivo_editing_DEF.pdf

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Avv. Alessandro Palma

Alessandro Palma, avvocato del Foro di Napoli e specializzato in professioni legali, è dottore di ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Presso lo stesso Ateneo si è perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali ed è cultore della materia in Diritto Ecclesiastico ed in Diritti Confessionali. E’ Tutor di Diritto Costituzionale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II nonché Tutor di Diritto Ecclesiastico presso l’Università Telematica Pegaso. Per l’a. a. 2018/2019 è docente a contratto sulla cattedra di Diritto Ecclesiastico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su questioni di bioetica e biodiritto, con particolare riguardo alle tematiche della fine vita e dei diritti fondamentali, sull’esperienza religiosa alla luce delle neuroscienze e della psicologia evoluzionistica e cognitiva, sui rapporti tra diritto e religione e sugli strumenti di inclusione giuridica delle diversità culturali nelle società multiculturali. E’ autore di molteplici recensioni e pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e di una monografia intitolata Finis Vitae. Il Biotestamento tra diritto e religione, Artetetra, Capua, 2018.

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