Diritto all’oblio: genesi ed evoluzione

Diritto all’oblio: genesi ed evoluzione

Il diritto all’oblio può essere considerato una estrinsecazione del diritto alla riservatezza, il quale, pur essendo a sua volta privo di un esplicito riconoscimento a livello costituzionale, è tuttavia desumibile da alcuni diritti fondamentali espressamente tutelati dalla nostra Costituzione, quali la libertà e inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.) nonché la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15 Cost.).

Allo stesso tempo, però, il diritto all’oblio non può neanche ritenersi coincidente con il diritto alla riservatezza: se quest’ultimo, infatti, consiste nel diritto alla segretezza e all’intimità della vita privata, come si evince peraltro da ulteriori riferimenti normativi quali l’art. 8 Cedu e l’art. 7 della Carta di Nizza, il diritto all’oblio si sostanzia piuttosto nel diritto del soggetto a non restare esposto a tempo indeterminato ai danni che la nuova diffusione di una notizia, a suo tempo legittimamente pubblicata, può arrecare al suo onore e alla sua reputazione, tanto che si è anche soliti parlare, a riguardo, del c.d. “diritto ad essere dimenticati”.

Entrambi questi diritti, quindi, necessitano di essere bilanciati con altri diritti e libertà fondamentali, in primis la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di informazione, il diritto di cronaca e la libertà di stampa (art. 21 Cost.).

Quanto sopra precisato, tuttavia, ci consente intuitivamente di desumere che il diritto all’oblio si configura in relazione a situazioni che originariamente non rientravano nell’ambito di tutela della riservatezza, essendo state all’epoca legittimamente oggetto di divulgazione ed essendo quindi fuoriuscite dalla sfera privata dell’interessato: ciò non toglie, tuttavia, che una nuova, successiva diffusione di tali notizie, a distanza di tempo dalla pubblicazione originaria, non possa continuare a ritenersi legittima quando la vicenda stessa non risulti più rivestire alcun pubblico interesse.

Il diritto all’oblio nel nostro ordinamento è stato inizialmente frutto di elaborazione giurisprudenziale e lo si è ricondotto all’art. 2 della Costituzione, in quanto clausola generale idonea a fornire fondamento costituzionale ai diritti della personalità di nuovo conio, nonché agli artt. 7, 11 e 25 del Codice sulla protezione dei dati personali (d.lgs. 196/2003).

Tale diritto ha poi trovato un espresso fondamento normativo nel Regolamento europeo 679/2016 (c.d. GDPR), entrato in vigore nel 2018: all’art. 17, infatti, si definisce il diritto all’oblio come il diritto dell’interessato ad ottenere, senza ingiustificato ritardo, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano.

Al fine di conseguire questo risultato, però, è necessario che ricorra uno dei motivi tassativamente individuati, ossia: il superamento delle finalità per cui i dati personali sono stati raccolti o trattati; la revoca del consenso dell’interessato; l’opposizione da parte dell’interessato al trattamento dei dati; l’illecito trattamento dei dati medesimi; l’adempimento ad un obbligo legale che impone la cancellazione dei dati in questione; l’attinenza della raccolta dati all’offerta di servizi della società dell’informazione.

Viene altresì precisato che qualora il titolare del trattamento abbia reso pubblici i dati di cui trattasi, l’interessato ha diritto di ottenere anche la cancellazione di ogni link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.

Nel terzo comma dell’articolo in analisi troviamo invece elencate le ipotesi in cui il diritto all’oblio è destinato a soccombere, risultando il trattamento dei dati necessario e quindi prevalente, ossia quando: costituisca esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; costituisca adempimento di un obbligo legale o esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio di pubblici poteri; vi siano motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica; vi siano finalità di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o statistica; risulti necessario per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

Come osservato dalla più attenta dottrina, a livello europeo il diritto all’oblio è stato per lo più inteso in una particolare accezione, ossia in relazione al contesto informatizzato: del resto il ruolo sempre più incisivo svolto dal web nella società moderna ha messo a dura prova lo stesso diritto alla riservatezza, rivelando tutta l’inadeguatezza delle garanzie offerte dai moderni sistemi costituzionali, inidonee ad assicurare la protezione dei dati personali una volta che gli stessi siano stati immessi sulla rete, e rendendo particolarmente ardua la difesa a fronte di diffamazioni perpetrate a mezzo internet.

