Estinzione del reato per condotte riparatorie nella giurisdizione del Giudice di Pace

Estinzione del reato per condotte riparatorie nella giurisdizione del Giudice di Pace

Sommario: 1. Estinzione del reato per condotte riparatorie – 2. La pronuncia della Suprema Corte

 

Il problema della “qualità” della valutazione del Giudice di pace per quanto riguarda la sufficienza e l’esaustività della condotta riparatoria posta in essere dall’imputato, deve essere risolto attribuendo al giudice la possibilità di valorizzare la condotta processuale e l’impegno impiegato nel reperimento delle risorse necessarie alla riparazione, senza che possa ritenersi elemento ostativo la mancata formulazione di scuse o altra forma di contrizione, poiché, diversamente, si finirebbe per introdurre nel procedimento estintivo una dimensione etica e personalistica che, in quanto tale, non s’appartiene alla ratio dell’istituto. Lo stabilisce la Cassazione penale, sez. V, con la sent. del 24 aprile 2020, n. 12926, pronunciandosi sul ricorso proposto dal P.M. presso il Tribunale di Venezia avverso la sentenza con cui il giudice di pace aveva dichiarato estinto il reato di lesioni personali ascritto all’imputato, ritenendo sussistente la causa estintiva prevista dall’art. 35 del D. lgs. n. 274/2000

1. Estinzione del reato per condotte riparatorie. È convenevole rammentare come l’istituto in analisi rientri in un ampio disegno di riforma della giustizia penale e risponda, principalmente, ad esigenze di snellimento e di riduzione della durata dei processi.

Difatti l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, disciplinata dall’art. 35 del D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, al pari degli altri strumenti deflattivi e conciliativi delineati nel provvedimento legislativo citato, rappresenta una peculiare forma di definizione alternativa del procedimento che promuove la cd. depenalizzazione in concreto e trova la sua ratio, come si evince dalla relazione al decreto, nell’esigenza di “configurare un sistema che vuole porsi come mezzo di tutela sostanziale dei beni giuridici lesi, più che come astratto ed indefettibile meccanismo retributivo conseguente alla commissione del reato”.

Nello specifico la norma prevede, quale condizione dell’estinzione del reato, “la riparazione del danno cagionato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato”. Tali condotte riparatorie, inoltre, devono essere “idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”.

Dunque le condotte rilevanti ai fini dell’applicabilità dell’art. 35, come si evince dal tenore letterale della disposizione in analisi e come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità nella sua più autorevole composizione, con la sent. n. 33864 del 23/04/2015, non potranno limitarsi semplicemente a riparare al danno cagionato mediante il risarcimento o le restituzioni ma dovranno anche eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, non essendovi alternatività tra le due condotte previste dalla norma. Beninteso sempre che si siano verificate concrete conseguenze dannose o pericolose da eliminare e siano sorti danni da risarcire, dovendosi ammettere altrimenti la sufficienza di una sola delle due, nell’evenienza in cui l’altra sia concretamente ed oggettivamente inesistente.

Rileva altresì, ai fini dell’esplicazione degli effetti estintivi della condotta posta in essere dall’imputato, il fatto che la stessa soddisfi pure le esigenze preventive, generali e speciali, e di riprovazione della pena, non potendosi trascurare la natura retributiva e tendente alla rieducazione di quest’ultima, secondo quanto stabilito dall’art. 27, 3° co. della Costituzione.

Risulta evidente, quindi, come il legislatore non abbia affatto previsto un automatismo in merito alla realizzazione degli effetti estintivi scaturenti dall’istituto di cui si discorre che anzi, necessita di una valutazione di idoneità da parte del Giudice di pace. Come già anticipato, tale valutazione implica la comparazione tra le attività poste in essere dall’imputato e la gravità del fatto e ciò in primo luogo, affinché la stessa sia rapportata alle specifiche caratteristiche del caso concreto ed in secondo luogo, al fine di evitare che la mancata applicazione della pena, possa incidere negativamente sul carattere general-preventivo del sistema penale. La stessa valutazione esige inoltre, di garantire contemporaneamente la soddisfazione tanto delle esigenze compensative, per quanto attiene al risarcimento dei danni cagionati dal reato, quanto di quelle retributive e preventive di natura strettamente penalistica. A tal fine, la norma in analisi prevede che vengano sentite le parti, ma non che venga acquisito il consenso della persona offesa, difatti, come evidenziato dalla giurisprudenza della suprema corte, anche laddove quest’ultima dovesse manifestare il suo fermo dissenso, il meccanismo estintivo potrà operare comunque purché il giudice esprima una motivata valutazione di congruità.

Solo il rispetto dei parametri summenzionati garantisce la correttezza e la “qualità” della decisione dell’interprete in merito alla sufficienza ed all’esaustività della condotta riparatoria posta in essere dall’imputato.

Sul punto si rinvengono due prevalenti orientamenti in giurisprudenza.

Secondo un primo indirizzo, che privilegia l’interpretazione letterale della norma, non vi sarebbe spazio per forme parziali di risarcimento, imponendo la disciplina in analisi l’esaustivo ristoro del danno cagionato dall’imputato. In base a questa linea interpretativa infatti è necessaria, affinché possa essere pronunciata l’estinzione del reato, una valutazione di assoluta esaustività della condotta riparatoria, la quale può prescindere dal positivo apprezzamento della parte lesa ma non certo del giudice, il quale dovrà accertare se vi è stata la dimostrazione, a cura dell’imputato, dell’aver provveduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento e di avere eliminato le conseguenze dannose o pericolose derivanti dallo stesso.

