Elezioni forensi: divieto di doppio mandato

Elezioni forensi: divieto di doppio mandato

Il caso, da cui trarre elementi di riflessione, riguarda l’elezione dei componenti del consiglio dell’ordine circondariale forense. La Corte di Cassazione, riflettendo sul limite del doppio mandato e sulla sua operatività, ha reputato che tali consiglieri, in base alla vigente normativa, non potessero essere nominati nel caso in cui avessero già svolto un doppio mandato consecutivo.

Sul punto, reputano le Sezioni Unite che, la regolamentazione di specie sia adeguatamente chiara nel senso di escludere dal novero dei soggetti che possano auspicare a ricoprire posizioni di vertice, coloro che abbiano espletato due mandati consecutivi sotto il regime della normativa previgente rispetto a quella attuale. (Cfr. Cassazione civile, S.U., sentenza n. 32781/2018).

Gli atti regolatori interni dei Consigli dell’Ordine Forense devono uniformarsi puntualmente alla lettura offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e riflettere, quindi, il “diritto vivente” quanto alla regola di rilevanza dei mandati espletati in base alla normativa interna previgente, ai fini dell’operatività del terzo mandato. (Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 173/2019 del 18/06/2019)

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto il divieto di terzo mandato consecutivo compatibile con i valori costituzionali. (Cfr. Cassazione Civile, sentenza 19 dicembre 2018, n. 32781).

Alle stesse conclusioni era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Semplici con riguardo allo stesso limite posto per situazioni analoghe. (Cfr. Corte di cassazione, Sezione I, ordinanze 21 maggio 2018, numeri 12461 e 12462).

La ratio del divieto di svolgere al massimo due mandati – individuata dalle Sezioni Unite – trova la sua ragione nella tutela del preminente valore dell’avvicendamento o del ricambio nelle cariche ed integra un obiettivo di carattere essenzialmente politico -amministrativo che risulta liberamente perseguibile dall’Ente nell’ambito della sfera di discrezionalità che gli è propria.

Non è poi esatto ritenere che il bilanciamento, operato dalla nuove disposizioni regolamentari interne agli Ordini Forensi, tra il valore dell’esperienza scientifica e manageriale di un candidato e l’obiettivo antagonista del ricambio e dell’avvicendamento, si risolva in una predominanza del primo aspetto, né tantomeno che le finalità cui risponde il divieto del terzo mandato siano – come sostiene il Giudice delle Leggi – prive di tono costituzionale.

La peculiare ed essenziale finalità – che ha di mira la previsione che circoscrive il diritto di accesso di taluni soggetti alla nomina di Consigliere dell’Ordine – è quella, infatti, di valorizzare le condizioni di partecipazione di nuovi “amministratori”.

La previsione regolamentare interna si ricollega alla piena esplicazione del principio di uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più mandati) consecutivi un determinato ruolo per il quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare posizioni di forza.

Il divieto del terzo mandato favorisce il fisiologico ricambio all’interno del Consiglio dell’Ordine, immettendo “forze fresche” nell’organigramma e – per altro verso – blocca l’emersione di forme di cristallizzazione di potere; e ciò in linea con il principio del buon andamento dell’amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza.

Valori, questi, riconducibili, dunque, all’ art. 97 della Costituzione , che i regolamenti interni devono tutelare in termini di ragionevolezza e proporzionalità. I descritti valori controbilanciabili hanno evidentemente un dato “tono costituzionale”.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (con la ricordata sentenza n. 32781 del 2018) avevano già, peraltro, affermato la riferibilità del divieto del terzo mandato ai mandati pregressi e cioè anche a quelli espletati pure solo in parte prima dell’entrata in vigore di una nuova norma e avevano concluso che tale riferimento ad incarichi precedenti non implicasse una interpretazione di tipo retroattivo.

Una disposizione regolamentare che disponga il divieto di terzo mandato, non esige poi di essere giustificata sul piano della retroattività, poiché essa non ha la portata retroattiva in senso proprio.

Detta disposizione non regola, infatti, in modo nuovo fatti del passato (non attribuisce cioè direttamente ai precedenti mandati conseguenze giuridiche diverse da quelle loro proprie nel quadro temporale di riferimento), ma dispone “per il futuro”, ed è solo in questa prospettiva che attribuisce rilievo, di requisito negativo, al doppio mandato consecutivo espletato prima della nuova candidatura.

Il limite all’accesso alla nomina di Consigliere dell’Ordine, come introdotto da regolamento interno, non implica altro che l’operatività immediata della norma e non una retroattività in senso tecnico e cioè con effetti ex tunc.

La Corte Costituzionale ha più volte già, del resto, affermato che attribuire, per via normativa, a determinati fatti o situazioni, anche antecedentemente verificatisi, rilievo immediato (per il soggetto cui si riferiscono) di requisito negativo o di condizione ostativa, rispetto all’accesso a cariche, non attiene al piano diacronico della retroattività (in senso proprio) degli effetti, ma a quello fisiologico della applicazione ratione temporis della norma stessa.

E’ convinta opinione dei Giudici Ermellini che la regola del divieto di “doppio mandato” sia funzionale ad assicurare la più ampia partecipazione degli interessati all’esercizio delle funzioni di governo, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice, in modo da garantire la par condicio tra i candidati. (Cfr. Cassazione civile, S.U., sentenza n. 32781/2018).

In particolare, appare chiaro che, il protratto esercizio di più mandati sia idoneo a fondare, con la permanenza nella gestione di dati interessi, un rischio di svolgimento non ottimale delle funzioni di governo.

Gli Enti tentano di evitare, per quanto più possibile, il pericolo di una cristallizzazione di posizioni di potere nella gestione degli incarichi di governo e/o rappresentanza a causa della protrazione del loro espletamento ad opera delle stesse persone: protrazione che è, a sua volta, incentivo di ben prevedibili tendenze all’autoconservazione con negativa influenza sul corretto ed imparziale esercizio dell’azione amministrativa.


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