Evoluzione del giudizio di conto ed il suo ruolo nel sistema delle garanzie sulle gestioni contabili

Evoluzione del giudizio di conto ed il suo ruolo nel sistema delle garanzie sulle gestioni contabili

Sommario: 1. Premesse storiche – 2. Principi di diritto relativi al giudizio sui conti – 3. Gli agenti contabili – 4. Aspetti procedurali e interpretativi del giudizio di conto. Presentazione dei conti giudiziali presso l’amministrazione e deposito degli stessi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti – 5. Fase di definizione del giudizio – 6. Rito monitorio – 7. Giudizio per resa di conto – 8. Il giudizio di conto: strumento anacronistico o sempre attuale? – 9. Considerazioni conclusive

 

1. PREMESSE STORICHE

La necessità e l’importanza della presenza di una istituzione quale strumento essenziale di garanzia della legalità finanziaria e della trasparenza contabile è stata avvertita sin dalla nascita della Corte dei conti, che avvenne ad opera della mente illuminata del grande statista piemontese, il conte Camillo Benso di Cavour, che sin dal 1852 intuì la necessità di organizzare una Corte dei conti italiana che rispondesse ai concetti costituzionali del Nuovo Regno.

Tra le funzioni fondamentali che hanno caratterizzato la Corte dei conti sin dalla sua genesi, si rinviene il giudizio di conto, che costituisce, pertanto, la più antica e tipica attribuzione della Magistratura contabile.

La storia insegna che l’organizzazione del sindacato finanziario sull’attività statale ha origini remote, in quanto l’esigenza di un supremo organismo deputato alla vigilanza, nonché al controllo sulle entrate e spese pubbliche è intimamente connaturata ad ogni ordinamento.

Prima di descrivere compiutamente una delle funzioni fondamentali della Corte dei conti, si ritiene utile ripercorrere succintamente le tappe fondamentali che hanno caratterizzato la sua evoluzione a partire dalla nascita della stessa, risalente all’anno 1862 e avvenuta per mezzo della legge n. 800, del 14 agosto del 1862. All’atto del solenne insediamento avvenuto il 1° ottobre del 1862 a Torino, l’illustre esponente della destra storica Quintino Sella affermò che la Corte dei conti “estendeva la sua giurisdizione in tutto il Regno” e che costituiva “una delle più provvide e sapienti deliberazioni che la Nazione dovesse al Parlamento”, aggiungendo la speranza che “dalla istituzione di questa Corte l’Italia avesse tratto il più lieto auspicio per la sua unità amministrativa e legislativa”.

Il nuovo organo, deputato ad assumere le vesti di vigile custode delle leggi di spesa e di giudice dei conti soggetto solamente alla legge, rappresentava il risultato della trasformazione della Camera dei Conti del Piemonte con contestuale abolizione delle magistrature di controllo degli Stati preunitari esistenti ed attive nelle sedi di Torino, Firenze, Napoli e Palermo[1].

La Corte dei conti del 1862, che ereditò quasi del tutto le medesime funzioni della Camera dei conti piemontese[2], fu fortemente voluta dal Cavour, il quale tracciò le sue linee fondamentali in una storica relazione caratterizzata dal celebre monito secondo cui “è assoluta necessità di concentrare il controllo preventivo e consuntivo in un magistrato inamovibile”[3].

In ordine alla legge istitutiva italiana del 14 agosto del 1862, n. 800 si devono rievocare le sue connotazioni fortemente distintive, in quanto presentava una notevole estensione, andando a toccare tutti gli atti del potere esecutivo, inclusivi anche dei decreti reali, per poi arrivare ad annettere i conti consuntivi dei Ministri, sui quali la Corte dei conti riferiva ogni anno in modo esauriente al Parlamento nazionale. Per lungo tempo tale legge ebbe, dunque, il merito di aver rappresentato in modo pieno e soddisfacente i bisogni della Pubblica Amministrazione senza la necessità di apportare alla stessa sostanziali e radicali modifiche. Venne, pertanto, considerata come una delle più perfette ed armoniche di tutto il nuovo Regno.

La legge istitutiva presentava, altresì, un corpus di controlli, così come ideato dal Cavour, che trovava la sua declinazione in due rami fondamentali operativi, uno afferente al controllo in senso stretto, comprensivo sia del controllo preventivo di legittimità ai sensi dell’art. 13 della legge di cui trattasi, sia del controllo consuntivo sulla gestione disciplinato dagli artt. 28 e seguenti. Il secondo contenitore di controlli concerneva il genus del controllo giurisdizionale, volto all’accertamento della responsabilità contabile e regolato dall’art. 33 secondo cui : “La Corte giudica, con giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprietà dello stato, e di coloro che si ingeriscono anche senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti ai detti agenti. La Corte giudica pure sui conti dei tesorieri ed agenti di altre pubbliche amministrazioni per quanto le spetti a termini di leggi speciali”.

I primi cinquanta anni di attività della Corte dei conti dell’Italia liberale furono caratterizzati sia da una certa stabilità connessa al consolidamento nei regimi politici delle istituzioni liberali, unitamente ad una graduale evoluzione verso un sistema democratico, mentre con l’avvento del regime fascista l’Istituto fu costretto ad operare in un contesto fortemente caratterizzato da notevoli difficoltà legate allo svolgersi di numerosi conflitti bellici e fu investito da un processo di restaurazione voluto proprio dal Duce, il quale manifestò un’altissima considerazione per la delicata missione che tale Istituto era chiamato ad assolvere nella compagine dell’organismo statale ricostituito dal Regime.

Nell’ambito della Carta costituzionale, poi, l’inquadramento della Corte dei conti fra gli organismi a rilevanza costituzionale, di cui agli artt. 100 e 103, ha rappresentato un ossequio alle tradizionali funzioni ed alle più tangibili caratteristiche di questo Istituto, confermando in capo alla Corte dei conti la titolarità congiunta del controllo e della giurisdizione. Di talché, quando la Costituzione entrò in vigore rimasero immutate le preesistenti competenze giurisdizionali, lasciando parimenti al legislatore libertà di manovra in ordine alla possibilità di includere nell’ambito della giurisdizione contabile nuove materie, con particolare riguardo a quelle afferenti alla contabilità pubblica.

2. PRINCIPI DI DIRITTO RELATIVI AL GIUDIZIO SUI CONTI

Prima di discorrere più diffusamente sulle regole su cui poggia la fattispecie del giudizio di conto, si deve necessariamente procedere alla disamina dei principi di diritto affermati dalla Corte dei conti e dalla Corte regolatrice della giurisdizione.

Orbene, il contenuto precettivo dell’art. 1 del codice di giustizia contabile precisa che tra le materie di “contabilità pubblica” demandate alla giurisdizione della Corte dei conti sono incluse non solo i giudizi di conto, ma anche gli “altri giudizi in materia di contabilità pubblica” che lo stesso codice elenca poi all’art. 11, comma 6, secondo cui: “Le sezioni riunite in speciale composizione, nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in materia di contabilità pubblica, decidono in unico grado sui giudizi: a) in materia di piani di riequilibrio degli enti territoriali e ammissione al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali; b) in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT; c) in materia di certificazione dei costi dell’accordo di lavoro presso le fondazioni liricosinfoniche; d) in materia di rendiconti dei gruppi consiliari dei consigli regionali; e) nelle materie di contabilità pubblica, nel caso di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo”.

Va rilevato che l’art. 11, comma 6, del c.g.c. si rivolge alla “giurisdizione esclusiva in materia di contabilità pubblica” che è stata riconosciuta anche dalla Corte di Cassazione. La sentenza delle Sezioni Unite n. 22645/2016 ha infatti preso atto, confermandolo, di “un orientamento giurisprudenziale che, riconoscendo l’esistenza di una giurisdizione piena ed esclusiva delle Sezioni riunite in speciale composizione della Corte dei conti, ancorata alle materie di contabilità pubblica di cui all’art. 103 Cost., comma 2, ha inteso ampliare la competenza della stessa Corte, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione, a fattispecie ulteriori rispetto a quelle individuate espressamente dall’ordinamento”. In forza di tale orientamento “possono essere considerate ammissibili le pretese che trovano diretto e specifico fondamento nella disciplina che regola la gestione di fondi pubblici e che investano il modo di applicazione delle anzidette regole, risolvendosi nella contestazione di partite contabili afferenti alla esazione del tributo (cfr. Cass., Sez. Un., 10 aprile 1999 n. 235 cit.) ovvero nella applicazione di criteri giuridici o di regole contabili che implichino un giudizio di conto ( cfr. Cass., Sez. Un., 29 maggio 1992, n. 6478 )”[4].

Nello specifico il giudizio di conto, nonostante l’entrata in vigore del Codice di giustizia contabile, è disciplinato sia dall’art. 44 e seguenti del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. n. 1214 del 1934, che dall’art. 74 della legge di contabilità generale dello Stato n. 2440/1923, e dagli artt. 178 e 610 del R.D. n. 827 del 1924, recante il Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato. Le norme appena richiamate, pertanto, sono tuttora vigenti (sono oggetto di abrogazione gli artt. da 67 a 97).

Il citato art. 44 attiene all’ambito di operatività nella sua giurisdizione contenziosa, mentre il successivo art. 45 descrive la presentazione del conto giudiziale[5]. L’art. 74 della legge di contabilità generale dello Stato n. 2440/1923, unitamente all’art. 610 del R.D. n. 827 del 1924, recante il Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, invece, forniscono una descrizione dei soggetti che vengono considerati agenti contabili. L’esatta elencazione degli agenti contabili la ritroviamo, infine, nella norma di cui all’art. 178 del citato Regolamento contabile.

Nel Codice di giustizia contabile il giudizio di conto è normato dagli artt. 137-150. L’art. 137, in particolare, attribuisce alla Corte dei conti la competenza a giudicare degli agenti contabili dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, secondo quanto stabilito in termini di legge.

Al fine di comprendere meglio la portata della succitata previsione, giova riportare il disposto dell’art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001 che fornisce una definizione delle amministrazioni pubbliche, ai sensi del quale “Per   amministrazioni   pubbliche   si   intendono   tutte   le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti  e  scuole  di ogni ordine e  grado  e  le  istituzioni  educative,  le  aziende  e d’amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i  Comuni, le Comunita’ montane, e loro  consorzi e associazioni, le istituzioni  universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le  Camere  di  commercio,  industria,  artigianato  e agricoltura  e  loro  associazioni,  tutti  gli  enti  pubblici   non economici nazionali,  regionali  e  locali,  le  amministrazioni,  le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l’Agenzia per  la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e  le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.

Tuttavia, la definizione contenuta nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 /2001, non sembra soddisfare pienamente, in quanto fornisce un elenco non esaustivo di tutti gli enti in cui gli agenti sono deputati al maneggio di beni e dei valori dell’erario. È stato, pertanto, sostenuto in dottrina che una soluzione più aderente ai vari interessi sottesi in materia potrebbe essere rinvenuta nell’elenco del Settore delle Amministrazioni pubbliche definito ogni anno attraverso apposito provvedimento dell’ISTAT, di cui all’art. 1 della legge n. 196 del 2009.

È stato evidenziato, però, che nonostante la nozione finanziaria di pubblica Amministrazione contenuta nell’elenco ISTAT[6] appaia più convincente, presenta comunque delle carenze connesse sia al fatto che si tratta di un elenco non completo, sia in relazione alla tipologia di enti, in quanto non tutti risultano comprensivi di agenti contabili tenuti a presentare il conto.

Tornando al Codice di giustizia contabile, lo stesso dopo tre anni di vigenza ha subito una revisione ad opera di varie disposizioni integrative e correttive, in conformità a principi e criteri direttivi di cui all’art. 20, comma 6 della legge delega 7 agosto 2015, n. 124 e recependo molte delle indicazioni fornite nel parere reso dalle Sezioni riunite in sede consultiva della Corte dei conti (delibera n. 6 del 2 agosto 2018)[7]. Modifiche e integrazioni che, pertanto, si sono concretizzate con il d.lgs. del 7 ottobre 2019, n. 114.

