Debiti di valore, debiti di valuta, interessi e rivalutazione monetaria

Debiti di valore, debiti di valuta, interessi e rivalutazione monetaria

Gli interessi sono frutti civili accessori rispetto alla sorte capitale, caratterizzati da periodicità, dovuti in una misura percentuale e basati sul principio della naturale fecondità del denaro quale mezzo di scambio nei traffici economici.  Sotto il profilo funzionale, é possibile distinguere tra interessi moratori e compensativi : gli uni risarciscono il danno da mora, gli altri hanno, invece, funzione remunerativa.

La giurisprudenza ha individuato una terza categoria di interessi, quelli corrispettivi, d’altra parte non menzionati nel codice civile, ragion per cui é opinione comune che gli stessi rientrino nell’alveo dei compensativi.

La mora suindicata altro non é che un ritardo “qualificato”, imputabile, dunque causalmente ascrivibile al dolo o, quantomeno, alla colpa del debitore inadempiente.

Pertanto, se tale ritardo fosse anche grave o di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c., vi sarebbero i presupposti per domandare ed ottenere la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento.

In ogni caso, la mora può configurarsi come automatica o meno, ex re ex persona, richiedendosi in quest’ultimo caso il compimento di un atto formale, ossia scritto.

All’opposto, in forza dell’art. 1219 c.c., il debitore é in mora per il solo fatto di aver commesso un illecito aquiliano, di essersi rifiutato per iscritto di adempiere in favore del creditore ovvero di aver lasciato scadere infruttuosamente il termine di pagamento di un credito pecuniario c.d. portabile, vale a dire pagabile presso il domicilio del creditore.

Quanto agli interessi compensativi i quali, come anticipato, inglobano i corrispettivi, orbene vi sono quelli dovuti dal mutuatario al mutuante o, più in generale, dal finanziato al finanziatore che, avendo prestato alla controparte una certa somma di denaro, si priva del godimento della stessa fino alla scadenza del termine di restituzione del capitale maggiorato degli interessi de quibus.

Pacifica é giustappunto la funzione remunerativa, propria altresì degli interessi di pieno diritto che ex art. 1283 c.c. sono dovuti  a fronte di crediti pecuniari liquidi ed esigibili.

Vi si aggiungono gli interessi spettanti al venditore, avendo l’acquirente già ricevuto in consegna la res, pur non essendo ancora attuale l’obbligo di pagamento del prezzo, ragion per cui codesti interessi maturano medio tempore.

Da ultimo, viene in rilievo la questione delle somme da pagare a titolo di risarcimento danni e, a tal proposito, va detto che quello risarcitorio é il debito di valore per antonomasia, a dispetto di quello di valuta che verte sul pagamento di una somma di denaro fin dal sorgere dell’obbligazione.

Se il debitore non adempie l’obbligazione contratta verso il creditore, egli resta vincolato, per cui l’obbligazione permane, ma con un oggetto diverso consistente per l’appunto nel risarcimento del danno da liquidare, in luogo della prestazione originariamente promessa.

Nell’ambito della responsabilità aquiliana, essendo la mora automatica in forza dell’art. 1219 c.c., gli interessi decorrono dal giorno dell’illecito extracontrattuale e si cumulano con la rivalutazione monetaria.

Al contrario, in ambito contrattuale, gli interessi sono dovuti solo dal giorno della domanda giudiziale che funge da atto formale di messa in mora, mentre la suddetta rivalutazione consiste in quel maggior danno di cui si é chiamati a dare la prova ex art. 1224, co. 2 c.c., se si intende ottenerne il risarcimento.

D’altra parte, quest’ultimo non é dovuto, se é stata pattuita la misura degli interessi moratori, eventualmente anche superiore a quella legale, fermo restando comunque il divieto di usura.

Il debito di valuta, come rammentato, é pecuniario ab origine, assoggettato al regime giuridico di cui all’art. 1224 c.c., in ossequio al principio nominalistico si estingue con la moneta che ha corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale e, onde prevenire i rischi di una sopraggiunta svalutazione o discrasia rispetto al valore reale coincidente con il potere di acquisto, le parti potrebbero pattuire l’inserimento nel contratto di una “clausola oro” ovvero di rivalutazione automatica.

Da ultimo, emerge la vexata quaestio dell’onere probatorio concernente il danno da svalutazione monetaria, verificatosi dopo la mora del debitore e sul quale la giurisprudenza nomofilattica é stata oscillante per lungo tempo.

Dal 1942, quindi dall’entrata in vigore del codice civile e per i trent’anni successivi la Corte di Cassazione fu irremovibile nel richiedere al creditore una prova rigorosa del danno in oggetto e, segnatamente, la prova che, se il debitore avesse pagato tempestivamente, il creditore medesimo avrebbe investito il capitale ricevuto in settori del mercato sottratti al rischio di svalutazione.

Sennonché, nel pieno della crisi petrolifera, più precisamente nel 1978 la Suprema Corte statuì che il danno da svalutazione, vista la funzione di scambio della moneta sul mercato, fosse in re ipsa, quindi non bisognoso di alcun sostegno probatorio.

Nei primi anni ’80 la giurisprudenza sul punto mutò nuovamente, stabilendo che la portata dell’onere probatorio dovesse essere più o meno ampia, a seconda che il creditore fosse un ente pubblico, un imprenditore, un risparmiatore abituale o un modesto consumatore.

Infine, nel 2008 le Sezioni Unite hanno posto fine all’annosa disputa, concludendo che il danno é immanente, se si accerta che il rendimento dei titoli di Stato di durata infrannuale eccede la misura degli interessi legali.

All’opposto, é richiesta una prova specifica, quando il pregiudizio supera tale rendimento, a sua volta eccedente il predetto tasso legale.

In definitiva, di tale prova non può farsi a meno, quando si agisce in giudizio per il risarcimento di un danno che solo indirettamente deriva dalla svalutazione monetaria: exempli gratia, a causa della mora del debitore il creditore si è visto costretto a richiedere un finanziamento bancario a condizioni particolarmente gravose.

D’altro canto, il debitore medesimo può dimostrare che il creditore non ha subito in concreto alcun danno ovvero che lo ha subito in misura inferiore a quella presunta.


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Jacopo Bracciale

Dopo aver conseguito la maturità classica con una votazione finale di 100/100, mi sono laureato cum laude in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Teramo con una tesi in Teoria generale del diritto dal titolo "Il problema dei principi generali del diritto nella filosofia giuridica italiana". In seguito, ho svolto con esito positivo presso il Tribunale di Teramo il tirocinio formativo teorico - pratico di 18 mesi ex art. 73 D.L. 69/2013 : per un anno nella Sezione Penale e, nei restanti sei mesi, in quella Civile. Parallelamente ho frequentato e, ancora oggi, frequento il corso di Rocco Galli per la preparazione al concorso in magistratura. Dal mese di novembre del 2020 collaboro con la rivista scientifica Salvis Juribus come autore di articoli di diritto civile, penale ed amministrativo.

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