Il secondo orientamento, invece, sostiene che la pronuncia di estinzione del reato non esige l’integrale risarcimento del danno ma solo un positivo apprezzamento da parte dell’interprete, dell’idoneità satisfattiva della condotta riparatoria posta in essere. Apprezzamento formulato più con riguardo alle esigenze di riprovazione e prevenzione che con riferimento alla reale portata del danno subito dalla vittima, essendo quest’ultima valutazione più confacente al giudice civile. Si risarcirebbe quindi, come chiarito dalla pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 31 luglio 2015 n. 33864 succitata, il cd. danno criminale: “in tema di reati di competenza del Giudice di Pace non sussiste l’interesse per la parte civile ad impugnare la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato ai sensi del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 35”. Tale provvedimento non produce autorità di giudicato in un autonomo giudizio civile, il quale non può considerarsi precluso. Per il Supremo Consesso, infatti, il risarcimento che conduce all’estinzione del reato, essendo finalizzato a favorire la composizione del conflitto tra imputato e persona offesa e conseguentemente a ristabilire la pace sociale, deve in primis soddisfare le esigenze retributive e preventive della pena come previsto dall’art. 35, 2° comma, del D.lgs. 274/2000, e solo secondariamente, quelle compensative di natura civile, le quali, tra l’altro potrebbero anche sopravvivere, in parte, all’estinzione del reato permettendo così alla persona offesa di rivolgersi al giudice civile per chiedere il risarcimento di quella parte del danno da reato, non risarcita attraverso la condotta riparatoria.

Il ragionamento della Suprema Corte su esposto, considerato che l’integrale risarcimento del danno non può ritenersi come una componente necessaria delle condotte riparatorie nella giurisdizione del Giudice di Pace, risulta essere anche in linea con il principio costituzionale di uguaglianza poiché garantisce l’applicazione della causa di estinzione del reato in analisi, anche agli imputati che si trovino in situazioni di disagio economico.

2. La pronuncia della Suprema Corte. Nel caso oggetto della presente disamina, il Supremo Consesso ha ritenuto che la sentenza emessa dal Giudice di pace di Venezia abbia fatto corretta applicazione dei principi su analizzati.

In riferimento alla “qualità” della valutazione di congruità, infatti, la Cassazione evidenzia come il giudice a quo abbia in primis, espresso una ponderazione che, correlata al tenore dell’imputazione e sostenuta dai fatti allegati, non s’appalesa per nulla abnorme o sproporzionata e secondariamente, sotto il profilo special-preventivo, abbia valorizzato la condotta processuale e l’impegno dell’imputato nel reperimento delle risorse necessarie alla riparazione. La critica del ricorrente Pubblico Ministero invece, non rappresenta elementi indebitamente trascurati e prospetta, quale elemento ostativo, la sola mancata formulazione di scuse o altra forma di contrizione, elementi questi appartenenti ad una dimensione etica e personalistica che mal si conciliano con la ratio dell’istituto in esame.

Da tutto quanto premesso è scaturita l’inammissibilità del ricorso.

 

 


Art. 35 D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274
Cassazione penale, sez. V, sentenza 24 aprile 2020, n. 12926
Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza 23 aprile 2015 n. 33864
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 26 ottobre 2010 n. 10673

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Avv. Giacomina Carla Squitieri

Avvocato, mediatore civile e specialista in professioni legali. Dopo la maturità psico-socio-pedagogica ottenuta presso il Liceo Classico “A.Rosmini” di Palma Campania ha conseguito nel 2007 la Laurea triennale in Scienze giuridiche presso l’Università degli studi di Napoli Parthenope con tesi in diritto fallimentare. Nel 2009 ha conseguito la Laurea specialistica in Giurisprudenza con tesi in diritto romano e votazione di 110/110 e lode. Nello stesso anno veniva scelta per merito come stagista dal Ministero degli Affari Esteri per l’unico posto disponibile presso l’Ufficio Sottrazione internazionale di minori – DGIT 4 dove, oltre a collaborare alla risoluzione di casi specifici, a preparare atti per i fascicoli destinati alla Corte dell’Aja ed a partecipare alle Task Force Ministeriali (Interno, Esteri, Difesa) ha provveduto a redigere parti della guida annuale “Bambini contesi” pubblicata sul sito del Ministero. Nel 2010 ha svolto il biennio di pratica forense presso lo studio dell’Avv. Saviano Sabato, penalista e cassazionista dell’ordine degli avvocati di Nola. Nel 2012 ha acquisito il titolo di specialista in professioni legali diplomandosi con ottimi risultati presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Alla fine dello stesso anno ha concluso il Corso di formazione in diritto civile e processuale civile, diritto penale e procedura penale per l’abilitazione forense del Prof. Avv. Natale Ferrara presso l’Istituto superiore di Studi giuridici di Napoli. Dal 2011 ha svolto incarichi di difesa degli enti comunali e dal 2012 ha collaborato con studi legali specializzati in diritto civile ed amministrativo. Nel 2020 ha deciso di intraprendere anche la professione di mediatore civile e commerciale, seguendo il corso di alta formazione di cui al D.M. n.180 del 4/11/2010 ed iscrivendosi nell'apposito elenco presso il Ministero della Giustizia. Collabora con la rivista giuridica telematica “Nuove Frontiere del Diritto” e più di recente ha intrapreso una collaborazione con la rivista di informazione giuridica “Salvis Juribus”. Si interessa del diritto a tutto tondo.

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