Occorre rilevare che i citati articoli 137-150 c.g.c. afferenti all’ambito di operatività del giudizio di conto devono necessariamente essere letti in stretta connessione con i principi generali e fondanti della giurisdizione contabile, che si rinvengono nei principi di effettività e di concentrazione (articoli 2 e 3 del c.g.c..), unitamente a quelli del giusto processo (art. 4 c.g.c.), dell’obbligo di motivazione e di sinteticità degli atti (art. 5 c.g.c.).[8]

Pur non potendo, in questo elaborato, trattare in modo approfondito ed esaustivo i principi incardinati nel Codice appena menzionati, una particolare attenzione, tuttavia, in materia di giudizi di conto deve essere rivolta al principio di effettività di cui all’art. 2 del c.g.c., il quale sancisce che “la giurisdizione contabile assicura tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”.

Secondo la Corte di Giustizia il principio di effettività della tutela giurisdizionale costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’uomo.

Il principio di effettività di cui all’art. 2 del c.g.c. deve essere necessariamente correlato al principio di concentrazione. Di talché, se il compito affidato alla giurisdizione contabile consiste nell’assicurare una tutela piena ed effettiva degli interessi e dei diritti soggettivi, tale finalità si esplica attraverso la concentrazione innanzi al giudice contabile di ogni forma di tutela dei medesimi diritti e interessi, anche a garanzia della ragionevole durata del processo, secondo quanto disposto dall’art. 3 del Codice stesso.

Tale principio, che in origine è stato accolto nel Codice del processo amministrativo e positivizzato all’art. 1 c.p.a., ha sollevato numerosi dubbi nella giurisprudenza costituzionale e della Corte di cassazione in ordine all’individuazione del suo fondamento; così come difficoltà interpretative si sono riscontrate in relazione all’esatta individuazione del contenuto proprio di tale principio, in assenza di astratte definizioni fornite dalla stessa giurisprudenza. In verità molto si è dissertato attorno a tale principio e ancora oggi si discute sull’esatto significato del termine effettività e sulla portata ad esso attribuita dalla Corte di giustizia nella sua copiosa giurisprudenza, attestata la sua natura articolata e suscettibile di diverse declinazioni a seconda del piano di indagine e dei diversi ambiti di applicazione.

Mettendo da parte le innumerevoli connotazioni del principio di effettività elaborate dalla giurisprudenza, appare utile calarsi nel contesto in cui si inserisce l’oggetto di questo studio, al fine di studiarne effetti e implicazioni.

A tal proposito, si può affermare, grazie all’ausilio della giurisprudenza costituzionale, che l’intendimento del giudizio di conto sarebbe quello di garantire “la corretta gestione del pubblico denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni”. È stato detto, altresì, che “la positivizzazione del principio di effettività appare, dunque, imporre che il giudizio di conto realizzi al massimo grado il “diritto sostanziale”, a cui presidio è stato introdotto”[9].

Ne discende, dunque, che la piena operatività del principio di effettività ha consolidato il bisogno di mantenere in vita lo strumento processuale del giudizio di conto, in conformità ai dettami del giudice delegato, il quale nel Codice di contabilità lascia immutata la struttura del giudizio di conto, (limitandosi ad introdurre alcune novità), in ossequio al “principio di necessarietà del giudizio di conto, da cui discende l’obbligatorietà della resa del conto giudiziale da parte di chi ha maneggio di denaro o valori pubblici, ma anche nella convinzione che la presentazione del conto al giudice contabile possa rappresentare un forte deterrente verso gestioni irregolari delle risorse pubbliche”.[10]

In tali termini si è ragionato anche durante il Convegno sui conti giudiziali, tenutosi a Torino tra il 19-21 ottobre 2017, dove è stato autorevolmente sostenuto che il principio cardine di tutto il sistema del giudizio dei conti si rinviene nel giudizio di effettività, tant’è che “se si giustifica la presenza del giudizio di conto, la si giustifica nei termini di un’effettività di intervento che, evidentemente, non viene riconosciuta ad altro ambito”.

Nel chiedersi, poi, se il giudizio di conto sia l’unico in grado di assicurare tale tipo di tutela, si è posto qualche dubbio interpretativo, che sicuramente apre le porte ad ulteriori approfondimenti in ordine alla struttura stessa di tale giudizio, il quale, secondo la maggioranza della dottrina, andrebbe rivisitato e rinnovato, in quanto molto è mutato da quando Cavour istituì la Corte dei conti e il giudizio di conto![11]

3. GLI AGENTI CONTABILI

Come già accennato nel paragrafo precedente, la norma fondamentale di riferimento per procedere all’individuazione dei soggetti tenuti alla resa del conto giudiziale si rinviene nell’art. 44 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti, secondo cui “1. La Corte dei conti giudica, con giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprietà dello Stato e di coloro che s’ ingeriscono anche senza legale autorizzazione degli incarichi attribuiti a detti agenti. 2. La Corte giudica pure sui conti dei tesorieri ed agenti di altre pubbliche amministrazioni per quanto le spetti a termini di leggi speciali”.

Il contenuto del citato art. 74 della legge di contabilità generale dello Stato n. 2440/1923, e dell’art. 610 del R.D. n. 827 del 1924, recante il Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato offre, invece, una descrizione dei soggetti incaricati della riscossione delle entrate e dell’esecuzione dei pagamenti o di quelli che ricevono somme dovute allo Stato o altre delle quali lo Stato stesso ne diventa debitore, unitamente a quei soggetti che maneggiano denaro pubblico o che si ingeriscono negli incarichi attribuiti ai detti agenti.[12]

Si deve, infine, riportare quanto disciplinato dall’art. 178 del regolamento di contabilità (R.D. 23 maggio 1924, n. 827) il cui contenuto offre una elencazione puntuale di coloro che rappresentano gli agenti contabili: “a) gli agenti che con qualsiasi titolo sono incaricati,  a  norma delle  disposizioni  organiche  di   ciascuna   amministrazione,   di riscuotere le varie entrate dello Stato e di versarne le somme  nelle casse del tesoro; b) i tesorieri che ricevono nelle loro casse le somme dovute allo Stato, o le altre delle quali questo diventa debitore, eseguiscono  i pagamenti delle spese per conto dello  stato,  e  disimpegnano  tutti quegli altri servizi speciali che sono  loro  affidati  dal  ministro delle finanze o dal direttore generale del tesoro; c) tutti coloro che, individualmente ovvero collegialmente, come facenti parte di consigli di  amministrazione  per  i  servizi  della guerra e della marina e simili, hanno maneggio qualsiasi di  pubblico denaro, o sono consegnatari di generi, oggetti e materie appartenenti allo Stato; d) gli impiegati di qualsiasi amministrazione dello Stato cui sia dato speciale incarico di  fare  esazioni  di  entrate  di  qualunque natura e provenienza; e) tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione,  prendono ingerenza  negli  incarichi  attribuiti  agli  agenti   anzidetti   e riscuotono somme di spettanza dello Stato.”

Sulla scorta di quanto esposto, dunque, si evince che gli agenti contabili dello Stato possono suddividersi in tre categorie: agenti della riscossione o esattori, il cui compito risulta essere quello di riscuotere le entrate e di versarne il relativo ammontare; gli agenti pagatori o tesorieri, incaricati della custodia del denaro e dell’esecuzione dei pagamenti; gli agenti consegnatari, addetti alla conservazione di generi, oggetti e materie di pertinenza della pubblica amministrazione.

In ordine alla figura degli agenti contabili, inoltre, si suole distinguere tra contabili di diritti e contabili di fatto; i primi corrispondono a quei soggetti sui quali è posto l’obbligo strumentale della custodia e della corretta gestione dei valori loro assegnati per ufficio o per contratto, mentre nell’ambito della seconda categoria rientrano tutti quei soggetti che di fatto hanno realizzato la materiale ingerenza nella gestione dei beni pubblici.

Si osserva poi che affinché un soggetto venga qualificato agente contabile non è necessaria la presenza di un rapporto di pubblica dipendenza nella gestione dei beni pubblici, essendo coinvolti anche soggetti privati legati alla pubblica amministrazione da peculiari relazioni (ad es. un rapporto di concessione che lega la banca tesoriere all’amministrazione).

Appare utile ricordare che secondo una posizione giurisprudenziale consolidatasi nel tempo si ritiene che il maneggio e la custodia di denaro e di valori di pertinenza dell’erario pubblico implichino l’assunzione da parte di chi li svolge della qualifica di agente contabile, a prescindere dal fatto che tali attività avvengano sulla base di una legittima investitura oppure per via di mero fatto.

Si aggiunga, altresì, che l’espressione “maneggio di denaro” debba essere inteso nel senso volto a far ricomprendere non solo gli agenti contabili che sulla base di norme organizzative svolgono attività di riscossione o di esecuzione dei pagamenti, ma anche coloro che abbiano la disponibilità di denaro da qualificarsi pubblico (in ragione della provenienza e/o della destinazione) e siano forniti del potere di disporne senza l’intervento di altro ufficio[13].

Da quanto appena affermato se ne ricava che affinché un soggetto possa rivestire la qualifica di agente contabile rilevano quali elementi essenziali e sufficienti il carattere pubblico dell’ente per il quale il soggetto agisca, nonché del denaro o del bene oggetto della gestione. Non assume, viceversa, alcun valore il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può comprendere un rapporto di pubblico impiego o di servizio, una concessione amministrativa financo ad un contratto; infine, il titolo in base al quale si svolge la gestione potrebbe mancare totalmente, in quanto il relativo rapporto potrebbe configurarsi secondo schemi generali previsti e disciplinati dalla legge oppure discostarsene in tutto o in parte.

A tal proposito, si devono citare le sentenze della Suprema Corte di Cassazione che, sulla scia di un orientamento consolidato, hanno attribuito rilevanza alla provenienza pubblica del bene oggetto della gestione, nonché al carattere pubblico dell’ente concedente al fine di determinare la giurisdizione della Corte dei conti, con relativa soggezione al rendiconto giudiziale di società private concessionarie di servizi pubblici locali.[14].

In tale contesto, appare utile rievocare anche la sentenza delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, che nell’esplicazione della propria funzione nomofilattica si è pronunciata sulla questione di massima sollevata dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, nell’ambito di giudizi di conto concernenti la gestione dell’imposta di soggiorno da parte delle strutture ricettive presenti nel territorio del Comune di Roccaraso per gli anni 2012-2013.[15] Di talché, nella disamina delle questioni poste all’attenzione selle Sezioni riunite le stesse hanno affermato il seguente principio di diritto volto a qualificare come agenti contabili le succitate strutture ricettive: “I soggetti operanti presso le strutture ricettive, ove incaricati – sulla base dei regolamenti comunali previsti dall’art. 4, comma 3, del D. lgs n. 23/2011 – della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno corrisposta da 50 coloro che alloggiano in dette strutture, assumono la funzione di agenti contabili, tenuti conseguentemente alla resa del conto giudiziale della gestione svolta”.

Tra le pronunce più recenti volte a negare una differenziazione tra agente contabile di diritto e agente contabile di fatto, rimarcando viceversa una piena equiparazione delle figure laddove il contabile di fatto esplichi le medesime mansioni di quello incaricato della funzione di diritto, giova ricordare la sentenza n. 155 del 2020 della I sezione centrale d’Appello della Corte dei conti[16]. Tale Sezione, sulla scorta dell’art. 93 del TUEL (Decreto Legislativo del 18 agosto del 2000, n. 267), il cui disposto impone a coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti agli agenti contabili di rendere il conto della loro gestione in quanto soggetti anch’essi alla giurisdizione della Corte dei conti, ha negato la fondatezza della tesi sostenuta da un dipendente comunale che, nonostante avesse svolto di fatto le funzioni di economo, riteneva di non assumere la qualifica di agente contabile, asserendo che le funzioni di economo erano state espletate in assenza di regolare investitura della funzione medesima.

