Depenalizzazione della violazione delle norme anti-covid

Depenalizzazione della violazione delle norme anti-covid

1. La necessità di adottare misure di contenimento

Il 30 gennaio 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale l’epidemia di coronavirus (cd. Covid-19) in Cina. In Italia, il giorno successivo, il Governo, ha proclamato lo stato di emergenza, valutando la natura ed il carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia. Ha, inoltre, decretato e messo in atto una serie di misure contenimento del contagio sul tutto il territorio nazionale.

Per misure di contenimento, dunque, si fa riferimento ad una serie di disposizioni, il cui rispetto – da parte di tutti i cittadini – risulta necessario al fine di limitare il diffondersi del virus e dei danni causati da esso: le principali misure di sicurezza sono caratterizzate da restrizioni in tema di libertà di circolazione e di spostamento delle persone.

Tuttavia, sorge spontanea una domanda: cosa succederebbe qualora non si rispettassero tali normative?

2. La qualificazione giuridica della condotta di violazione delle misure di contenimento

La disposizione del D. L. 23 febbraio 2020, n. 6, art. 3, co.4, qualificava il mancato rispetto delle misure di contenimento reato punibile ex art. 650 c.p. (inerente all'”inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità“).

Tuttavia, tale normativa è stata sostituita dalle disposizioni del D. L. 25 marzo 2020, n. 35, con cui veniva disposta la depenalizzazione di tale condotta: ne discende che, in caso di violazione delle norme di contenimento summenzionate, non si avrà più un’ipotesi di reato, ma si avrà  un illecito amministrativo, ossia la violazione di una norma giuridica per la quale il nostro ordinamento prevede l’applicazione di una sanzione non penale, bensì di natura amministrativa pecuniaria.

3. Orientamento giurisprudenziale 

Quanto appena esposto ha trovato conferma in una recentissima pronuncia della Suprema Corte, la quale, con sentenza n. 7988 del 1 marzo 2021, si è espressa sulla questione. In particolare, si trattava di un ricorso, proposto al fine di contrastare una sentenza con cui il Tribunale di Bergamo applicava la pena – concordata tra le parti – in relazione ad alcuni reati, tra cui il reato di cui all’650 c.p. in applicazione di quanto disposto dal D.L. n. 6/20, il quale prevede, al comma 4 dell’art. 3, che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale”.

La sentenza, emanata dal Tribunale di Bergamo – veniva impugnata per l’erronea applicazione della legge penale, causata dall’omessa assoluzione dell’imputato dalla contravvenzione di cui all’art. 650 c.p.,  dal momento che il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Infatti, il Tribunale non considerava che, a seguito dell’entrata in vigore del D. L. n. 19/20, in applicazione del combinato disposto dai commi 1 e 8 dell’art. 4, la condotta in esame diveniva illecito amministrativo (anche relativamente alle condotte antecedenti l’entrata in vigore del decreto medesimo).

La Corte di Cassazione ha accolto, dunque, il principio secondo cui la disposizione dell’art. 3, co. 4, del D.L. n. 6/20 è stata sostituita dall’art. 4, co. 1,  del D. L.  n. 19/20, in vigore dal giorno successivo e convertito con modificazioni dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, la quale, pertanto, depenalizzava la condotta di mancato rispetto delle misure di contenimento citate, trasformandola in illecito amministrativo.

La Suprema Corte ha dichiarato, in conclusione ed in virtù di tale principio, l’annullamento della condanna per mancato rispetto delle misure di contenimento.


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