Favoreggiamento personale: esimente anche per il convivente di fatto

Favoreggiamento personale: esimente anche per il convivente di fatto

La causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. in tema di favoreggiamento personale opera anche in relazione ai rapporti di convivenza di fatto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con un’innovativa pronuncia che rivoluziona totalmente il concetto di convivenza more uxorio equiparandolo a quello di famiglia ed unione civile.

È infatti noto che il nostro sistema penale effettua una netta distinzione tra tali tipi di unione e che, da poco, solo grazie alla legge Cirinnà, l. 76/2016, la nozione di “prossimi congiunti” è stata estesa anche alle parti unite civilmente. Tale uniformazione non ha però trovato riscontro nei confronti delle coppie di fatto, che ad oggi continuano ad essere escluse da tale equiparazione. È proprio da tale forte discrimine che prende atto la vicenda in questione.

È stato infatti posto in essere ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, che confermava in toto la sentenza del Tribunale di Vicenza, con cui si è condannato un uomo al reato di favoreggiamento personale. All’imputato è stato contestato di avere aiutato il fratello della propria convivente a sottrarsi alle ricerche dei carabinieri ospitandolo all’interno della propria abitazione.

Nel ricorso per cassazione il difensore dell’imputato ha domandato la censura della sentenza impugnata per violazione di legge atteso che la Corte di merito ha ritenuto non configurabile l’esimente di cui all’art. 384 comma I c.p. in ragione dell’assunto per cui l’indagato non era qualificabile, da un punto di vista giuridico, come un prossimo congiunto ai sensi dell’art. 307 cp.

La distinzione tra coppie sposate, unite civilmente e di fatto trova per l’appunto una grande rilevanza pratica in relazione alle condotte delittuose descritte nell’art. 384 c.p., tra cui il favoreggiamento personale, che impone l’applicazione dell’esimente de qua ai soli “prossimi congiunti” .

Tale articolo infatti esclude la punibilità solo per chi “ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore”. Tale esimente, dunque, ad oggi trova applicazione unicamente per le coppie sposate e, a seguito della legge 76/2016, per quelle unite civilmente. Questa profonda disparità di trattamento è stata rimarcata anche dalla Corte di Cassazione. Il ragionamento operato dalla Suprema Corte parte proprio da un’analisi dell’estensione applicativa operata dalla legge Cirinnà per affermare il profondo stato di disparità di trattamento che investe i conviventi more uxorio.

Più in particolare, la Corte di Cassazione ha fatto perno sull’art. 8 CEDU, che fa riferimento ad una nozione onnicomprensiva di famiglia, per estendere l’esimente di cui all’art. 384 comma I c.p. anche ai rapporti dei meri conviventi di fatto, compiendo in tale modo, dopo la legge Cirinnà, un ulteriore passo verso una strada di uguaglianza nei rapporti interpersonali, ad oggi ancora diversificati a seconda del regime di connubio.


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Claudia Venturino

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