Si osserva altresì che la rapidità dei mutamenti a cui va soggetto il mondo dell’informatica difficilmente consente la costruzione di fattispecie legislative generali e astratte, ragion per cui si è soliti demandare la tutela dei diritti fondamentali, in tale ambito, ad autorità amministrative indipendenti o agli organi giudiziari, i quali, per struttura e funzioni, paiono più adatti a tenere testa ai rapidi cambiamenti a cui va incontro la realtà del web.

Inevitabilmente, dunque, tali problematiche finiscono col porsi anche in relazione al diritto all’oblio, come evidenziato già a partire dalla sentenza resa dalla Corte di Giustizia nella vicenda “Google Spain” (2014): in tale circostanza l’interessato lamentava una lesione alla propria onorabilità e reputazione, conseguente alla possibilità per un numero indeterminato di utenti di avere accesso ad informazioni sul proprio conto, relative ad una vicenda verificatasi tempo addietro, semplicemente inserendo il suo nome nel motore di ricerca, il quale consentiva l’accesso ai dati grazie al rinvio ad altri siti internet (c.d. “indicizzazione automatica”). I giudici europei, a riguardo, hanno ritenuto che la possibilità di risalire all’identità del protagonista della vicenda non potesse più ritenersi giustificata dal diritto di cronaca in quanto non più rispondente ad un pubblico interesse, dato il considerevole lasso di tempo trascorso, e che pertanto dovesse ritenersi violato il diritto all’oblio dell’interessato, da considerarsi prevalente anche rispetto all’interesse economico del gestore del motore di ricerca.

Nella stessa sentenza la Corte di Giustizia ha inoltre individuato un’unica ipotesi idonea a costituire eccezione rispetto al principio enunciato, ossia il caso in cui per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto dal protagonista della vicenda nella vita pubblica, l’ingerenza nei diritti fondamentali dello stesso possa dirsi giustificata dal preponderante interesse del pubblico ad avere accesso all’informazione in questione.

Si segnala poi, in materia, una pronuncia della Corte Edu del 2017, in occasione della quale è stata sottolineata l’importanza di procedere al bilanciamento tra i diritti in gioco sulla base di criteri specifici e tassativamente individuati: in particolare, affinché il diritto di cronaca possa considerarsi prevalente sul diritto all’oblio, è necessario che l’articolo di cui trattasi fornisca un contributo ad un dibattito di pubblico interesse, da valutarsi in relazione al grado di notorietà del personaggio coinvolto, ed inoltre bisogna avere riguardo alle modalità con cui l’informazione è stata conseguita, dovendo la fonte essere attendibile ed affidabile, nonché al contenuto della notizia, la quale deve essere veritiera, senza dimenticare, infine, le modalità con cui la stessa viene diffusa, che non devono travalicare lo scopo informativo, non essendo ammissibili considerazioni personali o insinuazioni.

Tali criteri sono stati poi ripresi ed ulteriormente specificati nel 2018 dalla Corte di Cassazione, la quale ammette una compressione del diritto all’oblio in favore del diritto di cronaca solo in presenza dei seguenti presupposti: contributo arrecato dalla notizia o dall’immagine diffusa ad un dibattito di pubblico interesse; sussistenza di un interesse effettivo e attuale alla diffusione (con esclusione quindi di un interesse meramente divulgativo o economico-commerciale in capo al soggetto che diffonde la notizia o l’immagine); elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato per il ruolo da questi ricoperto nella società; modalità impiegate per ottenere l’informazione, che deve essere veritiera, nonché per diffondere la stessa, tali da non travalicare lo scopo informativo; informazione preventiva dell’interessato quanto alla nuova pubblicazione o trasmissione della notizia o immagine a distanza di tempo, così da consentire allo stesso di replicare prima della divulgazione al grande pubblico.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non chiarisce se tali presupposti debbano sussistere cumulativamente o alternativamente.

