Delitti contro gli animali

Delitti contro gli animali

Sommario: 1. Inquadramento generale – 2. Uccisione di animali – 3. Divieto di maltrattamento – 4. Abbandono

 

1. Inquadramento generale

Con la legge 189 del 2004, è stato introdotto all’interno del codice penale il titolo IX bis, disponente “delitti contro il sentimento degli animali”. Ciò che viene tutelato è l’animale come essere vivente e quindi degno di protezione. Oltre alla tutela dell’animale, la legge ha anche uno scopo socialmente educativo, cercando di evitare azioni che provochino sofferenza all’animale.

Il proprietario viene punito oltre che per il reato penale commesso (abbandono, maltrattamento, uccisione) anche per il venire meno ad un dovere di assistenza.

Quando viene fatto riferimento alla sofferenza patita dall’animale a seguito di un comportamento tenuto dall’uomo, deve essere presa in considerazione non solo la sofferenza fisica, ma anche quella emotiva, la quale diventa elemento necessario per la valutazione del grado di patimento sofferto. Al fine di perseguire coloro che tengono comportamenti delittuosi verso gli animali il codice penale disciplina varie tipologie di reato, nello specifico, le principali si possono riscontrare negli art. 544 bis, 544 ter, 727. 

2. Uccisione di animali

Vengono qua presi in esame tutti gli animali ritenuti domestici o addomesticati che per crudeltà, o senza alcuna ragione, vengono uccisi. La pena prevista è la reclusione da un minimo di quattro mesi ad un massimo di due anni. Eccezione alla norma si può riscontrare nell’art. 11 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, ove viene indicato il medico veterinario o altra persona competente come unici soggetti che dispongono della facoltà di uccidere un animale, con l’unico obiettivo quello di porre fine ad un supplizio fisico cui è sottoposto l’essere e per  il cui patimento non vi è cura.

La necessità di tutelare tale aberrante condotta delineata dall’art. 544 bis, deriva inizialmente dal proteggere il sentimento verso gli animali, successivamente, il bene giuridico tutelato diviene l’animale stesso. La prospettiva si concentra quindi sul riconoscimento del ruolo centrale dell’animale quale essere vivente e dotato di una propria capacità intellettuale. Il ruolo sempre più preminente degli animali (sia domestici che addomesticati) nel contesto sociale e familiare, ha fatto si che si creasse una comparazione tra i reati contro le persone e quelli contro gli animali. Difatti, tramite l’art 575 c.p. che disciplina l’omicidio, e l’art. 544 bis ora in esame, è venuto a crearsi il neologismo animalicidio. 

L’ambito delineato nel presente articolo presenta delle limitazione relative alla sua applicazione, infatti non trova attuazione in attività quali caccia, pesca, e allevamento, disciplinate da leggi speciali. 

3. Divieto di maltrattamento

Il divieto di maltrattamento punisce chiunque cagioni una lesione ad un’animale. La pena stabilita è la reclusione dai tre ai diciotto mesi oppure una sanzione pecuniaria stabilita in Euro da 5000 a 30000. Aggravante scaturisce se dal maltrattamento deriva la morte dell’animale. In tale ipotesi, la pena aumenta della metà rispetto a quella inflitta per il “solo” maltrattamento.

Anche in questo caso, è possibile trovare una relazione con i delitti contro la persona, e nello specifico l’art. 582 c.p. in merito alle lesioni personali. Ritrovando pure qua  un’equiparazione tra le due fattispecie, si avvalora sempre maggiormente la tesi della costante inclusione degli animali e della loro importanza nella società. 

E’ stato parzialmente considerato strumento di maltrattamento nei confronti dell’animale che lo indossa, il collare elettrico, un tempo molto usato per l’addestramento. Ciò che può essere dedotto a seguito di varie pronunce giurisprudenziali, è che il collare presenta un metodo di addestramento incentrato su uno stimolo doloroso e deve essere sospeso l’utilizzo se il cane mostra segni di sofferenza, altrimenti il soggetto che prosegue nell’utilizzo di tale mezzo potrà essere perseguito in relazione all’art. 544 ter e 727 c.p.

L’attenzione deve essere posta anche al secondo comma dell’art 544 ter, in merito alle sostanze stupefacenti o vietate: infatti somministrare medesime sostanze ad animali è penalmente perseguibile. Tale comportamento viene perseguito dalla legge al fine di prevenire somministrazioni di sostanze dopanti che, oltre ad essere già un reato in quanto si altera la normale resa dell’animale in competizioni, inficiano la salute dell’animale stesso.

In sede processuale, ancor prima della sentenza del giudice, un  rimedio rivolto a porre fine alla sofferenza patita dall’animale, a seguito di un comportamento lesivo ad opera dell’uomo, è dato dal sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari (G.I.P.).

4. Abbandono

L’articolo 727 del codice penale, che disciplina l’abbandono di animali, non rientra nel titolo IX bis come i precedenti articoli, ma rappresenta un tema di grande rilievo relativamente ai delitti contro gli animali. Difatti, il testo ad oggi presente all’interno del codice, è stato modificato dalla già citata legge n° 189 del 2004.

Quando si parla di abbandono vengono presi in considerazione gli animali domestici e quelli che hanno imparato a vivere a contatto con l’uomo (in stato di cattività) e senza il quale non sarebbero in grado di sopravvivere. In riferimento a queste due tipologie, il codice penale sancisce che chiunque abbandoni un’animale, è punito con l’arresto fino ad un massimo di un anno, o con una multa da 1000 a 10000 Euro. 

L’abbandono può essere definito attivo quando il soggetto coscientemente interrompe la relazione con l’animale, lasciandolo libero o rinchiuso (per esempio all’interno di un cassonetto) con la volontà di non occuparsi più di lui. Si fa riferimento invece  all’abbandono omissivo se, a seguito di smarrimento, il proprietario non compie atti idonei con l’intento di ritrovare l’animale. In riferimento a quest’ultima tipologia di abbandono è da segnalare la sentenza 18892/2011 emessa dalla Corte di Cassazione, dove appunto è stato ritenuto colpevole il proprietario di un cane, che una volta certo di averlo perduto, non ha né sporto denuncia né ha tentato di ritrovarlo. Il proprietario con il suo comportamento ha così manifestato un chiaro distacco e disinteresse verso l’animale, rendendo quindi possibile condannarlo per abbandono ex art 727 c.p. 

Lo stesso articolo 727, al secondo comma, stabilisce che, con la stessa pena prevista per l’abbandono, è punito colui che detiene l’animale in condizioni non idonee al medesimo.  L’errata detenzione può configurarsi come attiva o omissiva. E’ attiva quando il soggetto detiene l’animale in un luogo ad esso inappropriato, ad esempio una gabbia troppo piccola che impedisce i normali movimenti (Cassazione 46365/2017); omissiva quando non vengono fornite le materie prime per il  sostentamento, ed almeno le cure essenziali di cui dovrebbe godere l’animale.


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