Dalla sentenza in esame, ergo, il legislatore, in armonia con pacifici e consolidati principi di contabilità pubblica consacrati nella legge di contabilità di Stato, nel riaffermare che le due figure in esame sono perfettamente equiparate, ha inteso porre l’accento sul dovere in capo al contabile di fatto di osservare lo stesso grado di diligenza che deve tenere il contabile di diritto nella gestione del pubblico denaro.

Altra pronuncia che riveste particolare interesse nella materia di che trattasi concerne la deliberazione n. 39 del 28 maggio 2021 della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Molise, la quale, nell’ effettuare una ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in materia di conti giudiziali, ha posto ancora in rilievo la regola secondo cui chiunque amministri beni altrui è tenuto a rendere ragione del proprio operato, imponendo pertanto il controllo giurisdizionale sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche da parte di tutti gli agenti contabili, di diritto o di fatto, coinvolti nella gestione del denaro o dei valori di cui hanno la disponibilità.

Degna nota è anche la sentenza della II sezione centrale d’Appello della Corte dei conti, n. 123 del 21 aprile 2021, la quale nelle premesse volte a dimostrare l’impossibilità di qualificare il soggetto in causa quale “agente contabile di fatto” o “amministratore di fatto” o “funzionario di fatto”, offre una descrizione puntuale delle caratteristiche necessarie affinché un soggetto possa rivestire la qualifica di agente contabile di fatto.[17]

Per completezza espositiva, appare utile rammentare la giurisprudenza della Corte dei conti e della Corte costituzionale che si sono pronunciate in materia di giudizi di conto in ordine ai confini della giurisdizione del giudice contabile nell’ambito regionale e degli enti locali.

Sul fronte regionale, infatti, la Corte costituzionale nella sentenza n. 292, del 25 luglio 2001, ha sottolineato che l’unico agente contabile della Regione, mettendo da parte i funzionari amministrativi dell’Ente territoriale preposti a specifici servizi, è l’Istituto tesoriere, considerato che “l’agente contabile è soggetto distinto dai componenti del Consiglio regionale e dai suoi organi interni, ed affatto estraneo alle prerogative che assistono costoro”.

Si riporta, altresì, quanto espresso dalle Sezioni riunite della Corte dei conti che nella sentenza n. 30, del 4 agosto del 2014, hanno approfondito i tratti peculiari della figura dell’agente contabile, in rapporto alla questione ipotizzata che attribuiva ai Presidenti dei Gruppi consiliari regionali la qualifica di agenti contabili in ordine alla gestione dei fondi pubblici erogati secondo le norme regionali attuative della legge del 6 dicembre 1973, n. 853.

Nella sentenza in parola le Sezioni riunite hanno asserito che “il giudizio di conto presuppone necessariamente la sussistenza della figura dell’agente contabile. Ebbene, in disparte quanto stabilito, in via generale, dall’art. 178 del R.D. n. 827 del 1924, recante il Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato relativamente alla individuazione degli agenti contabili, preme altresì rilevare che nell’ambito degli enti pubblici, e, in particolare, nell’ambito delle autonomie locali, gli agenti contabili sono figure sempre tipizzate, che devono essere formalmente e direttamente investite della relativa funzione o dalla legge o dalle disposizioni regolamentari interne di ciascuna amministrazione. In proposito giova rammentare il principio affermato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce (cfr., ex multis, sentenze nn. 110 del 1970 e 129 del 1981), secondo cui l’art. 103, 2 comma, della Costituzione conferisce capacità espansiva alla disciplina dettata dal R.D. n. 1214 del 1934 soltanto per gli agenti contabili dello Stato; l’estensione a situazioni non espressamente regolate nell’ambito degli Enti pubblici diversi dallo Stato può avvenire entro i limiti segnati da altre norme e canoni costituzionali”.

Dalla disamina del quadro normativo esposto dalle Sezioni riunite, le stesse concludono il loro ragionamento affermando che “In definitiva, ribadito che nell’ambito degli enti pubblici, e, in particolare, nell’ambito delle autonomie locali, gli agenti contabili sono figure sempre tipizzate, che devono essere formalmente e direttamente investite della relativa funzione o dalla legge o dalle disposizioni regolamentari interne di ciascuna amministrazione, va conclusivamente rilevato che nessuna disposizione normativa, statale o regionale, prevede l’attribuzione della qualifica di agente contabile ai Presidenti dei Gruppi consiliari. Naturalmente, va precisato che ove i Presidenti dei Gruppi consiliari avessero maneggio diretto di denaro e deviassero, nella relativa spendita, dai fini istituzionali, o – ancor peggio – ne facessero un uso personale, essi sarebbero passibili di ordinaria chiamata in giudizio di responsabilità contabile, secondo le usuali regole”[18]..

Tra le pronunce più recenti afferenti le singole figure di agenti contabili, si annovera altresì, la sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna n. 17, del 19 gennaio 2021, con la quale viene rigettato il ricorso in opposizione al decreto che aveva statuito l’obbligo di resa del conto nei confronti del concessionario di servizio di un ente locale, in quanto l’eventuale regime privatistico in cui opera il soggetto privato titolare di concessione per la gestione di servizi comunali non impedisce che lo stesso rivesta la qualifica di agente contabile e come tale soggetto al giudizio di conto. Ciò, sul presupposto che tale figura è indipendente dalla natura, pubblica o privata, del soggetto e dal titolo giuridico in forza del quale la gestione viene svolta.

Un cenno deve essere fatto alla figura del notaio, rammentando che l’univoca giurisprudenza della Corte dei conti ha sempre affermato la sua giurisdizione nei confronti dei responsabili d’imposta, per non aver versato le somme riscosse a titolo di imposta di registro, così come esplicitato nella sentenza del 23 ottobre 2018, n. 410, della I sezione centrale d’Appello della Corte dei conti.

Una maggiore attenzione va rivolta al tema delle strutture ricettive, sul quale si sofferma la sezione giurisdizionale per la regione Sicilia con sentenza n. 432, del 2 settembre del 2020, nella quale si affrontano le problematiche afferenti alla materia di imposta di soggiorno a seguito della novella introdotta dal Decreto Rilancio (n. 34, del 19 maggio 2020), il quale al comma 3, dell’art. 180 dispone che “Il gestore della struttura ricettiva e’ responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all’articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla legge  30  luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa  sui soggetti passivi, della presentazione   della   dichiarazione,  nonché’ degli  ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale”.

Così, i giudici contabili siciliani nella sentenza in parola hanno statuito che: “in ogni caso, deve rammentarsi che anche nella ipotesi di omesso versamento di somme ricevute a titolo di imposta da soggetto qualificabile come (per fattispecie concernenti la figura del notaio) è stata riconosciuta la giurisdizione della Corte dei conti (cfr. sez. I Appello, sentenza 23 ottobre 2018, n.410) e la qualifica in capo al responsabile medesimo di agente contabile chiamato in giudizio per il maneggio di denaro e non quale coobbligato al pagamento delle imposte (Sez. Appello Sicilia, sentenza 18 gennaio 2018, n. 9).”

Dissertando ancora in materia di strutture ricettive, si deve necessariamente richiamare l’attenzione sulla sentenza n. 325 del 14 ottobre 2021 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Emilia-Romagna, la quale ha confermato la giurisdizione della Corte dei conti sui titolari delle strutture ricettive (albergatori etc.), tenuti al riversamento al Comune dell’imposta di soggiorno riscossa dagli ospiti delle strutture alberghiere.

Invero, la qualifica di responsabile d’imposta, introdotta dal citato Decreto Rilancio, ha avuto come effetto solamente quello di rafforzare l’adempimento dell’obbligazione tributaria, il cui soggetto passivo dell’imposta resta sempre e solo l’ospite delle strutture alberghiere, non incidendo in alcun modo sulla giurisdizione della Corte dei conti, in quanto l’imposta di soggiorno è un’imposta di scopo con finalità pubbliche volta a sostenere e migliorare i servizi offerti ai villeggianti dai comuni con vocazione turistica.

Ne consegue che la somma corrisposta dall’ospite per pagare tale imposta assume natura di danaro pubblico nel momento in cui la stessa viene versata ed incassata dall’albergatore, per essere riversata successivamente al Comune. Ne consegue la soggezione dello stesso all’obbligo di rendicontazione e presentazione del relativo conto giudiziale, rispondendo di responsabilità contabile in caso di omesso versamento al Comune delle somme incassate a titolo di imposta di soggiorno.

Si deve ricordare che la configurazione dell’albergatore quale agente contabile ed incaricato di pubblico servizio è stata oggetto di riflessione anche da parte della stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 18320 del 2021[19]. In tale sentenza viene posta l’attenzione, in particolare, sul mancato riversamento delle somme riscosse dall’albergatore che, in base alle disposizioni regolamentari comunali, potrebbe non configurarsi come reato di peculato.

La giurisprudenza di legittimità, invero, era ferma nel sostenere che integrava il reato di peculato la condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropriava delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, sulla base della disposizione normativa di cui all’art. 4 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23.

Si deve rilevare, però, che con la novella del 2020 (decreto Rilancio) si è operata una specifica e particolare depenalizzazione del reato di peculato (art. 314 c.p.) soltanto per la figura dell’albergatore. Tanto che con la sentenza n. 6087, del 16 febbraio 2021, le SS.UU penali della Corte di Cassazione hanno confermato la sussistenza del reato di peculato in capo al legale rappresentante di una società concessionaria di giochi elettronici che si era impossessato delle somme relative al prelievo erariale unico.

Pertanto, la riforma apportata dal Decreto Rilancio in materia di imposta di soggiorno mentre ha operato una specifica e particolare depenalizzazione della condotta illecita del gestore di struttura alberghiera, nulla ha innovato in ordine alla responsabilità contabile del gestore stesso.

Nel caso dell’albergatore, dunque, si è in presenza di un rapporto idoneo a fondare gli elementi costitutivi della responsabilità contabile, riscontrandosi nella fattispecie le caratteristiche dell’agente contabile, come delineate dall’art. 178 del R.D. n. 827 del 1924, conseguente al maneggio di denaro riscosso per conto dell’Erario e ad esso destinato.

La sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, infine, con sentenza n. 1, del 10 gennaio 2022, ha confermato la giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie aventi ad oggetto l’accertamento della responsabilità dei gestori di strutture alberghiere per il mancato riversamento ai comuni dell’imposta di soggiorno dai medesimi riscossa. Tale decisione è stata presa sulla base dell’assunto che tali soggetti, poiché incaricati di riscuotere denaro che hanno l’obbligo di versare successivamente al Comune e del quale hanno il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione e il versamento, rivestono necessariamente la qualifica di agenti contabili. Senonché, tale qualifica comporta che il gestore della struttura alberghiera debba rispondere del danno patrimoniale arrecato al Comune in caso di mancato versamento delle somme riscosse. In tale sede, inoltre, è stata confermata la qualificazione come “agenti contabili” dei gestori delle strutture ricettive nella vigenza dell’art. 180 del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “decreto Rilancio”), ed in conformità alle argomentazioni esposte sia nella citata sentenza n. 22/QM/2016 della Corte dei conti a Sezioni Riunite, che dalla giurisprudenza amministrativa (v. C.d.S, Sez. V, sentenza n. 5545 del 27 novembre 2017), così come asserito anche nell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19654 del 24 luglio 2018.

