Depenalizzazione. L’albergatore risponde penalmente per l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno?

Depenalizzazione. L’albergatore risponde penalmente per l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno?

Quando un fatto non si ritiene più punibile come reato o si reputa punibile con un semplice illecito amministrativo o civile si ha la depenalizzazione. È una figura simile all’abrogazione: è il passaggio da un reato ad una fattispecie di diversa natura. Questa è solita definirsi come depenalizzazione in astratto. Essa coincide con l’abrogatio dal punto di vista logico-formale in quanto si riduce l’area del penalmente rilevante, si espunta dal sistema una norma penale. Per i fatti che non costituiscono più reato, opera il principio di retroattività di cui all’art. 2 co 2 c.p., per cui il giudice deve dichiarare il fatto non è più rilevante ai sensi della legge penale in quanto non costituisce più reato. Di conseguenza, coloro che sono stati condannati con sentenza irrevocabile per quel fatto non più reato, devono chiedere la revoca della sentenza o del decreto di condanna ai sensi dell’articolo 673 c.p.p.

Mentre, la depenalizzazione è detta in concreto quando incide sul piano della procedibilità. La norma che comporta la depenalizzazione di un reato ha una struttura biforme perché da un lato, è una norma penale che abolisce un reato; dall’altro, è una norma extra-penale in quanto contiene un illecito, amministrativo o civile che sia, che andrà a sostituire la norma nella parte in cui verrà abolita.

Per quanto riguarda la nuova norma contenente un illecito amministrativo o civile opera il principio di irretroattività ai sensi dell’articolo 15 preleggi. Quindi, a differenza della norma penale, l’illecito non può retroagire anche laddove dovesse essere più favorevole rispetto alla precedente condotta. È necessario una norma ad hoc, transitoria in grado di garantire che la disposizione che trasforma l’illecito penale in altra natura sia applicabile anche per i fatti pregressi. In assenza, non potrà essere applicata.

Nella prassi è solito riscontrare la disposizione transitoria che garantisce l’applicabilità della nuova fattispecie anche ai fatti pregressi. Questo non entra in contrasto con l’articolo 25 della Costituzione perché viene in rilievo una nuova disciplina, più favorevole rispetto alla precedente, che retroagisce anche per fatti precedenti alla stessa.

Bisogna sempre effettuare una comparazione tra la fattispecie pre-depenalizzazione e post in quanto la misura amministrativa sostitutiva di quella penale potrebbe essere più afflittiva rispetto alla precedente condotta. Non bisogna dar per scontato che la misura successiva sia di per sé sempre meno gravosa e più favorevole rispetto alla precedente; è necessario effettuare un giudizio di comparazione. Quindi la presunzione che l’illecito amministrativo o civile sia più favorevole rispetto a quello penale è relativa: il giudice caso per caso dovrà accertarlo.

A tal proposito, un problema interpretativo è sorto a seguito dell’entrata in vigore del decreto Rilancio n. 34/2020, convertito con la legge 17 luglio 2020 n.77, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Ai sensi dell’articolo 180, co.3 del decreto il gestore dell’attività alberghiera che deve versare l’imposta di soggiorno al Comune, non è più qualificato come un incaricato di servizio pubblico ma come responsabile dell’imposta di soggiorno da richiedere agli ospiti della struttura turistica. Prima di questa modifica legislativa, l’albergatore che non versa il contributo rispondeva ai sensi dell’articolo 358 e 314 c.p. in quanto era un incaricato di pubblico servizio che deteneva o sottraeva per sé o per altri, denaro pubblico. La sua condotta integrava un reato proprio, quello di peculato, in virtù della sua qualifica pubblica.

A seguito della novella legislativa, il denaro che l’albergatore deve versare al Comune deriva direttamente dal cliente nei cui confronti vanta anche un diritto di rivalsa, in caso di inadempimento. Non è più incaricato di un pubblico servizio, ma agisce in quanto privato e titolare della struttura ricettiva.

Cambiando la qualifica del soggetto esattore dell’imposta di soggiorno, viene meno il presupposto per configurare il reato proprio. In caso di mancato versamento di tale imposta, l’albergatore risponderà di inadempimento nei confronti dell’ente o p.a. a cui avrebbe dovuto imputare il pagamento.

Inoltre, l’articolo 180, nei successivi commi, prevede che, in caso di omesso o infedele presentazione della dichiarazione da parte dell’albergatore, si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto, mentre nel caso di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997.

Si assiste ad una vera e propria depenalizzazione del reato a illecito amministrativo. Si passa da una condanna per peculato ad una sanzione amministrativa pecuniaria; cambia qualifica soggettiva dell’addetto a riscuotere l’imposta: da incaricato di pubblico servizio a semplice privato.

Complessivamente si è previsto un trattamento più favorevole nei confronti dell’albergatore a seguito – soprattutto- del contesto storico ed emergenziale in cui è nata la nuova normativa.

Una prima applicazione della norma è avvenuta da parte del  giudice del Tribunale di Rimini (24 luglio 2020) per il quale la modifica introdotta dal decreto rilancio costituisce un’ipotesi di depenalizzazione; con la conseguenza che l’albergatore per i fatti successivi non risponderà più per il reato di peculato.

Per i fatti pregressi, coloro che sono stati condannati per il predetto reato, a seguito della depenalizzazione, vige il principio di cui all’articolo 2 comma 2 c.p. L’autorità giudiziaria dovrà emanare il provvedimento di revoca della sentenza o decreto penale di condanna, divenuti irrevocabili.

Sul punto, si è pronunciata recentemente la Cassazione (Sez. VI, sentenza 28 settembre 2020, n.30227) che non ha riconosciuto l’abolitio criminis o depenalizzazione in astratto per i fatti pregressi. Il nuovo quadro normativo non ha dato vita ad una successione di leggi penali, ma ad una modifica di una norma extra-penale non integratrice. Quest’ultime non hanno rilevanza sulla modifica di una norma penale. Non costituiscono norme penali in bianco, norme definitorie tali da cambiare il precetto penale e quindi, comportare un’abrogazione o depenalizzazione del reato. È un precetto extra penale quello che ha modificato le attribuzioni dell’albergatore; non ha inciso né sull’articolo 358 né sul peculato.

La Cassazione ritiene che vi sia una successione nel tempo di norme extra-penali e come tali non applicabile retroattivamente ai fatti commessi prima del decreto rilancio n. 34/2020.

Ma la diatriba interpretativa se si ha depenalizzazione o no per i fatti pregressi continua in quanto, in una successiva pronuncia, anche il giudice del Tribunale di Roma (Sentenza n. 1515 del 2 novembre 2020) si è discostato dalla sentenza della Cassazione.

Infatti, si ritiene necessario effettuare un confronto tra il precedente e successivo dato normativo. La nuova disciplina è più favorevole rispetto alla precedente: non si viene più puniti per un reato, ma per un illecito amministrativo. È doverosa una comparazione in concreto della fattispecie, prima e dopo la modifica, tenendo conto di tutti gli elementi che concorrono a rendere penalmente punibile un fatto.

Si ritiene ancora che sia stata una scelta del legislatore voler depenalizzare un reato che colpisce un settore, quale quello alberghiero, che sta subendo un forte collasso per via della situazione pandemica. Infine, il giudice a quo ritiene che la non applicazione retroattiva di una disciplina in bonam parte violerebbe il principio di uguaglianza ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione perché vi sarebbe il trattamento di situazioni uguali in modi differenti.


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