Evoluzione giurisprudenziale e consenso del minore nei reati di pedopornografia

Evoluzione giurisprudenziale e consenso del minore nei reati di pedopornografia

Negli ultimi tempi, anche a seguito di importanti report che hanno fatto luce sul cattivo utilizzo di social media e piattaforme nate come semplici servizi di messagistica, è tornata alla ribalta la questione del c.d. revenge porn, considerato che dai predetti report sia emerso come il numero di gruppi in cui gli utenti si scambiano materiale fotografico privato senza il consenso delle persone riprese, nonché immagini e video di natura pedopornografica, sembra essersi raddoppiato nel corso dell’ultimo anno.

Data l’oggettiva pericolosità di questo fenomeno affermatosi nell’ultimo decennio, risulta di grande attualità in ambito giurisprudenziale l’analisi di quella che è la tutela offerta dal codice penale contro i reati di pornografia, in particolar modo minorile.

La norma che tutela il minore e la sua integrità psico-fisica dalla diffusione di materiale pornografico che lo vede protagonista, è l’art. 600 ter del codice penale (al quale si rimanda) che, soprattutto negli ultimi tempi, è stato più volte oggetto di diverse pronunce della Corte di Cassazione.

Ma come nasce la tutela del 600 ter c.p.? Nella sua formulazione originaria del 1998, la norma faceva riferimento allo sfruttamento dei minori di anni 18. Così, fin da subito, si era posto il problema della corretta qualificazione del termine “sfruttamento” che per sua stessa natura lascia spazio a molteplici possibili interpretazioni.

A fare luce sulla questione ci ha pensato la Corte di Cassazione a SS.UU. del 2000 (sent. n.13/2000), affermando che per sfruttamento del minore dovesse intendersi la c.d. “utilizzazione del minore”, così ampliando notevolmente la portata del bene tutelato dall’articolo oggetto di analisi e cioè la tutela del minore, con particolare riferimento alla sua personalità, rilevando, ai fini della configurazione del reato, la lesione del suo normale sviluppo. In adesione a tale prospettiva messa in luce dal Supremo Collegio, nel 2006 è stato mutato anche il testo della norma attraverso l’impiego, appunto, del verbo “utilizzare”.

Oltre tutti questi aspetti, ultimamente la Cassazione si è occupata anche del problema dell’alterità tra il soggetto che produce materiale pornografico ed il soggetto che in quel materiale viene prodotto. Al netto di iniziali pronunce (Cass. pen., sent. 11675/2016; confermata da Cass. pen., sent. 34357/2017.) che affermavano che l’art. 600 ter non potesse configurarsi con riferimento a casi in cui il materiale fosse stato autoprodotto dalla vittima, le SS.UU, con pronunce più recenti (Cass. pen., sent. n. 5520/2020) hanno qualificato questo reato come “reato di danno”; cosicché appare condivisibile l’idea secondo la quale non c’è alcun motivo di differenziare le ipotesi che ledono quello che è, per giurisprudenza consolidata, il bene tutelato dall’art. 600 ter e cioè lo sviluppo morale armonioso della dignità del minore, dato che questo può essere compromesso sia se il materiale sia autoprodotto dalla vittima, sia se lo stesso sia invece prodotto dal fruitore. Così affermava la Cassazione a Sezioni Unite del 2020: “In definitiva la disciplina della pornografia minorile è affidata esclusivamente al sistema chiuso degli art. 600-ter e seguenti e colpisce le condotte indicate, talvolta a prescindere dall’autore del materiale pornografico e comunque sempre a prescindere della sua diffusione”.

In questo senso bisogna ricordare anche che, dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2000 sopra richiamata, emergeva che il vero obiettivo della previsione era quello di intervenire ogniqualvolta si fosse stati in presenza di un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. Al giorno d’oggi, la mutata evoluzione tecnologica che vede internet a disposizione di tutti ed una facilità di condivisione dei video, che quindi possono diventare pericolosamente virali nel giro di poche ore, rendono il pericolo di diffusione già in re ipsa, facendo rilevare ai fini della commissione del reato soltanto la produzione e la detenzione del materiale, oltre che l’utilizzazione del minore.

Centrale però nello studio dei reati di pedopornografia minorile, è il consenso della vittima.

In generale, in caso di presenza di consenso il rapporto sessuale si considera, appunto, “consensuale”, e quindi non possibile oggetto di sanzione penale. Ma cosa succede se quel consenso proviene da un soggetto che il legislatore considera incapace di autodeterminarsi? Come già detto in precedenza, quando si parla di reati di pedopornografia, specie se il minore è infra quattordicenne, non si tutela la libertà di autodeterminarsi di quest’ultimo, bensì il corretto sviluppo della sua personalità sessuale, presumendosi che l’atto sessuale compiuto su di esso/a possa pregiudicarlo.

Quindi, in maniera condivisibile, a parere di chi scrive, nell’ambito dei reati sessuali aventi come vittima il minore, si considera il bene tutelato come indisponibile dato che si presume che la vittima non sia abbastanza matura per disporre di sé liberamente.

Sul tema, qualcuno ha anche sostenuto che il consenso alla ripresa da parte del minore faccia sì che debba ritenersi che quest’ultimo abbia accettato il rischio della ripresa stessa.

Confermando quanto già in parte affermato nel recente passato (Cass. sez. un., sent.  n. 51815/2008) le SS.UU., con sentenza 4616/2022 hanno rigettato questa interpretazione, differenziando così le ipotesi tra il consenso alla ripresa ed il consenso, che deve essere specifico e consapevole, alla conservazione e condivisione del materiale, in ogni caso statuendo che “sussiste pornografia minorile nel caso di diffusione del materiale erotico con un minore, ritenendo del tutto irrilevante un suo eventuale consenso”, ritenendo quindi penalmente rilevante, sulla scia di quanto già affermato nel 2018, la configurabilità dell’utilizzazione della dignità del minore e del suo normale sviluppo sessuale, che, nelle ipotesi in cui si configura il reato, viene leso dal fruitore del materiale prodotto, che lo sacrifica con il solo scopo soddisfare i propri fini sessuali.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Pietro Boccuni

Laureato in Giurisprudenza al Dipartimento Jonico dell'Università degli studi di Bari con votazione di 110/110 e lode. Tirocinante ex art. 73 D.L. 69/13 presso la sezione GIP/GUP del Tribunale di Taranto. Praticante Avvocato.

Articoli inerenti