Nella sentenza in esame i giudici contabili  hanno ribadito, in particolare, che “l’attività di accertamento e riscossione dell’imposta comunale ha natura di servizio pubblico e, pertanto, l’obbligazione di versare all’ente locale le somme a tale titolo incassate, ha natura pubblicistica essendo regolata da norme che deviano dal regime comune delle obbligazioni civili in ragione della tutela dell’interesse della pubblica amministrazione creditrice alla pronta e sicura esazione delle entrate, con la  conseguente individuazione della natura di agente contabile”.

In ultimo, si deve osservare che, nonostante la giurisprudenza contabile sia unanime nel sostenere tale posizione in materia di titolari di strutture recettive, è intervenuta recentemente una sentenza della sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia del 17 gennaio 2022, n. 6, la quale ha espresso avviso contrario declinando la giurisdizione della Corte dei conti a favore di quella del giudice tributario, sulla base dell’assunto che la novella del 2020, all’art. 180, commi 3 e 4, del Decreto Rilancio (decreto legge 19 maggio 2020, n. 34) ha qualificato l’albergatore responsabile d’imposta, anche per vicende anteriori all’entrata in vigore della citata normativa, contrariamente a precedenti pronunce della stessa Sezione. (vedi la sentenza n. 38 del 12 febbraio 2021 e quella n.159 del 6 maggio 2021).

Sempre in tema di agenti contabili, occorre rilevare quanto innovato rispetto all’ordinamento previgente dal Codice di giustizia contabile, il quale ha istituito l’anagrafe degli agenti contabili, tenuta presso la Corte dei conti, ove confluiscono sia i dati relativi ai soggetti nominati agenti contabili e tenuti alla resa del conto giudiziale, sia variazioni degli stessi dati, ai sensi dell’art. 138 del c.g.c.

Poiché il giudizio di conto ha come necessario presupposto l’individuazione del soggetto contabile tenuto alla rendicontazione, in assenza del quale non si può avere un giudizio, la previsione di una anagrafe può certamente contribuire al pieno e corretto controllo giurisdizionale sui conti.

Lo strumento dell’anagrafe viene alimentata dalla collaborazione delle Amministrazioni interessate, le quali hanno piena contezza delle operazioni dei loro agenti contabili, così come si evince dal comma 5 del citato art. 138 del Codice, secondo cui “All’anagrafe di cui al comma 2 possono accedere le amministrazioni interessate, le sezioni giurisdizionali e le procure territorialmente competenti…”.

In tema di responsabilità degli agenti contabili nei giudizi di conti, infine, molto si è dibattuto in giurisprudenza e la posizione più condivisibile appare quella volta a far ricadere sull’agente contabile, una volta assolto da parte della Procura esclusivamente l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa dedotta in giudizio ovvero l’esistenza del rapporto dal quale deriva originariamente sul convenuto l’obbligo di restituzione nonché il fatto della non corrispondenza della prestazione concretamente effettuata rispetto a quella cui il convenuto medesimo era obbligato, il compito di dimostrare che il suo comportamento non abbia determinato l’inosservanza, da parte dello stesso agente contabile, degli obblighi propri del servizio. L’agente contabile ha, pertanto, l’onere di dimostrare che le perdite riscontrate non siano a lui imputabili ma dipendano da causa di forza maggiore.[20]

4. ASPETTI PROCEDURALI E INTERPRETATIVI DEL GIUDIZIO DI CONTO. PRESENTAZIONE DEI CONTI GIUDIZIALI PRESSO L’AMMINISTRAZIONE E DEPOSITO DEGLI STESSI ALLE SEZIONI GIURISDIZIONALI DELLA CORTE DEI CONTI

Il conto giudiziale, in adesione al principio generale del nostro ordinamento per cui il pubblico denaro proveniente dalla fiscalità generale deve essere assoggettato alla garanzia costituzionale della correttezza della sua gestione, in quanto volto al soddisfacimento dei bisogni pubblici, deve essere “obbligatoriamente reso da ogni gestore di mezzi di provenienza pubblica e da ogni agente contabile che abbia comunque il maneggio di denaro e di valori di proprietà dell’amministrazione”[21].

A tal proposito, appare utile rievocare la sentenza della Corte costituzionale n. 292/2001[22] con la quale è stato precisato che l’attività contabile ha come suo naturale esito il giudizio di conto, che “si configura essenzialmente come una procedura giudiziale, a carattere necessario, volta a verificare se chi ha avuto maneggio di denaro pubblico, e dunque ha avuto in carico risorse finanziarie provenienti da bilanci pubblici, è in grado di rendere conto del modo legale in cui lo ha speso, e dunque non risulta gravato da obbligazioni di restituzione (in ciò consiste la pronuncia di discarico). In quanto tale, il giudizio di conto ha come destinatari non già gli ordinatori della spesa, bensì gli agenti contabili che riscuotono le entrate ed eseguono le spese”.

Alla Corte dei conti, come già detto in precedenza, è intestata la competenza a sindacare sui conti degli agenti contabili dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 137 c.g.c., e l’agente contabile risponde della relativa gestione dal momento in cui ne diviene titolare, ossia con quella che viene definita resa del conto giudiziale.

La presentazione del conto è disciplinata all’art. 139 del c.g.c., il cui contenuto prevede che il conto giudiziale deve essere presentato all’amministrazione di appartenenza da parte degli agenti che vi sono tenuti, entro il termine di 60 giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario, o comunque dalla cessazione della gestione, salvo il diverso termine previsto dalla legge.

L’amministrazione, a sua volta, provvede ad individuare un responsabile del procedimento (art. 139 c.g.c.) che, espletata la fase di verifica o di controllo amministrativo prevista dalla vigente normativa, procede, entro 30 giorni dalla sua approvazione, al deposito del conto, previa parificazione dello stesso, unitamente alla relazione degli organi di controllo interno, presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti territorialmente competente, così come prescritto dall’art. 140 c.g.c.

La sezione giurisdizionale, pertanto, trasmette il conto depositato e munito dell’attestazione di verifica al giudice designato quale relatore dal Presidente della sezione medesima e la competente Procura regionale acquisisce la notizia dell’avvenuto deposito mediante accesso all’apposito sistema informativo relativo ai conti degli agenti contabili.

L’attività appena descritta connessa al deposito del conto giudiziale di cui all’art. 140 del c.g.c. costituisce l’agente dell’amministrazione in giudizio[23], venendosi a determinare il presupposto per l’esercizio della giurisdizione.

In merito a tale disposizione è stato osservato dai giudici contabili, nel parere reso dalle Sezioni riunite in sede consultiva del 10 settembre 2020, n 4[24], che, diversamente da quanto previsto dall’art. 45, comma 1, del R.D. n. 1214 del 1934 secondo cui la presentazione del conto alla propria amministrazione da parte dell’agente contabile determina la pendenza della causa, il Codice di giustizia contabile, invece, ha stabilito che fino a quando i conti, muniti dell’attestazione di parifica, non siano depositati presso la Corte dei conti, con modalità di cui all’art. 6, comma 3 del c.g.c., ovvero attraverso tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con acquisizione da parte della competente Procura regionale della notizia del medesimo deposito mediante accesso all’apposito sistema informativo relativo ai conti degli agenti contabili, non si possa parlare di pendenza di giudizio e non possa neanche decorrere il termine quinquennale per l’estinzione del processo di conto, di cui all’art. 150 del c.g.c.

Ora, la fase che vede la costituzione in giudizio dell’agente contabile a seguito del deposito del conto alle sezioni territorialmente competenti della Corte dei conti, a cura del responsabile del procedimento individuato dall’amministrazione presso cui il conto è stato presentato, è stato oggetto di un vivace dibattito in dottrina.

A tal riguardo, molto si è dissertato attorno alla natura del giudizio di conto e, in particolare, dell’attività istruttoria del giudice relatore, la quale secondo molti sarebbe espressione non di una funzione giurisdizionale ma di un vero procedimento di controllo, volto a verificare la regolarità del conto. È stato sostenuto, altresì, che tale fase costituisce un giudizio non necessario, in quanto non necessariamente si apre la fase dibattimentale, la quale inizia il suo percorso solamente quando il giudice designato ritiene di non poter pronunciare decreto di discarico. Se così non fosse, ossia ove si attribuisse a tale prima fase del giudizio di conto natura giurisdizionale si dovrebbe “coerentemente esigere il rispetto di tutti i diritti di difesa dell’agente contabile, oggi gravemente compromessi, pena l’incostituzionalità del giudizio e la violazione dei basilari principi ad un equo processo presidiati dall’art. 6 CEDU”.[25]

In dottrina si è, altresì, dubitato della scelta del legislatore di attribuire ad un giudice il compito di verificare la bontà dei conti depositati presso la Corte dei conti, tanto più se si considera che lo stesso giudice relatore, prima della modifica intervenuta ad opera del d.lgs. 7 ottobre 2019, n. 114, faceva parte anche del Collegio, che doveva esprimersi su quei conti giudicati non regolari dallo stesso giudice relatore[26].

In tema di presentazione dei conti giudiziali da parte degli agenti contabili alle amministrazioni di appartenenza, appare utile riportare le conclusioni contenute nel citato parere delle SS.RR. in sede consultiva, n. 4 del 2020[27], fornite in risposta ad alcuni quesiti posti dal Mef-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. In tale sede i giudici contabili, oltre a risolvere alcune problematiche afferenti al deposito dei conti giudiziali a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 174 del 2016, hanno approfondito, dirimendoli, i dubbi esistenti circa la natura e la funzione della “parificazione del conto”.

Nel documento in esame viene innanzitutto evidenziato che la “parificazione” del conto assume un notevole rilievo nell’ambito del giudizio di conto. Trattasi di un procedimento complesso, che si risolve in “una dichiarazione certificativa, quale risultante procedimentale, della concordanza dei conti (appositamente riveduti) con le scritture detenute dall’Amministrazione, che per quelle locali viene fatta coincidere con il visto di regolarità amministrativo-contabile rilasciato all’esito della fase di verifica o controllo amministrativo”.

In ordine ai conti erariali, ossia quelli che coinvolgono le amministrazioni periferiche e centrali dello Stato, è stato specificato che l’attività “di verifica di concordanza è svolta all’interno dell’amministrazione di appartenenza dell’agente contabile, mentre il visto di regolarità amministrativo – contabile è rilasciato dai competenti uffici di controllo (quindi dal Sistema delle ragionerie territoriali dello Stato e dagli Uffici centrali di bilancio), conformemente a quanto previsto dall’art. 16, co. 3 del D.lgs. n. 123/2011, che, come già rilevato nel parere n. 2/2018/Cons., conserva piena portata dispositiva anche all’esito dell’entrata in vigore del Codice, quale procedura interna all’amministrazione dell’economia e delle finanze cui resta del tutto estranea la disciplina recata dal D.lgs. n. 174/2016”.

Nel parere reso dalle SS.RR. i giudici contabili, infine, dopo aver citato una serie di disposizioni in materia riconducibili al regolamento di contabilità generale dello Stato, R.D. n. 827 del 1924, si preoccupano di approfondire la rilevanza giuridica del procedimento di parificazione contenuto nel Codice, sostenendo che nello stesso è compreso “tanto la vera e propria concordanza, rilasciata dall’’amministrazione di appartenenza dell’agente contabile, quanto il “visto” di regolarità amministrativo contabile, da rilasciare, per i conti degli agenti erariali, dal Sistema delle ragionerie territoriali e dagli Uffici centrali di bilancio (organi esterni), e, per gli agenti degli enti locali, dai propri organi interni, parifica e visto, da tenere distinti dalla “relazione degli organi di controllo interno”, espressamente prevista dall’art. 139, comma 2, che va trasmessa alla Corte unitamente al conto”.

Se ne deduce, pertanto, che “i conti giudiziali presentati dagli agenti contabili alle amministrazioni di appartenenza, devono essere “parificati”, “vistati” e “approvati” dai competenti organi di ciascun ente e solo all’esito di detti adempimenti depositati presso la sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti territorialmente competente”.

