Danno da emotrasfusioni: tra indennizzo e risarcimento del danno

Danno da emotrasfusioni: tra indennizzo e risarcimento del danno

Sommario: 1. Introduzione – 2. Indennizzo ex Legge 210/1992 e risarcimento del danno e i relativi oneri probatori – 3. Risarcimento dei danni da emotrasfusione agli eredi in caso di decesso di un familiare

 

1. Introduzione

Quando si parla di “danno da emotrasfusione” si fa riferimento al danno alla salute provocato al paziente a causa di una trasfusione effettuata con sangue infetto – circostanza questa che comporta l’insorgere di malattie quali l’epatite virale o l’HIV, malattie particolarmente gravi in grado di incidere sulla qualità della vita della vittima, causandone, nei casi più gravi, addirittura la morte.

Sul tema, numerosi sono stati i casi riguardanti pazienti che, a seguito di emotrasfusione, avessero contratto l’epatite C – malattia del fegato detta anche HCV – la quale può sfociare, se non adeguatamente curata, in cirrosi epatica, insufficienza epatica e tumore del fegato o, addirittura, condurre alla morte (v. ex ultimis, Cass. civ., III sez., sent. del 28 marzo 2024, n. 8429: In seguito ad un incidente stradale, la vittima era stata sottoposta ad un intervento chirurgico e cinque emotrasfusioni, a seguito delle quali, successivamente, gli era stata diagnostica l’epatite da virus HCV) .

2. Indennizzo ex Legge 210/1992 e risarcimento del danno e i relativi oneri probatori

L’ordinamento italiano dà la possibilità al paziente che abbia subito danni irreversibili a causa di una emotrasfusione con sangue infetto di ottenere un indennizzo –  la somma, dunque, che verrà corrisposta al fine di fornire ristoro alla menomazione  del diritto alla salute ex art. 32 Cost., subita a causa dell’emotrasfusione, prescindendo da qualsivoglia profilo di responsabilità.

Una volta ottenuto l’indennizzo, la vittima che non si reputi integralmente  soddisfatta potrà agire, a titolo di risarcimento, nei confronti della struttura ospedaliera o  del ministero della salute per ottenere il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Per quanto attiene all’iter amministrativo, la normativa di riferimento è la L. 210/1992 e ss. mod., la cui ratio è quella di garantire un indennizzo, posto a carico dello Stato e ispirato al principio della solidarietà sociale, a coloro che abbiano riportato gravi danni in conseguenza di determinati trattamenti sanitari ai quali si siano sottoposti (art. 1, co. 1 L. 210/92). Nel caso di epatiti post-trasfusionali, il diritto all’indennizzo trova espresso riconoscimento nel co. 3, dell’art. 1 della predetta legge, il quale statuisce che “I benefici di cui alla presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali.”

Tale indennizzo è erogato a prescindere dal reddito del richiedente, è esente dalle imposte sui redditi ed è cumulabile con altre eventuali provvidenze economiche percepite a qualsiasi titolo.

Con D.Lgs. 31 marzo 1998 e ss. e con DPCM del 26 maggio 2000, la competenza in materia di indennizzo ex L. 210/1992 è stata trasferita dal Ministero della Salute alle Regioni. Pertanto, la domanda di indennizzo deve essere presentata all’ASL di residenza del richiedente nel termine prescrizionale di 3 anni (nel caso di epatite) dal momento in cui, sulla base della documentazione presentata, l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno derivante dall’emotrasfusione (e, dunque, nel momento in cui si manifestano i sintomi e non dalla contrazione dell’infezione, essendo un cd. danno lungo-latente). Trattasi di un concetto sulla quale si è espressa in maniera chiara la Cassazione civile, prima, con sentenza del 17 febbraio 2023 n. 5119: “finché l’agente patogeno innescato dal fatto illecito non si manifesta, non si realizza alcun danno risarcibile, in quanto solo il danno conseguenza costituisce il parametro di determinazione del danno ingiusto” e, poi, con la recentissima sentenza n. 4110 del 14 febbraio 2024, con la quale ha ribadito e precisato quanto segue:  “in caso di danno cd. lungolatente, quale la contrazione dell’epatite B o dell’epatite C, asintomatiche per diversi anni, derivante da emotrasfusione, il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell’infezione, in quanto esso non consiste nella semplice lesione dell’integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno nella stessa infezione (in re ipsa), privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica (necessario ex art. 1223 cod. civ.) tra evento ed effetti dannosi. A tanto consegue che il risarcimento deve essere liquidato solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell’infezione.” (v. anche Cass., SS. UU.,  sentenza n. 19129/2023).

Da quanto appena esposto, risulta essere di palmare evidenza che, ai fini della risarcibilità, è necessario accertare la cd. causalità giuridica, ossia individuare le conseguenze pregiudizievoli riconducibili al fatto illecito.

Il danno biologico, pertanto, non si esaurisce nella lesione dell’integrità psicofisica della persona:non a caso, in tali casi, ciò che rileva è il danno conseguenza, danno conseguenza che si concreta sempre in una perdita (patrimoniale o di altro tipo) e che costituisce il parametro di determinazione del quantum risarcibile.

Ne consegue che, in siffatte ipotesi, quando si parla di  “danno biologico”, si fa riferimento alla conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona. Non a caso, infatti, la Cassazione civ. , III Sez., con Ordinanza n. 19153 del 19.7.2018 ha espresso il seguente principio “il danno biologico misurato percentualmente è pertanto la menomazione all’integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti” .