Si menziona, infine, l’intervento delle S.U. nel luglio 2019, con una interessante pronuncia nella quale la Suprema Corte si trova a valutare se debba dirsi violato il diritto all’oblio di un individuo che, protagonista di un caso di cronaca nera risalente a 27 anni prima, in relazione al quale il medesimo è stato condannato ed ha altresì terminato di espiare la relativa condanna, vede nuovamente pubblicato un articolo sulla vicenda, nonostante il notevole lasso di tempo intercorso. A riguardo i giudici evidenziano innanzitutto che a venire in rilievo nel caso di specie non è l’esatta delimitazione dei confini del diritto di cronaca e del diritto all’oblio, in quanto nel riproporre una notizia così risalente nel tempo il giornalista non sta esercitando il diritto di cronaca, bensì il diverso diritto alla rievocazione storica o storiografica dei fatti. Alla luce di ciò, pertanto, la Cassazione precisa che, pur essendo di fronte ad una scelta editoriale legittima, espressione della libertà di stampa, tuttavia tale diritto non può ritenersi assistito dalle medesime garanzie costituzionali previste per il diritto di cronaca, con la conseguenza che, sempre fatta salva l’eventualità che si discuta di soggetto noto per il suo ruolo pubblico, deve in generale ritenersi prevalente il diritto dell’interessato alla riservatezza e che quindi la ripubblicazione della notizia a fini di rievocazione storica dell’evento deve avvenire senza l’indicazione dei dati identificativi del soggetto che a suo tempo ne fu protagonista.

Preme infine evidenziare che la sentenza in analisi risulta particolarmente interessante per il fatto che la stessa non si limita ad affrontare la specifica questione ad essa sottoposta e di cui si è appena detto, ma chiarisce altresì che ormai al concetto di diritto all’oblio sono riconducibili tre differenti situazioni.

La prima, in particolare, specifico oggetto di trattazione, è costituita dall’ipotesi tradizionale e classica, riguardante il c.d. diritto all’oblio statico, ossia il diritto di un individuo a non vedere nuovamente pubblicata sullo stampato una notizia inerente ad una vicenda notevolmente risalente che lo vede protagonista, la cui riproposizione sia tale da recare nocumento al suo onore e alla sua reputazione.

Le altre due ipotesi, invece, attengono specificamente al contesto informatizzato, quindi alla permanenza on line di una determinata notizia: in tale ambito è possibile compiere una ulteriore sotto-distinzione, a seconda che l’interessato richieda la cancellazione dei dati ancora reperibili via internet (come nella vicenda “Google Spain”, sopra analizzata), oppure sia interessato piuttosto ad un aggiornamento della notizia medesima: è proprio questa seconda eventualità che costituisce quello che può considerarsi una sorta di diritto all’oblio di nuova generazione, definibile come dinamico, con ciò intendendosi l’interesse a che la notizia a suo tempo diffusa venga integrata, modificata, contestualizzata, tenendo conto degli sviluppi positivi che la vicenda, di cui l’interessato è protagonista, ha avuto nel lasso di tempo intercorso tra il suo verificarsi e il contesto attuale (Corte di Cassazione, sentenza 5525/2012).


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Serena Fiorentini

Laureata presso La Sapienza, Università di Roma, voto 110/110 e lode, con tesi in Procedura penale, dal titolo "La prova decisiva" (Relatore Prof. Alfredo Gaito). Successivamente ha svolto con esito positivo il tirocinio presso gli uffici giudiziari (marzo 2016- settembre 2017) presso il Tribunale di Civitavecchia, sezione penale. Ha frequentato i corsi di alta formazione giuridica "Lexfor" (2016-2017) e "Jusforyou" (2017-2018).

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