Come già accennato in precedenza, una volta depositato il conto dall’amministrazione presso la segreteria della sezione giurisdizionale territorialmente competente, il medesimo conto viene assegnato ai sensi dell’art. 145 c.g.c. ad un magistrato designato quale relatore. Tale assegnazione viene effettuata per mezzo di un provvedimento del Presidente della sezione giurisdizionale (decreto), il quale all’inizio di ciascun anno provvede a fissare, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, le priorità a cui i magistrati relatori dovranno attenersi nella pianificazione dell’esame dei conti.

La norma appena citata rappresenta un elemento di novità rispetto al passato, ma con la quale, in verità, viene formalizzata una prassi già esistente da tempo, poiché il legislatore delegato attraverso il vaglio presidenziale ha inteso fornire uno strumento utile per ovviare alle difficoltà organizzative da parte dei giudici contabili di procedere alla disamina integrale della mole di conti depositati presso le sezioni giurisdizionali.[28]

Di talché il potere-dovere del Presidente della sezione giurisdizionale di stabilire i criteri di cui al comma 2 dell’art. 145 c.g.c è volto a garantire “l’assegnazione di priorità nell’esame dei conti, che potranno tenere conto di criteri di rilevanza e significatività delle gestioni, oltre che di rotazione nelle amministrazioni e agenti contabili da sottoporre prioritariamente a verifica”. 

Il magistrato relatore designato dal Presidente procede all’esame dei conti depositati, previo accertamento della parificazione effettuata dall’amministrazione di appartenenza dell’agente contabile. L’attività istruttoria del giudice relatore si conclude con una relazione sul conto giudiziario, che può essere di due tipologie: di discarico o di condanna.

Si deve necessariamente premettere che nella sua attività di accertamento della regolarità delle operazioni di gestione svolte dall’agente contabile, il giudice non si limita al semplice riscontro formale della regolarità delle scritture, ma procede parimenti alla verifica dell’effettivo adempimento degli obblighi concernenti la funzione di agente contabile, andando ad investire in tal modo i rapporti finanziari tra l’ente e lo stesso agente contabile.

La giurisprudenza ha mostrato un atteggiamento meno rigido in ordine alla regolarità formale di compilazione del conto da parte dell’agente contabile, in quanto per supplire alle relative lacune si può procedere alle acquisizioni istruttorie. Ciò che appare fondamentale, però, è che il modello utilizzato per la compilazione del conto sia idoneo a rappresentare la gestione del contabile. Pertanto, è stato costantemente affermato in giurisprudenza che anche quando i conti siano compilati su modelli diversi da quelli predefiniti per legge, il giudizio sui conti deve comunque ritenersi procedibile purché tali modelli siano idonei a qualificare giudiziari i conti stessi attraverso un’adeguata rappresentazione delle poste in entrata e in uscita[29].

Si deve, altresì, aggiungere che qualora un conto giudiziale non venga regolarmente presentato e adeguatamente istruito, il giudice deve disporre il rinvio in istruttoria, non potendo addivenire alla definizione del giudizio con una mera dichiarazione di non regolarità o negando il discarico; di talché, qualora l’ulteriore esame istruttorio non si concluda con esito positivo, permanendo dunque l’impossibilità di procedere, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità del relativo giudizio[30], fermo restando la possibilità di esercitare l‘eventuale azione di responsabilità.

Tornando ad esaminare la figura del magistrato relatore a cui è affidato il compito di esaminare il rendiconto giudiziale, si deve evidenziare che lo stesso è titolare sia di poteri di accertamento di conformità degli atti alle norme vigenti, sia di poteri istruttori, oltre che di impulso processuale, così come previsto dal precedente regolamento di contabilità generale dello Stato che dal Codice di giustizia contabile. Parliamo, dunque, di un soggetto particolarmente complesso, al quale è stato anche riconosciuto il potere di sollevare, con ordinanza di rimessione, questioni di legittimità costituzionale[31].

Ai fini dell’espletamento della sua attività il magistrato relatore può ricorrere ai risultati contenuti nei verbali compilati dagli organi interni di controllo, ai quali può affidare determinati compiti tesi a verificare la presenza di fatti ritenuti sintomatici d’irregolarità nella gestione.[32]

5. FASE DI DEFINIZIONE DEL GIUDIZIO DI CONTO

Terminata la sua attività volta, in estrema sintesi, a verificare l’esistenza o meno di irregolarità nel conto, il magistrato relatore provvede a predisporre una relazione che contenga l’esposizione dei risultati dell’esame svolto, nonché la proposta in ordine alla definizione del giudizio. Cosicché, ove il conto chiuda in pareggio e risulti privo di irregolarità, il giudice designato deposita la relazione proponendo il discarico del contabile. La relazione viene poi trasmessa su ordine del Presidente, qualora non decida per il dissenso, al pubblico ministero, il quale deve esprimere il proprio avviso entro il termine perentorio di 30 giorni. Nel caso in cui non vi sia nulla da obiettare il giudizio si conclude con l’approvazione del conto e con la conseguente adozione da parte del Presidente della sezione giurisdizionale del decreto di discarico, il quale viene successivamente comunicato a cura della segreteria della sezione sia all’agente contabile per il tramite dell’amministrazione di appartenenza, sia al pubblico ministero.

Nell’ipotesi in cui non si possa provvedere con il decreto di discarico, ai sensi dell’art. 146 del c.g.c., il Presidente fissa con decreto l’udienza per la discussione del giudizio, alla quale possono comparire sia l’agente contabile che l’amministrazione interessata. L’udienza viene sempre fissata dal Presidente non solo quando è scaduto il termine stabilito dal magistrato relatore per la presentazione dei documenti essenziali ai fini dell’esame della gestione, ma anche in determinate ipotesi espressamente contemplate dal comma 3 dell’art. 147 del c.g.c.[33]

Il giudizio di conto che si svolge davanti al Collegio può terminare il suo esame con una pronuncia di discarico dell’agente contabile, nel caso in cui venga riconosciuto che i conti sono stati saldati o si bilanciano in favore dell’agente dell’amministrazione (comma 2 dell’art. 149 del c.g.c.). Viceversa, qualora il Collegio opti per diversa soluzione, non provvedendo con pronuncia di discarico, lo stesso procede con la liquidazione del debito dell’agente contabile, disponendo, nel caso lo ritenga opportuno, la rettifica dei resti da riprendersi nel conto successivo, ovvero dichiara la irregolarità della gestione contabile (comma 3 dell’art. 149 del c.g.c.).

Il comma 4 del citato art. 149 prevede un’ulteriore ipotesi di pronuncia di condanna da parte del Collegio, il quale dispone la restituzione delle somme mancanti e l’alienazione della cauzione versata dall’agente contabile, in caso di ammanco o di perdita accertata.

Si deve, infine, ricordare che il giudizio di conto si estingue di diritto e, ove necessario, con dichiarazione d’ufficio, decorsi 5 anni dal deposito del conto presso la segreteria della sezione giurisdizionale senza che sia stata depositata la relazione predisposta dal magistrato relatore o senza che siano state sollevate contestazioni a carico del contabile da parte dell’amministrazione, degli organi di controllo o del pubblico ministero che chieda con contestuale istanza la fissazione d’udienza (comma 1 dell’art. 150 del c.g.c.).

6. RITO MONITORIO

Il procedimento monitorio è uno strumento previsto sia nei giudizi di responsabilità che in quelli di conto, quando emergano a carico dell’agente contabile fatti dannosi di lieve entità patrimonialmente lesiva, ovvero addebiti di importo non superiore ad euro 10.000, così come sancito dall’art. 131 del c.g.c.

L’istituto in esame non è di nuova introduzione, in quanto era originariamente previsto dall’articolo 55 del Regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, ma il suo ambito di applicazione risultò avere una portata molto limitata sia per la scarsa conoscenza del rito stesso che delle sue funzioni. Tale rimedio, pertanto, si era rivelato poco efficace, disattendendo le intenzioni del legislatore che attraverso tale procedimento intendeva ridurre e snellire il contenzioso.

La rivisitazione del procedimento monitorio ad opera del Codice di giustizia contabile si propone di potenziare il potere deflattivo del contenzioso. Nella sua nuova formulazione la norma che disciplina il rito monitorio presenta delle novità rappresentate sia dall’innalzamento dell’importo dell’addebito a 10.000 euro, sia dall’introduzione del criterio relativo ai “… fatti di lieve entità patrimonialmente lesiva”. La prima innovazione ha cercato di ampliare la soglia economica dell’addebito andando ad impattare sulla quantità di casi di applicabilità, al fine di aumentarne la portata, contrariamente a quanto avveniva in passato. In merito al secondo intervento innovativo, il legislatore ha voluto rendere più flessibile il rito per favorirne l’utilizzo, ma per farlo ha utilizzato una formula generica che ha destato notevoli perplessità in dottrina in ordine alla sua piena efficacia.

Per quanto concerne lo svolgimento vero e proprio del procedimento monitorio, la citata norma prevede che in presenza dei presupposti necessari per l’instaurarsi del rito stesso, sia nei giudizi di responsabilità che nei giudizi di conto, la determinazione volta a fissare la somma da pagare all’erario può essere decisa sia dal Presidente della competente sezione giurisdizionale o dal Consigliere da lui delegato.

In dottrina molti dubbi sono sorti in ordine alla scelta del legislatore di utilizzare tale strumento anche nei casi di giudizi di conto; in molti, difatti, si chiedono se si possa parlare di giudizio monitorio tout court, in quanto i presupposti e le procedure sottese al giudizio di responsabilità e al giudizio di conto sono completamente diversi.

A tal proposito, si consideri che nel giudizio di responsabilità, infatti, il meccanismo è decisamente più complesso, in quanto la valutazione del lieve danno di importo non superiore a 10.000 euro viene effettuata dal Procuratore nell’ambito di una contestazione che avviene a fronte di una accertata responsabilità del convenuto, che il Procuratore stesso formalizza in un atto di citazione. Dopodiché, segue l’esame del Presidente della sezione ai fini della proposizione del giudizio monitorio, il quale anziché fissare l’udienza sulla base dell’atto di citazione ricevuto, propone al soggetto ritenuto responsabile il pagamento di una somma inferiore a chiusura della vertenza. Affiche il giudizio si concluda è necessaria ovviamente l’accettazione del responsabile dell’addebito.

Nell’ipotesi di giudizio di conto, viceversa, l’esame preliminare è condotto interamente dal giudizio istruttore, il quale, decidendo di non poter ammettere a discarico l’agente contabile, determina che gli importi a lui addebitabili siano inferiori a 10.000 euro, effettuando una valutazione tutta sua in ordine alla possibilità di far proseguire o meno il giudizio. È di tutta evidenza, pertanto, che trattasi di un procedimento monitorio che si svolge in condizioni diverse da quelle descritte in precedenza, in cui il contraddittorio si sviluppa nell’ambito di un rapporto tra il giudice istruttore e il contabile, il quale è chiamato a chiarire determinate problematiche; pertanto, in tale contesto la fase istruttoria si può definire “amministrativa”, anche se ci troviamo in ambito giurisdizionale, a differenza di quanto avviene in sede di giudizio di responsabilità, dove il rapporto si consuma tra un organo di procura e il convenuto.

Il giudizio si chiude, anche in questo caso, se l’agente contabile decide di accettare la proposta di pagamento.

7. GIUDIZIO PER RESA DI CONTO

Il giudizio per resa di conto è quel giudizio che rappresenta una situazione patologica e si instaura nell’ipotesi in cui l’agente contabile non abbia provveduto a presentare il rendiconto giudiziale nei termini prescritti secondo le norme sia del T.U. del 1934 che del nuovo Codice di giustizia contabile. È opportuno precisare che il soggetto tenuto alla resa del conto giudiziale si identifica nel titolare della gestione di tesoreria o nell’agente contabile, diversamente dal soggetto tenuto al deposito del conto presso la segreteria della sezione giurisdizionale che, come detto nei paragrafi precedenti, si rinviene nel legale rappresentante dell’Ente, nel cui interesse la gestione è stata espletata.