La domanda da presentare all’ASL deve essere corredata da documentazione clinica contenente il referto delle analisi e i certificati che attestino la reale condizione di salute della vittima.

L’ASL competente si occupa dell’istruttoria, controllando la completezza della documentazione trasmessa e verificando la presenza dei requisiti previsti dalla legge per accedere all’indennizzo. Una volta fatto ciò, l’ASL trasmette l’intero fascicolo alla Commissione medica ospedaliera (CMO) competente, la quale convoca la vittima a visita al fine di esprimere il giudizio sul nesso di causalità tra l’infermità e la trasfusione. In caso di riconoscimento del nesso, la pratica viene trasmessa al Ministero della salute che liquida l’indennizzo. In caso di aggravamento dell’infermità già riconosciuta, l’interessato può presentare all’ASL, entro 6 mesi dalla conoscenza dell’evento, una domanda di revisione al fine di ottenere l’iscrizione ad una diversa categoria tabellare.

Ovviamente, il verbale di diniego o di riconoscimento del nesso viene notificato, oltre che all’ASL, altresì, all’interessato, il quale, entro 30 giorni dalla notifica, può presentare avverso il giudizio della CMO ricorso al MdS.

Entro 3 mesi dalla presentazione del ricorso, il MdS decide con atto da comunicare al ricorrente entro 30 giorni.

Entro 1 anno dalla suddetta comunicazione (o dalla scadenza del termine previsto per la medesima), il ricorrente può esperire l’azione giudiziaria innanzi al competente Giudice ordinario. In tal caso, venendo qualificata la responsabilità del MdS come extracontrattuale ex artt. 2043 e ss. cod. civ., il danneggiato dovrà provare la sussistenza dell’illecito extracontrattuale (trasfusione con sangue infetto), dolo/colpa del MdS (obbligo di controllare la provenienza e l’utilizzabilità del sangue usato), esistenza del danno di cui si chiede il risarcimento, esistenza del nesso causale tra danno subito e trasfusione.

In ogni caso, però, “Nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della salute, con riguardo ai danni da emotrasfusione, una volta che la Commissione medico ospedaliera di cui all’art. 4 della legge 210 del 1992, abbia accertato la riconducibilità del contagio alla stessa trasfusione, il Ministero della salute  non può mettere in discussione l’accertamento operato dalla predetta Commissione, essendo essa organo dello Stato imputabile allo stesso Ministero, e il giudice deve quindi accogliere tale accertamento come indiscutibile e non bisognoso di prova.“(Cass. civ., sez. VI, sent. 30/06/2020, n.13008; Cass. civ., sent. 15/06/2018, n. 15734 ; in tal senso, v. anche giurisprudenza di merito, Trib. Catanzaro, sez. II, 10/10/2022, n.1430).

Accanto alla responsabilità extracontrattuale del MdS, può ravvisarsi altresì la responsabilità della struttura sanitaria, la quale è qualificabile come responsabilità contrattuale da contratto sociale. In tal caso, ovviamente, il danneggiato potrà agire in giudizio nel termine prescrizionale di 10 anni e dovrà provare solo l’esistenza del contratto/contratto sociale, l’inadempimento contrattuale e l’esistenza del nesso tra inadempimento e danno subito. In altre parole, il danneggiato non deve dimostrare la colpa dell’ospedale, ma semplicemente il suo inadempimento (v. ex multis, Cass. civ., ordinanza n. 10592/2021; Cass.civ., ordinanza n. 21939/2019).  Spetterà, invece, alla struttura sanitaria dimostrare di aver tenuto una condotta diligente o, quantomeno, prudente, nel rispetto delle norme giuridiche e delle leges artis, in relazione all’acquisizione e perfusione del plasma.

In ogni caso, si rappresenta che, per la Suprema Corte,  il nesso causale in materia di danni da emotrasfusione con sangue infetto può essere provato anche presuntivamente (Cass., Sezioni Unite, n. 582/2008; ripresa, poi, ex multis Cass. civ. nn. 4024/2018 e 5961/2016).

3. Risarcimento dei danni da emotrasfusione agli eredi in caso di decesso di un familiare

Come già sopra anticipato, il  danno da emotrasfusione con sangue infetto può provocare altresì il decesso della  persona lesa – circostanza questa che comporta il diritto anche dei parenti ad essere risarciti per tale tipologia di danni, sia iure proprio che iure hereditatis.

Più precisamente, infatti, gli eredi possono agire in giudizio per la richiesta dei danni che il proprio familiare ha subito in vita (iure hereditatis), nonché onde vedersi riconoscere un ristoro per il danno non patrimoniale e iure proprio derivato dalla perdita del congiunto, cd. danno da perdita del rapporto parentale, inteso quale turbamento psichico soggettivo e transeunte identificato con la sofferenza provocata dall’evento dannoso e che si sostanzia nella lesione “dell’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito familiare oltre all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana in seno alla famiglia, quale formazione sociale costituzionalmente tutelata.” (v. ex multis Cass.,SS.UU., 24 marzo 2006, n. 6572; Cass. civ., Sez. III ,ord. 25/02/2008, n. 4712; Trib. Milano, sent. 29/11/2022, n. 9378).


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Mariana Di Martino

Avvocato - Diritto civile Laureata in Giurisprudenza - Università degli Studi di Napoli Federico II

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