Le ipotesi in cui si attiva il giudizio per la resa di conto prevedono che il pubblico ministero, di sua iniziativa o su richiesta che gli venga fatta dalla Corte dei conti nell’esercizio delle sue attribuzioni contenziose o di controllo, o su segnalazione dei competenti uffici o degli organi di controllo interno dell’amministrazione interessata, propone il ricorso al giudice monocratico nei casi di: cessazione dell’agente contabile dal proprio ufficio senza aver presentato il conto della sua gestione, deficienze accertate dall’amministrazione in corso di gestione o comunque prima della scadenza del termine di presentazione del conto, ritardo a presentare i conti nei termini di legge o regolamento, omissione del deposito del conto.[34]

Il giudizio per resa di conto trattasi, pertanto, di un giudizio non dotato di piena autonomia, bensì di una fase eventuale e preliminare del più generale e complessivo giudizio sul conto in cui esso può esitare, una volta che il soggetto a cui viene ordinato di depositare il conto abbia adempiuto all’ordine nel termine assegnato.[35]

Una volta ricevuto il ricorso il giudice monocratico deve rendere la sua decisione con un decreto motivato entro 30 giorni dal deposito del ricorso stesso, dal cui accoglimento ne consegue l’assegnazione all’agente contabile di un termine perentorio, non inferiore ai 30 giorni, per la presentazione del conto all’amministrazione, e provvedendo a notiziarne la sezione giurisdizionale; allo stesso tempo viene stabilito un termine per l’amministrazione teso a svolgere tutti gli adempimenti del caso, nonché per il conseguente deposito del conto presso la segreteria della sezione. Infine, decorso inutilmente il termine fissato per il deposito del conto, il giudice dispone con decreto esecutivo la compilazione d’ufficio del conto e provvede a determinare l’importo della sanzione pecuniaria a carico dell’agente contabile[36].

Tale sanzione, che assume la veste di una responsabilità di tipo sanzionatorio tipizzata, si applica in presenza dei presupposti di accertata omessa o ritardata presentazione dei conti giudiziali entro il termine assegnato dalla sezione giurisdizionale.

Si aggiunga, altresì, che ove la mancata presentazione del conto dipenda dall’amministrazione di appartenenza e non dall’agente contabile, è previsto a norma di legge che il conto venga acquisito d’ufficio con contestuale fissazione di una sanzione a carico del responsabile del procedimento presso la stessa amministrazione di appartenenza.

In ultimo, la definizione del giudizio per resa di conto si ha con sentenza non appellabile, immediatamente esecutiva, che vien comunicata all’agente contabile tenuto alla resa del conto, nonché all’amministrazione da cui lo stesso dipende, oltre che al responsabile del procedimento e al pubblico ministero.

È pacifico in dottrina che l’instaurazione del giudizio per resa di conto determina un effetto interruttivo istantaneo della prescrizione, ossia un effetto che dispiega i suoi effetti solamente fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio di conto.

8. Il GIUDIZIO DI CONTO: STRUMENTO ANACRONISTICO O SEMPRE ATTUALE?

Sin da quando mosse i suoi primi passi, la Corte dei conti nella sua doppia veste di magistratura neutrale ed indipendente venne percepita nel suo operato come organo autorevole deputato a garantire un presidio certo e neutrale dell’equilibrio economico-finanziario della spesa pubblica, specialmente nell’ambito della sfera di esercizio della giurisdizione sottesa ai conti giudiziali.

Dalla disamina circa lo sviluppo storico della Corte dei conti, si evince che il moderno ordinamento dello Stato in materia contabile è strettamente connesso a quello in vigore durante la monarchia sabauda ed in ordine all’esame dei conti si rileva che il carattere giurisdizionale del controllo dei conti si sia accentuato necessariamente con l’affermarsi dello Stato di diritto, andando a soddisfare sia l’esigenza di garantire i diritti patrimoniali del principe prima, che dello Stato poi.[37]

È acclarato che la materia dei giudizi dei conti rappresenta la prima attribuzione giurisdizionale della Corte dei conti, così come sancito dalla legge del 14 agosto del 1862, n. 800; difatti, è stato evidenziato che «la funzione propria, tradizionale, logicamente e storicamente ineliminabile della Corte dei conti, è stata e resta il controllo sui conti pubblici, con il connesso giudizio di conto e di responsabilità contabile[38]. Si aggiunga, altresì, che l’esame del conto giudiziale nell’ambito della definitiva valutazione delle relative poste di bilancio assumeva un ruolo di evidente centralità, oltre ad essere percepita come un’attività che si accompagnava necessariamente con la chiusura della gestione rappresentata nel conto.

In estrema sintesi, il giudizio di conto può essere definito come quel controllo effettuato nell’interesse del cittadino contribuente sull’utilizzazione del denaro e dei beni della comunità; controllo la cui presenza risulta imprescindibile in ogni sistema di governo, dalle monarchie financo alle antiche e moderne democrazie.

In uno Stato o società in cui gran parte della spesa è ancorata all’ambito pubblicistico, appare difficile negare il valore politico e democratico assunto dal giudizio contabile. Il controllo da parte della collettività è diretto a soddisfare sia il principio storico dello Stato di diritto, sia quello di recente matrice che vede una più diffusa e penetrante partecipazione del cittadino all’attività dei pubblici poteri per mezzo di un efficace sindacato sull’utilizzazione delle risorse e sulla corretta gestione dei beni pubblici.

Si tratta, dunque, di una forma tipica di controllo, che si è andata “processualizzando” nel corso del tempo e che è diventata un episodio di natura giurisdizionale, ossia un giudizio, per l’opera della Cassazione, così come ribadito nel sapiente dibattito tra illustri studiosi ed autorità durante il citato Convegno sui conti giudiziali, tenutosi a Torino tra il 19-21 ottobre 2017.

Si pone in evidenza come l’antica attribuzione del giudizio di conto, nonostante abbia conservato per lungo tempo la sua primaria importanza, è stata messa in discussione da autorevole dottrina, ormai risalente, in ordine alla sua attualità ed alle metodologie più idonee a garantirne la sua funzionalità. Le riflessioni sull’utilità del giudizio di conto hanno ripreso nuova linfa a seguito dell’entrata in vigore del codice di giustizia contabile, il quale nell’intento di disciplinare la materia in esame, ha tuttavia conseguito risultati non del tutto soddisfacenti sotto alcuni profili, come ad esempio in ordine ad una puntuale definizione della figura di agente contabile.

Di talché, nonostante le notevoli criticità emerse nell’ambito dell’acceso dibattito sull’evoluzione del giudizio di conto, lo stesso viene nondimeno considerato come uno strumento essenziale volto a fornire quella garanzia di legalità finanziaria e di trasparenza contabile, idoneo altresì a rappresentare compiutamente quell’elemento che potenzia il dialogo tra le due funzioni fondamentali della Corte dei conti, il controllo e la giurisdizione. In tale contesto si è posto l’accento anche sull’importanza strategica del giudizio sui conti.[39]

Si deve necessariamente richiamare l’attenzione sui pregevoli lavori svolti durante il Convegno di Torino che hanno fornito, dunque, l’occasione per un approfondimento teso a mettere in evidenza l’ontologia sistemica propria della materia in esame. Durante le sessioni del Convegno da una parte è stata rimarcata l’importanza del giudizio di conto, in quanto rappresenta un “sistema di garanzia” connotato da necessarietà e obbligatorietà, volto alla verifica della legalità sostanziale delle gestioni[40], dall’altra per molti il giudizio di conto per essere veramente efficace e riacquistare il suo antico vigore dovrebbe essere rinnovato, limitando il sindacato giurisdizionale ai soli casi di irregolarità o controversia[41].

In ordine a tale riflessione è stato accentuato nuovamente il valore fondante del giudizio di conto nell’ambito della giurisdizione della Corte dei conti, fugando ogni dubbio di coloro che si chiedevano se lo stesso fosse ormai uno strumento anacronistico in mano ai giudici contabili, nonostante sia chiaro ormai a tutti che debba essere modificata profondamente la sua struttura, rafforzandola e potenziandola.

In tale contesto, infatti, è stato evidenziato l’impossibilità per la Corte dei conti di controllare la mole considerevole dei conti giudiziali sottoposti al suo giudizio, visto il proliferare negli ultimi decenni dei soggetti qualificati come agenti contabili e il parallelo decremento del personale di revisione e magistratuale operante in tale settore, così come si evince dai dati pubblicati negli ultimi anni nelle relazioni redatte in occasione delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario[42] della Corte dei conti.

Appare utile rievocare, altresì, un sapiente intervento della magistratura contabile durante il Convegno di Torino che ha arricchito di nuovi elementi l’acceso dibattito sui conti giudiziali. In tale occasione nel citare una sentenza della Corte costituzionale del 1975, in cui viene sancito che “È importante evidenziare, innanzitutto, che il principio generale del nostro ordinamento è che il pubblico denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni, debba essere assoggettato alla garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale. Requisito indispensabile del giudizio sul conto è quello della necessarietà in virtù del quale a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprietà dell’ente è consentito sottrarsi a questo fondamentale dovere”, è stato sottolineato che il giudizio di conto è stato più di una volta accusato di incostituzionalità e una parte della dottrina “si era schierata sull’incostituzionalità delle norme di un giudizio in cui il contabile assume una posizione molto particolare come parte processuale”[43].

Ad avvalorare tale tesi veniva affermato che anche nell’ipotesi in cui si fosse verificato un ammanco nella gestione finanziaria, residuava sempre la possibilità di avvalersi dello strumento ordinario del giudizio di responsabilità, svuotando, in tal modo, di significato la stessa esistenza del giudizio di conto. Ma tale approccio demolitorio non ha trovato, invece, riscontro nelle sentenze della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione. La prima, difatti, in varie pronunce ha messo in luce in particolare il ruolo del Pubblico Ministero contabile ”con particolare riguardo al giudizio di conto, come giudice (ovviamente non il Pubblico Ministero, ma il complesso della formula organizzativa intestata alla Corte dei conti), a tutela non solo degli interessi pubblici a beneficio della collettività, ma anche degli interessi concreti e particolari degli Agenti contabili”, mentre la Corte di Cassazione ha ricalcato in varie sentenze l’essenzialità del giudizio di conto, in quanto consente di valutare la legittimità dei flussi finanziari, non solo delle gestioni pubbliche, ma anche di quelle affidate a società private.

Per completezza espositiva, si deve citare anche la sentenza n. 110 del 1970, con la quale la Corte costituzionale si è espressa evidenziando che “la resa del conto giudiziale principio tendenzialmente generale [rinvenibile dal] secondo comma dell’art. 103 della Costituzione, che non contiene – per questa parte – alcuna riserva di legge e adopera una locuzione (“materie di contabilità pubblica”) anche letteralmente più ampia di quella dell’art. 44, primo comma, del T.U. del 1934”.

Si è affermato, inoltre, che “il principio dell’art. 103 conferisce capacità espansiva alla disciplina dettata dal testo unico del 1934 per gli agenti contabili dello Stato, consentendone l’estensione a situazioni non espressamente regolate in modo specifico”. La questione riguardava i confini dell’art. 44 del R.D. n. 1214 del 1934 (T.U. Corte conti), per il quale la Corte giudica “sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprietà dello Stato”.

Nella sentenza in esame viene anche esplicitato che la sfera di azione della giurisdizione della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 103, comma 2 della Costituzione, deve considerarsi circoscritta “laddove ricorra identità oggettiva di materia e beninteso entro i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali”.

Nello stesso senso andava la pronuncia della Consulta n. 102/1977 [44], in cui nel dichiarare inammissibili le proposte questioni di legittimità costituzionale riguardanti le norme sulla responsabilità civile degli amministratori e dipendenti degli enti locali, si escludeva comunque sia che il precetto sancito dall’art. 103, comma 2 della Costituzione fosse caratterizzato da una “assoluta (e non tendenziale) generalità e dunque dotato d’immediata operatività in tutti i casi”.

Occorre, infine, specificare che la previsione della interpositio legislatoris non concerneva l’attività giurisdizionale della Corte dei conti quale giudice nel giudizio di conto, che ha carattere generale, ai sensi del succitato art. 103, comma 2 della Costituzione.

9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

A conclusione di questo succinto trattato in materia di giudizio di conto, che non pretende in alcun modo di esaurire tutte le questioni e le criticità che hanno caratterizzato la materia nel corso degli anni, si deve conferire a tale strumento il riconoscimento di ruolo di garanzia finanziaria, con i suoi requisiti di necessarietà ed obbligatorietà, che esso svolge nella società contemporanea.

Il Codice di giustizia contabile, unitamente alle disposizioni introdotte con il correttivo, ha definito compiutamente la disciplina in tema di giudizio di conto, riunendo in un unico contesto normativo la disciplina sostanziale e processuale.

Tra le disposizioni che regolamentano la materia, inoltre, troviamo degli elementi di novità apportati dal Codice, concernenti, in estrema sintesi, le norme che disciplinano l’anagrafe degli agenti contabili, la trasmissione per via telematica dei conti giudiziali, una più dettagliata disciplina del c.d. giudizio per la resa del conto (art. 141), che la previgente normativa non qualificava adeguatamente, oltre alla previsione di un decreto del Presidente della sezione (di cui si è fatto cenno in precedenza), con il quale all’inizio di ciascun anno, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, vengono fissati le priorità cui i magistrati relatori, nella pianificazione dell’esame dei conti, dovranno attenersi.

Nonostante la riconosciuta centralità ed attualità del giudizio di conto, quale strumento di garanzia per la verifica della legalità sostanziale delle gestioni contabili, da molti è stata sostenuta l’attuale subordinazione del giudizio stesso a quello di responsabilità, in quanto nei casi di fenomeni particolarmente gravi di cattiva gestione contabile che il PM non riesce a risolvere nell’ambito dello svolgimento formale del processo sul conto giudiziale, si devolve immediatamente o direttamente la materia istruttoria nel giudizio di responsabilità.

A tal proposito si devono riportare le problematiche afferenti ai profili legati alla connessione tra giudizio di conto e giudizio di responsabilità. La norma che rende possibile la riunione delle cause connesse, anche se appartenenti a due riti differenti è rappresentata dall’art. 148, comma 5 del c.g.c., ai sensi del quale “Quando con la responsabilità di colui che ha reso il conto giudiziale concorra la responsabilità di altri funzionari non tenuti a presentare il conto, si riunisce il giudizio di conto con quello di responsabilità”.[45]

Il presupposto della fattispecie in esame si realizza quando sia stata fissata l’udienza in entrambi i giudizi pendenti, di conto e di responsabilità, evento che si rende materialmente possibile solamente con l’avvenuta iscrizione a ruolo nei due giudizi, vista la diversità delle loro caratteristiche nel rito.[46]

In tale ipotesi, così, viene devoluta al giudice l’intera fattispecie di danno, che abbraccia sia la responsabilità del contabile attivata a seguito della presentazione del conto, sia la responsabilità amministrativa degli altri corresponsabili, che il Pubblico ministero introduce in giudizio in qualità di attore necessario a seguito dello svolgimento dell’istruttoria secondo le regole proprie del giudizio di responsabilità.

Occorre, altresì, evidenziare che in tema di giudizio di conto la dottrina non pare nutrire dubbi nel ritenere che “nel giudizio di conto non sono azionabili responsabilità diverse da quella dell’agente contabile, essendo necessario, per le altre, l’autonomo esercizio dell’azione del pubblico ministero”.[47]

Tale principio è stato ribadito anche nella pronuncia della Corte di cassazione, sez. Un., del 27 marzo 2007, n. 7390, in materia di limiti oggettivi della giurisdizione di conto avente ad oggetto il maneggio o la custodia di titoli azionari.

In tale ambito, dunque, si è posto il problema sulla possibilità di chiamare in causa nel giudizio di responsabilità amministrativa l’agente qualora emerga anche la responsabilità contabile dello stesso, il cui conto non sia stato ancora iscritto al ruolo, oppure se si debba attendere la conclusione del giudizio di conto.

Tale fattispecie corrisponde a quella contemplata nel comma 6, del citato art. 148 del c.g.c., ai sensi del quale “Nel caso sussistano speciali circostanze, si può procedere contro i responsabili del danno anche prima del giudizio di conto”.[48] Di talché la norma è stata intesa nel senso volto a far valere la responsabilità contabile dell’agente nell’ambito del processo di responsabilità amministrativa, su impulso del Pubblico ministero, soggetto attore in veste formale e sostanziale, il quale provvede al reintegro del patrimonio pubblico leso dalla cattiva gestione del contabile, avvalendosi dei suoi ampi poteri istruttori, diversamente da quanto avviene nel giudizio di conto[49].

Acclarato che l’azione di responsabilità contabile viene solitamente esercitata attraverso lo strumento del processo di responsabilità amministrativa, si deve, pertanto, concludere che ciò avvenga mediante la chiamata in causa del terzo, con l’integrazione del contraddittorio dell’agente contabile la cui responsabilità sia emersa nel giudizio (di responsabilità), il quale è stato instaurato avverso altri soggetti che non rivestono la qualifica di agenti contabili.

Meno certezze si hanno in ordine alla possibilità della chiamata in causa nel giudizio di conto nell’ipotesi in cui durante il giudizio stesso emerga la responsabilità amministrativa concorrente di un altro funzionario che non riveste la qualifica di agente contabile e nei cui confronti non sia stato ancora azionato il giudizio di responsabilità.

Dubbi si pongono, dunque, in merito all’ammissibilità della chiamata in causa nel giudizio di conto, ai sensi dell’art. 107 del c.p.c., oppure   sulla possibilità per il Collegio in sede di giudizio di conto di ordinare la trasmissione degli atti al procuratore regionale affinché vengano valutati i presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei corresponsabili attraverso l’ordinario giudizio di responsabilità, nel cui ambito si potrà eventualmente procedere alla riunione dei due giudizi, ove il giudizio di conto risulti ancora pendente.

Nonostante tali considerazioni, è innegabile che la responsabilità amministrativa e la responsabilità contabile presentino tratti di omogeneità, anche se trattasi di strumenti processuali completamente diversi ab origine. Si potrebbe, pertanto, porre l’accento sulle sinergie esistenti tra le due tipologie di responsabilità.

Inoltre, al fine di consolidare la centralità del giudizio di conto, quale strumento di garanzia della legalità e della trasparenza finanziaria, si dovrebbe rafforzare il dialogo tra le due funzioni fondamentali della Corte dei conti, quella del controllo e quella della giurisdizione.

Parimenti essenziale, per rendere il giudizio di conto ancora più funzionale e attuale, appare un processo di rivitalizzazione dell’intero settore, intervenendo anche sull’impianto strutturale del giudizio contabile, conferendo maggiore snellezza al procedimento, non essendo sufficienti le modifiche apportate dal Codice di giustizia contabile e dal suo correttivo.

 

 

 

 

 

 


[1] La prima sede che ospitò la Corte dei conti del Regno d’Italia fu ovviamente a Torino, nel palazzo progettato dall’architetto Alessandro Antonelli, sito in Via Bogino, 6, edificio oggi non più esistente, in quanto fu abbattuto a seguito dei danneggiamenti riportati durante la II Guerra Mondiale (Corte dei conti – Torino – Sedi storiche – Chi siamo – Home, in www.corteconti.it). La sede, successivamente, venne spostata a Firenze per effetto della legge del 15 dicembre del 1864, per poi approdare a Roma divenuta capitale del Regno ai sensi della legge del 4 febbraio del 1871.
[2] la Corte dei conti piemontese del 1859 derivava dal prototipo napoleonico, la famosa Cour des comptes francese, radicata in un ordinamento fortemente accentrato, che si caratterizzava per una ripartizione di poteri-funzioni, facenti capo a soggetti che non avevano nulla a che fare con la partecipazione sovrana, ma che si limitavano a gestirla in nome e per conto del sovrano. M. Pane, in “La Corte dei Conti a 150 anni dalla sua nascita”, in Rivista LexItalia.it n. 5/2012, http://www.lexitalia.it.
[3] Il concetto del Cavour risulta sintetizzato nella celebre frase oggi scolpita sul piedistallo che sorregge la statua del grande statista, situata sullo scalone principale della sede centrale della Corte a Roma.
[4] V. Tenore, “Il giudizio di conto e altri giudizi a istanza di parte: limiti e giurisdizione”, in Diritto e conti, 29 aprile 2020.
[5] Art. 45, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 “La presentazione del conto costituisce l’agente dell’amministrazione in giudizio. Il giudizio può essere iniziato dietro istanza del pubblico ministero per decreto della competente sezione, da notificarsi dall’agente, con la fissazione di un termine a presentare il conto nei casi: a) di cessazione degli agenti dell’amministrazione del loro ufficio; b) di deficienze accertate dall’amministrazione; c) di ritardo a presentare i conti nei termini stabiliti per legge o per regolamento”.
[6] S. Cimini, “Conti giudiziali e il giudizio di conto: aspetti sostanziali, processuali e de iure condendo” – in Atti del Convegno di Torino – Conti giudiziali, cit., p. 58. Si tratta, come noto, di una nozione finanziaria di pubblica Amministrazione, avente carattere generale e rilievo costituzionale (ex art. 97, comma 1, Cost. novellato), che, secondo le regole contabili dell’Unione Europea (SEC 2010), include le unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita.
[7] Dossier Senato 24 luglio 2019, “Disposizioni integrative e correttive del codice della giustizia contabile”, p. 3, in https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01119788.pdf
[8] G. Guida, “Brevi note in tema di principio di effettività e conti giudiziali”, cit., p. 69. Nel citato parere reso dalle SS.RR. in sede consultiva della Corte dei conti, la stessa nel sottolineare l’esiguo numero di disposizioni dedicate alla materia del giudizio di conto, si era espressa nel senso della necessaria estensione anche al giudizio di conto dei principi contabili posti a fondamento del processo contabile.
[9] G. Guida, “Brevi note in tema di principio di effettività e conti giudiziali”, cit., p. 70.
[10] S. Cimini, “I conti giudiziali e il giudizio di conto: aspetti sostanziali, processuali e de iure condendo”, cit., p. 55.
[11] M. Orefice, “Intervento in Atti del Convegno – I conti giudiziali”, cit., p. 78.
[12] Secondo l’art. 74:“Gli agenti incaricati della riscossione delle entrate e dell’esecuzione dei pagamenti delle spese, o che ricavano somme dovute allo Stato e altre delle quali lo Stato diventa debitore, o hanno maneggio qualsiasi di denaro ovvero debito di materia, nonché coloro che si ingeriscono negli incarichi attribuiti ai detti agenti, dipendono direttamente, a seconda dei rispettivi servizi, dalle amministrazioni centrali o periferiche dello Stato, alle quali debbono rendere il conto della gestione e, sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del tesoro e alla giurisdizione della Corte dei conti. Sono anche obbligati alla resa del conto alle amministrazioni centrali o periferiche dalle quali direttamente dipendono gli impiegati ai quali sia stato dato incarico di riscuotere entrate di qualunque natura e provenienza. I conti giudiziali sono trasmessi dalle amministrazioni di cui ai commi precedenti per il controllo di rispettiva competenza alle ragionerie centrali, regionali e provinciali dello Stato, a norma delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, entro i due mesi successivi alla chiusura dell’esercizio cui il conto si riferisce. Le predette ragionerie, riveduti i conti ad esse pervenuti, qualora non abbiano nulla da osservare, appongono sui singoli conti la dichiarazione di aver eseguito il riscontro di loro competenza e li trasmettono alla Corte dei conti entro i due mesi successivi alla data della loro ricezione ovvero a quella della ricezione dei chiarimenti o dei documenti richiesti.”
 [13] V. Tenore, “La Corte dei conti”, cit., p. 994.
[14] Vedi sent. Cass., sez. un., 21 giugno 2010, n. 14891 e sent. Cass., sez. un., 1° giugno 2010, n. 13330.
[15] Sentenza delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti del 22 settembre 2016, n. 22, in https://banchedati.corteconti.it/searchResults
[16] Sentenza della I sezione centrale d’Appello della Corte dei conti, n. 155 del 2020, decisa in Camera di Consiglio il 2 luglio 2020 e depositata in segreteria il 4 luglio 2020, in https://banchedati.corteconti.it/searchResults.
[17] Vedi la Relazione della Procura generale della Corte dei conti, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2022, Roma 1° marzo 2022, p. 197, in https://www.corteconti.it/Home/Documenti/InaugurazioneAG.
[18] V. Tenore, “Il giudizio di conto e altri giudizi a istanza di parte: limiti e giurisdizione” – Il giudizio di conto e altri giudizi a istanza di parte: limiti e giurisdizionehttps://dirittoeconti.it/il-giudizio-di-conto-e-altri-giudizi-a-istanza-di-parte-limiti-e-giurisdizione/page: 1, p. 21.
[19] Sentenza sez. Pen. 6, n. 18320 del 2021, udienza 13 ottobre 2020.
[20] In tale ambito, quindi, rileva “l’inosservanza, da parte dell’agente contabile, degli obblighi propri del servizio, che abbia determinato o concorso a determinate il danno al cui ristoro l’azione mira”. Vedi C. conti, sez. Giur. Puglia, 6 febbraio 2017, n. 34.
[21] A. Monorchio, “Compendio di contabilità di stato” – Il giudizio sui conti, Cacucci editore – Bari, 2021, p.498.
[22] Sent. Corte cost. 25 luglio 2001, n. 292.
[23] M. Orefice, “Manuale di contabilità pubblica”, cit., p. 454. Occorre sottolineare che nel deposito del conto presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti non sono compresi gli allegati e la correlata documentazione giustificativa della gestione, che rimangono a disposizione presso l’amministrazione nei limiti di tempo necessari alla conclusione del giudizio di conto.
[24] Parere reso dalle Sezioni riunite in sede consultiva della Corte dei conti, nell’adunanza del 10 settembre 2020 (Parere n. 4/2020/CONS), in https://banchedati.corteconti.it/searchResults.
[25] Vedi interventi di M. Orefice, F.G. Scoca, S. Cimini, in “Atti del Convegno – i conti giudiziali”, cit.
[26] L’art. 63, comma 1, lett. b) del d.lgs. 7 ottobre 2019, n. 114, infatti, ha inserito il comma 2 bis all’art. 148 del c.g.c., in cui viene sancito che “il magistrato che ha sottoscritto la relazione sul conto di cui al comma 4 dell’art. 145 non fa parte del collegio giudicante”.
[27] Parere reso dalle Sezioni riunite in sede consultiva, nell’adunanza del 10 settembre 2020 (Parere n. 4/2020/CONS)
[28] I. Chesta, “I conti giudiziali e gli agenti contabili”, E.F. Schlitzer, C. Mirabelli (a cura di), Trattato sulla nuova configurazione della giustizia contabile, Napoli, Editoriale scientifica, 2018, p. 440.
[29] M.T. D’Urso, “La centralità e l’attualità del giudizio di conto, quale strumento essenziale di garanzia della legalità finanziaria e trasparenza contabile nella società contemporanea”, cit. – Corte conti, Sez. giur. reg. Umbria, 3 luglio 2003, n. 209; Sez. giur. reg. Emilia-Romagna, 29 marzo 2004, n. 696; Sez. giur. reg. Basilicata, 15 marzo 2006, n. 80.
[30] Nel caso di morte, interdizione o inabilitazione dei contabili, i conti sono resi, rispettivamente, dagli eredi o dai legittimi rappresentanti; nel caso di compilazione del conto di ufficio e contabili o i suoi aventi causa sono invitati con atto di ufficiale giudiziario a riconoscerlo e sottoscriverlo entro un termine stabilito, trascorso il quale, senza che vi sia stata disposta, il conto sia per accettato.
[31] Sent. Corte cost. 7 marzo 1978, n. 19.
[32] V. Tenore, “La nuova Corte dei conti”, Giuffrè ed. S.p.A., Milano, 2018, p. 995. Si aggiunga che “nell‘accertamento della regolarità della gestione di una banca tesoriera il giudice relatore deve verificare in concreto i rapporti di credito e di debito tra quest’ultima e l’Ente gerente; previo esame analitico anche della convenzione di tesoreria devono essere accertati una serie di adempimenti del tesoriere quali l’onere di controllare la regolarità formale dei titoli di pagamento, l’obbligo di corrispondenza tra pagamenti e ordini di pagamento (mandati) dell’Ente, la corretta applicazione dei tassi di interesse attivi e passivi previsti nella stessa convenzione”.
[33] L’udienza, infatti, è sempre fissata nelle seguenti ipotesi: a) i conti compilati d’ufficio quando al termine della gestione non siano stati depositati;     b) i conti relativi all’ultima  gestione  degli  agenti  contabili, quando comprendano partite  attinenti  a  precedenti  gestioni  degli stessi  agenti  e  non  occorra  procedere  alla  revocazione   delle decisioni sui conti precedenti; c) i deconti compilati nei casi di deficienza  accertata dall’amministrazione a carico del contabile e prodotti alla Corte dei conti anteriormente al giudizio sul conto;  d) i conti complementari, compilati per responsabilità amministrativa a carico di contabili, i cui conti  siano  stati  già decisi; e) i conti speciali di quegli agenti e di quelle gestioni, per cui non sussista in via normale l’obbligo della resa periodica del conto.
[34] Art. 141 c.g.c. “Ricorso”.
[35] V. Tenore, “Il giudizio di conto e altri giudizi a istanza di parte: limiti e giurisdizione”, cit., p. 8.
[36] Ai sensi dell’art. 141 del c.g.c, l’agente contabile inadempiente può essere condannato ad una pena pecuniaria non maggiore della metà degli stipendi, degli aggi e delle indennità allo stesso dovute relative al periodo in cui il conto si riferisce, ovvero qualora l’agente contabile non goda di stipendio, aggio o indennità, in misura non superiore a 1000 euro.
[37] Per una disamina accurata del giudizio di conto fra gli Stati esistenti prima dell’unificazione vedi Cantucci Michele “Il giudizio sui conti degli agenti contabili dello Stato”, Padova, Cedam, 1958, http://biblioteca.corteconti.it/proposte/fonti_storia_corte/cantucci;
[38] G. Guida in “Brevi note in tema di principio di effettività e conti giudiziali”, Rivista Corte dei conti n. 2/2020, in http://www.rivistacorteconti.it/Rivista/dettaglio_rivista.html?path=/Rivista/2020/rivista_2.html;
[39] G. Guida, “Brevi note in tema di principio di effettività e conti giudiziali”, cit., p. 67.
[40] A. Police, “I conti giudiziali nella nuova disciplina processuale: riflessioni critiche”, in Atti del Convegno “I conti giudiziali”, Torino, 19-21 ottobre 2017, p. 113, in <http://piemonteautonomie.cr.piemonte.it>.
[41] S. Cimini, “I conti giudiziali e il giudizio di conto; aspetti sostanziali, processuali e de iure condendo”, in Atti del Convegno “I conti giudiziali”, cit., p. 67.
[42] Il prof. Cimini negli Atti del Convegno citato, infatti, scrive che “Che il giudizio di conto debba essere modificato se ne sono accorti in molti, anche all’interno della stessa magistratura contabile: così, già negli anni settanta del secolo scorso, un autorevole magistrato della Corte dei conti, Francesco Garri, dopo aver evidenziato che per la Corte occuparsi dei conti degli agenti contabili di tutte le varie decine di migliaia di enti pubblici esistenti era “al di fuori di ogni prospettiva concretamente e funzionalmente realizzabile”, lucidamente e condivisibilmente proponeva, in alternativa all’abolizione del giudizio di conto, una sostanziale modifica del contenuto di questo giudizio che sollevasse il giudice “dall’inane e praticamente improduttivo compito di puntuale verificazione dei sin goli conti, già controllati nelle competenti sedi amministrative”, limitandone il sindacato ai soli casi di irregolarità o controversia, oppure attribuendo maggior rilievo all’accettazione del conto da parte dell’Amministrazione, consentendo così al giudice di arrivare a “più spediti provvedimenti di approvazione dei conti”. Oggi la situazione è peggiorata a seguito della progressiva estensione, in via legislativa e giurisprudenziale, del regime del giudizio di conto presso tutte le Pubbliche Amministrazioni, alle quali vanno aggiunti i soggetti privati che hanno maneggio di ben i e denaro pubblico. L’autorevole suggerimento di Garri di sollevare il giudice dal gravoso e irrealizzabile compito di controllare tutti i conti giudiziali è sempre più condivisibile e attuale”.
[43] M. Orefice, in Atti del Convegno –“I Conti giudiziali”, cit., p. 70.
[44] Corte cost., sent. 2 giugno del 1977.
[45] Le ipotesi più frequenti di connessione tra le due responsabilità riscontrate nella pratica riguardano le responsabilità deli ordinatori delle entrate o delle spese e dei funzionari o amministratori per omessa vigilanza sulla gestione del contabile.
[46] È stato evidenziato in precedenza come il giudizio di conto si possa considerare pendente a seguito di presentazione del conto nella segreteria della sezione giurisdizionale.
[47] Vedi V. Tenore,” La nuova Corte dei conti”, cit., p. 1003.
[48] C. Conti, sez. Lombardia, n. 168 del 2005, p. 13. In applicazione di tale principio, la pronuncia esclude il carattere pregiudiziale del giudizio di conto nei confronti del giudizio di responsabilità instaurato per le medesime condotte dannose.
[49] Nella sentenza n. 198 del 2019 della Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto della Corte dei conti, si è affrontato il tema dell’istruttoria e dei poteri rispettivamente, nel giudizio di conto e in quello di responsabilità – https://dirittoeconti.it/wpcontent/uploads/2020/04/Sent.-198-2019-GIUDIZIO-AD-ISTANZA-DI-PARTE. La Sezione ha affermato che: “Diversamente da quanto ipotizzato nel ricorso, e come ben chiarito dalla predetta norma, l’istruttoria affidata al magistrato della Sezione giurisdizionale non può in alcun modo prescindere dal deposito di un conto giudiziale da parte di un agente contabile. In altri termini, l’istruttoria presuppone la “costituzione in giudizio” dell’agente contabile mediante il deposito del conto. Non è invece prevista la possibilità di svolgere, secondo le forme e le modalità previste dalle norme sui giudizi sui conti, un’istruttoria “generalizzata” sui “conti”, intendendosi per tali, come sembra ipotizzare parte ricorrente, i bilanci delle amministrazioni pubbliche. In particolare, il legislatore ha sì affidato alla Corte dei conti, nell’esercizio delle sue funzioni di controllo, “anche” il compito di verificare la gestione del bilancio dello Stato o il controllo sulla gestione finanziaria, ma dal complesso delle norme sopra richiamate si evince che lo Stato e le sue articolazioni o gli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria non possano essere considerati “agenti contabili” e non sono perciò applicabili tout court le norme sui giudizi per la resa del conto o sui giudizi di conto anche ai controlli esercitati dalla Corte dei conti, in sede di controllo”.

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